sabato 15 agosto 2015

Cercasi classe dirigente di Roberto Romano, Il Manifesto


 
L’Italia rimane il Paese che cre­sce meno tra quelli euro­pei. L’Europa è amma­lata, ma l’Italia è amma­lata grave. Sarà colpa della classe diri­gente, della strut­tura pro­dut­tiva, dell’assenza di qual­siasi idea di poli­tica eco­no­mica, ma anno dopo anno il Paese diventa sem­pre meno euro­peo. La Svi­mez ha recen­te­mente rac­con­tato di un Mez­zo­giorno depau­pe­riz­zato e tutti hanno sot­to­li­neato la situa­zione, ma l’Italia da troppi anni è fana­lino di coda tra i Paesi euro­pei con una minore cre­scita cumu­lata di oltre 9 punti di Pil rispetto alla media euro­pea. Una situa­zione che dovrebbe mobi­li­tare le migliori intel­li­genze del Paese, ma molti di que­sti non sono ascol­tati, oppure dipinti come gufi. Rimane la cricca del pre­si­dente del con­si­glio, al netto di alcune e poche per­sone perbene.
Se andrà bene, nel 2015 la cre­scita potrebbe rag­giun­gere lo 0,6%, esat­ta­mente quanto pre­vi­sto in aprile dalla Com­mis­sione Euro­pea, diver­sa­mente da quanto indi­cato dal governo (0,7%) nel Def (Docu­mento Eco­no­mia e Finan­zia­ria), men­tre le pre­vi­sioni per il 2016 pos­siamo lasciarle ai car­to­manti data la situa­zione inter­na­zio­nale. Anche il gigante d’argilla Ger­ma­nia, indi­pen­den­te­mente da quello che pen­sano i tede­schi di se stessi, non se la passa bene: 0,4% nel secondo tri­me­stre. Un valore al di sotto delle pre­vi­sioni. L’aspetto ine­dito è la moti­va­zione adot­tata dall’Istat tede­sco: pesano la crisi Greca e il ral­len­ta­mento della Cina. A colpi di poli­ti­che d’austerità, l’Europa ha ulte­rior­mente ral­len­tato e nes­suno può dor­mire sonni tran­quilli. Tutta l’economia è in sof­fe­renza e non vediamo all’orizzonte nes­suna inver­sione di tendenza.
Ser­vi­reb­bero inve­sti­menti pub­blici e un soste­gno alla domanda interna, ma le poli­ti­che adot­tate non fanno altro che ridurre il potere d’acquisto e i diritti dei lavo­ra­tori. Fino a quando la disoc­cu­pa­zione rimane sal­da­mente al di sopra del 12%, imma­gi­nare la cre­scita del Pil è pura fan­ta­sia. Quando i con­sumi si ridu­cono c’è sem­pre una ragione: incer­tezza e non lavoro. La pres­sione fiscale riduce la cre­scita? Il solito e neo­clas­sico modello che ha con­dotto l’Europa e l’Italia verso la più lunga e pro­fonda crisi della sua sto­ria.  
Die­tro la man­cata cre­scita ci sono le note e mai risolte que­stioni di strut­tura del Paese: l’industria è ferma e bloc­cata dalla sua spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva; l’edilizia che non rie­sce a tro­vare una nuova dimen­sione; ser­vizi alta­le­nanti, ma come potreb­bero cre­scere se le imprese chie­dono meno servizi?
Renzi sostiene che que­sta Ita­lia ha voglia di futuro, non della palude degli ultimi anni. Forse ha ragione, ma la stessa Ita­lia chiede un pro­getto cre­di­bile e non facili bat­tute sulle tasse da ridurre. Una poli­tica molto rea­ga­niana che fun­ziona solo in tempi di cre­scita, non certo in tempi di depres­sione pro­lun­gata. Le cose potreb­bero anche andare peg­gio. 
Spe­riamo che il tema delle tasse prenda il verso del det­tato costi­tu­zio­nale, ma la sen­sa­zione è un’altra. Da un lato il governo ha il pro­blema delle così dette clau­sole di sal­va­guar­dia da coprire via spen­ding review — 17 mld nel 2016 e 22 mld nel 2017 -, dall’altra l’idea di ridurre le tasse per valori che sono ogget­ti­va­mente inar­ri­va­bili, salvo inter­venti dra­co­niani su sanità ed altri isti­tuti a favore dei meno agiati. Gli isti­tuti sta­ti­stici con­ti­nuano a for­nire più di una infor­ma­zione per ripen­sare le poli­ti­che adot­tate, ma la classe diri­gente da tempo ha dimen­ti­cato cosa signi­fica «classe diri­gente». Un pro­blema in più che si aggiunge ai pro­blemi di strut­tura del paese.

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