domenica 2 agosto 2015

Il Pd è un’illusione di Alberto Burgio


pd_spaccatoL’astro di Renzi attra­versa gravi tur­bo­lenze. Si era appena con­cluso il brac­cio di ferro sulla scuola quando il Pd è stato bat­tuto in Ligu­ria, a Vene­zia e ad Arezzo. In Europa gli scon­tri su immi­gra­zione e Gre­cia hanno san­cito l’irrilevanza del gio­vane noc­chiero e ora i son­daggi lo mor­ti­fi­cano, abbat­tendo di 8 punti la mitica soglia del 40%. Non per que­sto il pre­mier arre­tra. Anzi, rilan­cia. Met­tendo così a nudo i più ripo­sti intenti.
Minac­cia il sin­daco di Roma e il pre­si­dente della Sici­lia, che hanno il torto di non appar­te­nere alla schiera dei fedeli. Stringe accordi con la crème del par­la­mento (i com­pari di Lom­bardo, Cosen­tino e Ver­dini). E attacca ad alzo zero lavo­ra­tori e sin­da­cati (Ali­ta­lia e Pom­pei), lan­cia l’offensiva sul fisco per­fe­zio­nando la muta­zione that­che­riana del governo.
Sem­brano tra­scorsi secoli dai tempi dell’Ulivo pro­diano, quando il cen­tro­si­ni­stra si illu­deva di coniu­gare neo­li­be­ri­smo ed equità. Quelle pre­tese sono sma­sche­rate nella loro inconsistenza.
E il capo del governo muove ardito alla meta: la com­piuta nor­ma­liz­za­zione neo­li­be­rale del paese. Che deve suc­ce­dere ancora per­ché final­mente si assuma che, fin­ché Renzi avrà il timone, il Pd pun­terà dritto verso un cen­tri­smo mode­rato affa­ri­stico, verso un cen­tro­de­stra di fatto, forse nella spe­ranza di alli­neare l’Italia agli stan­dard dei paesi forti dell’eurozona per mezzo di misure reces­sive che gene­rano, al con­tra­rio, il solo risul­tato di riba­dire la fra­gi­lità eco­no­mica del paese e la sua dipen­denza, fon­data su defi­cit strut­tu­rali – l’arretratezza tec­no­lo­gica, i divari ter­ri­to­riali, il peso delle fami­glie, delle clien­tele e delle camorre in ogni set­tore dell’economia, della vita civile, delle istituzioni?
Per dirla in vol­gare, il discorso non può che par­tire da una pre­messa netta: la fun­zione regres­siva svolta dal Pd. Tutta la sto­ria di que­sta legi­sla­tura lo dimo­stra. Il che chiama in causa la penosa con­dotta tenuta dalla sedi­cente oppo­si­zione interna a quel par­tito. La «sini­stra» interna ha ingo­iato tutto pur avendo i numeri (il voto con­tra­rio sulla Rai ne è la prova) per man­darlo a sbat­tere. La scusa è la neces­sità di «sal­vare la ditta». Ma la ditta è un valore se difende il lavoro, i diritti, la demo­cra­zia, la Costi­tu­zione; se riduce le ingiu­sti­zie e disu­gua­glianze che attra­ver­sano il paese. È rea­li­stico sup­porre che il Pd possa ser­vire allo scopo? Non lo è.
Non solo per­ché la «sini­stra» interna è sem­pre più debole e scom­po­sta. Il punto è che quella «sini­stra» ha smesso di essere tale dal giorno del Lin­gotto vel­tro­niano. In realtà già qual­che decen­nio addie­tro. Chi ha vis­suto il tra­va­glio della sini­stra comu­ni­sta e post-comunista dagli anni Ottanta a que­sta parte non può sot­to­va­lu­tare la pro­fon­dità della sua muta­zione cul­tu­rale. Si è trat­tato di una tra­sva­lu­ta­zione di tutti i valori. L’idea che aveva dato corpo e anima alla sini­stra ita­liana è stata spe­dita in archi­vio come un’anticaglia, sop­pian­tata dalla «moderna» visione di una società «aperta» imper­niata sulla cen­tra­lità del mer­cato e sulla sovra­nità del capi­tale pri­vato, a mala­pena masche­rata dalle parole d’ordine della meri­to­cra­zia, della con­cor­renza, della flessibilità.
Lo schema ber­sa­niano va rove­sciato. Altro che essere grati a chi resi­ste nel Pd «da sini­stra» per­ché «tiene den­tro quel par­tito l’elettorato progressista».
Quest’azione è stata ed è tra tutte la più per­ni­ciosa: trat­tiene milioni di con­sensi in una pri­gione. Per­ché con­fonde lo sce­na­rio col per­pe­tuare l’illusione dell’appartenenza del Pd a una sini­stra social­de­mo­cra­tica che peral­tro dile­gua in tutta Europa. Per­ché impe­di­sce al grosso dell’elettorato di sini­stra di inci­dere in coe­renza con le pro­prie inten­zioni. Per­ché osta­cola il sor­gere di una forza di sini­stra che final­mente resti­tui­sca al paese (al mondo del lavoro e ai ceti subal­terni) una rap­pre­sen­tanza politica.
Nell’intervista al mani­fe­sto Susanna Camusso lamen­tava la pas­sione della sini­stra per le divi­sioni. Che la denun­cia del set­ta­ri­smo colga nel segno lo dimo­stra tutta l’infausta sto­ria di Rifon­da­zione comu­ni­sta. Ma è vero para­dos­sal­mente anche l’opposto: che l’immaturità di una forza si mani­fe­sta nell’incapacità di com­pren­dere quando una diva­ri­ca­zione si impone, quando diviene vitale la pra­tica dell’autonomia, quel che Gram­sci chiamò «spi­rito di scissione».
Tutto dipende dalla capa­cità di giu­di­zio. La que­stione della sini­stra in Ita­lia va ormai affron­tata di petto, con la con­sa­pe­vo­lezza che, fin­ché il qua­dro resterà sta­gnante, Renzi potrà fare e disfare, mal­grado i disa­stri che dis­se­mina. Forte dell’assenza di alter­na­tive decenti e, soprat­tutto, della con­fu­sione che regna sovrana a sinistra.

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