sabato 21 gennaio 2012

Cazzo, tornate sulla nave

Ciò che sta accadendo nel Paese con l’esplosione di proteste a volte corporative, altre volte separatiste e di natura  inquietante, altre volte dettate dalla povertà e dall’ingiustizia, è il frutto combinato e correlato di due mali: il tecnicismo ideologico di Monti che ritiene necessarie le ricette Merkel-Sarkozy, peraltro ritenute inefficaci dalla massima parte degli economisti e l’eclissi totale della politica, ritiratasi sullo scoglio come Schettino. Non da ieri: da molto tempo ormai le ragioni sociali sembrano scomparse dal dibattito e la stessa questione morale che è anche questione di eguaglianza, si è ridotta a pura riprovazione del berlusconismo e della corruzione imperante senza riflettere minimamente al fatto che il verminaio dal quale spuntavano le varie nipoti di Mubarak non era altro che uno degli aspetti di una politica ridotta dentro logiche di azienda padronale o di apparato.
Così come un miraggio tra una duna e l’altra di questo passaggio nel deserto, pare che l’assenza del caravanserraglio cui siamo abituati da un decennio, costituisca di per sé un punto di arrivo e una condizione finalmente “normale”.  Invece siamo più che mai dentro un’anomalia, anche se essa non si presenta come quella generata da un satrapo con la sua corte dei miracoli, di servi e di venduti, di ministre massaggiatrici e di cricche. L’anomalia è per l’appunto la resa senza condizioni a una condizione oligarchica della società, dove a pagare i disastri altrui sono sempre i più deboli, anche se non sempre i più poveri. 
E’ la mancanza di parola e di lucidità non solo della politica militante alle prese con i suoi vuoti di memoria e di idee, ma della politica come consapevolezza sociale e ideativa di ciascuno di noi. Così può accadere che “Chi”, abbandonata la saga del vecchio satiro, adesso inauguri un nuovo filone montiano ad opera degli stessi servi di prima.
La discontinuità si assottiglia sempre di più anche sul piano mediatico. Però in effetti un cambiamento c’è stato: mentre dalla fine degli anni ’70 la corruzione, l’inefficienza, l’iniquità, le logiche di casta richiedevano, per essere mantenute, la ricerca di un consenso ottenuto trovando un qualche precario equilibrio dentro le deformazioni della società italiana, oggi la necessità, l’ideologia liberista, l’impotenza della politica, la paura del disastro, hanno eliminato queste limitazioni. Così si pretende di sciogliere i nodi italiani, senza tenere conto  del fatto che essi nei decenni sono diventati elementi strutturali dell’economia del Paese.
L’evasione fiscale diffusa, la mancanza di meritocrazia, il perenne e opaco contatto tra istituzioni e affari,  la disorganizzazione e la prepotenza della burocrazia, la poca fiducia nello Stato e la ricerca di piccoli privilegi al posto di far valere i diritti, le vendite di licenze, lo spreco di denaro pubblico, la polverizzazione del sistema produttivo, la difesa della rendita, l’impero delle corporazioni, il welfare improprio, possono trovare soluzione solo  attraverso un nuovo patto sociale che  un soggetto politico vivente e non mummificato dovrebbe ideare, proporre e far vincere. L’idea che la parte più facile e marginale di tutto questo possa essere realizzato in via tecnica, alla luce peraltro fioca e appannata di imposizioni altrui e ideologie al tramonto o sotto lo stimolo e l’interesse avido dei potentati locali, è solo un’illusione destinata a creare le premesse  per la disgregazione del Paese, per un diffuso ribellismo guidato dalla destra o per la creazione di un’economia sotterranea e controllata di fatto da poteri illegali già più di quanto non avvenga ora.
Se la politica esistesse ci sarebbe da dire: cazzo tornate sulla nave. Ma non c’è davvero nessuno a cui dirlo: l’imbarcazione sobriamente affonda insieme a prospettive e speranze. E qualcuno la chiama normalità.

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