L’Italia è
in deflazione, e rischia di rimanervi anche nel 2015. Per un’economia debole
come quella italiana, la deflazione rappresenta un grande rischio, com’è facile
intuire. Ed ecco che, con una delle consuete boutades, il nostro “caro”
premier Renzi che cosa s’inventa? Di aumentare le buste paga dei lavoratori
attraverso la possibilità di inserirvi una parte del TFR (il 50%, pare) che
annualmente il lavoratore matura.
Questa operazione
nasconde un insieme di bugie e di pressapochismo, misto ad ignoranza vera e
propria della materia, che non ha davvero pari. Procediamo con ordine.
1) Che cos’è il TFR. Il Trattamento di Fine Rapporto è
una delle conquiste più avanzate nello scontro tra capitale e lavoro;
attraverso l’introduzione di tale strumento si riconosce, infatti, che il
lavoratore abbia diritto ad una remunerazione non solo periodica (il salario),
ma anche differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro: il TFR,
appunto. L’importo che matura ogni anno è pari alla retribuzione annuale,
comprensiva di tredicesima e quattordicesima, divisa per 13,5 (Esempio: per una
retribuzione mensile pari a 1000 euro la quota di TFR annuale accantonata è 1037 euro). Ogni anno, il TFR maturato negli anni precedenti si rivaluta, in
misura pari all’1,5% + ( o – , in periodo di deflazione) il 75% dell’
inflazione registrata nell’anno precedente.
2) Chi possiede il TFR: esclusivamente i lavoratori
dipendenti del settore privato, e lavoratori del settore pubblico,
limitatamente alle categorie rientranti nel c.d. pubblico impiego
contrattualizzato assunti dopo la data del 31/12/2000. Restano escluse tutte le
forme contrattuali diverse: partite IVA, co.co.pro, etc.
3) Il TFR per l’impresa: non è un costo reale. Il TFR è,
infatti, in buona sostanza una posta contabile: l’impresa non lo accantona
realmente, ma solo contabilmente utilizzando, invece, l’importo per
autofinanziarsi: spende, insomma, i soldi che il lavoratore ha maturato
utilizzandoli per le esigenze della propria azienda.
4) Il TFR e la previdenza complementare. Dal 2007 le
aziende del settore privato con almeno 50 addetti hanno perso la disponibilità
del TFR, a seguito dell’introduzione dell’obbligo di scelta sulla sua
destinazione; infatti, le possibilità sono due; o il lavoratore sceglie di
destinarlo alla previdenza complementare, oppure l’impresa ha l’obbligo di far
confluire l’importo maturato all’interno di un Fondo Tesoreria gestito
dall’Inps.
5) Le menzogne: sono tantissime, com’è facile
capire. Il primo dato che emerge, in maniera chiara, da quanto precedentemente
esposto è che la platea degli interessati dalla misura allo studio del governo
Renzi non solo è ridotta (lavoratori dipendenti pubblici e lavoratori
dipendenti privati operanti in aziende con meno di 50 addetti) ma, altresì, non
ricomprenderebbe chi la crisi la sta vivendo in modo più pesante: il mondo del
precariato. Anche sull’importo “sparato” da Renzi in conferenza stampa (100
euro in più, in media, per lavoratore) è facile obiettare, guardando l’esempio
sopra riportato: ci vorrebbero oltre 2650 euro di stipendio lordo, percepito
per quattordici mensilità, per determinare un importo di tfr che, al 50%, dia
un importo mensile disponibile di 100 euro. Ma quanti sono i lavoratori
dipendenti così fortunati? Ed infine: in un periodo in cui le piccole e medie
imprese (come detto, fino a 49 addetti) sono in crisi di liquidità e con
estrema difficoltà riescono a trovare aiuto e supporto da parte del mondo
bancario (se non diniego assoluto, come accade alle PMI del settore edile, che
stanno chiudendo a migliaia), privare tale settore di un importante fonte di
autofinanziamento qual è il TFR significa costringerle alla chiusura od a
rivolgersi allo strozzinaggio.
Ecco, dunque, smontato pezzo per pezzo il piano TFR: ancora una volta si
cerca di fare il gioco delle tre carte con i soldi che, è bene ricordarlo, sono
dei lavoratori e non dell’impresa o dello Stato; ancora una volta (come è stato già fatto con i famosi
80 euro) si vuole togliere con una mano per dare con l’altra con lo stesso
risultato, un pugno di mosche per chi la crisi la sta vivendo sulla propria
pelle.
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