L’Italia è prigioniera del debito pubblico, che impedisce di mettere
all’opera qualsiasi tipo di politica espansiva. D’altro canto, è
incontestabile che il risanamento delle finanze statali durante una
recessione mandi a picco l’economia e spinga al rialzo il rapporto tra
debito e Pil: questa è la pesantissima eredità lasciata dalla politica
economica del governo Monti, che ha fatto lievitare tale rapporto sino
al massimo storico del 130 per cento. E le agenzie di rating puniscono
implacabilmente ogni aumento del rapporto tra debito e Pil, declassando
il merito di credito del nostro paese e alimentando così la spirale
recessiva. Siamo dunque precipitati in una trappola che ci sta
trascinando a fondo.
Come uscirne? La strada maestra sarebbe quella di costruire
finalmente un’Europa federale sul modello degli Stati Uniti, mettendo in
comune i debiti pubblici dei singoli Stati europei, lanciando gli
eurobond per finanziare un grande piano di sviluppo a livello
continentale e trasformando la Banca centrale europea in un vero
prestatore di ultima istanza. Ma sappiamo che una tale strategia
richiederebbe la costituzione di un gruppo di paesi in grado di spazzare
via le resistenze tedesche. E ciò non è attuabile in tempi brevi.
Allora dobbiamo trovare altre strade: una di queste è rappresentata
dalla ristrutturazione del debito pubblico proposta da Beppe Grillo, una
misura che nel 2012 è stata attuata in Grecia con risultati inferiori
alle attese. Ma ci sarebbero anche altre possibilità, a cominciare da
quella illustrata da Massimo Mucchetti in un articolo sul Corriere della
Sera del 7 settembre 2011 (“Il peccato tedesco sul debito”), secondo
cui l’Italia potrebbe deconsolidare dal suo debito pubblico circa 100
miliardi di euro che la Cassa depositi e prestiti usa per gli enti
locali, i quali la scelgono su un mercato bancario libero. La Cdp è
controllata per il 70 per cento dal Tesoro e per il restante 30 da
fondazioni bancarie e soggetti privati ed emette obbligazioni che godono
della garanzia statale e sono collocate dalle Poste sotto forma di
buoni e di libretti.
Si tratta di circa 300 miliardi di euro, due terzi reinvestiti in
titoli di Stato e un terzo in mutui agli enti locali. In più, la Cdp
emette obbligazioni non garantite per 20 miliardi destinate alle
iniziative delle imprese e detiene partecipazioni rilevanti di società
quotate. Ma il suo debito è, per tutta la parte coperta da garanzia
pubblica, conteggiato nel debito pubblico. Ben diversa è la situazione
in Germania, che non include nel suo debito pubblico le passività del
Kreditanstalt fuer Wiederaufbau (Kfw), posseduto all’80 per cento dallo
Stato e al 20 per cento dai Laender. Tali passività sono pari a 428
miliardi di euro e sono interamente garantite dalla Repubblica federale,
con il risultato che il tasso sulle obbligazioni è equivalente a quello
dei bund.
Ma, a differenza dei bund, non entrano nel conto del debito pubblico,
evitando di far salire il rapporto tra debito e Pil della Germania da
circa l’80 per cento a quasi il 100 per cento, alla stregua di un paese
“vizioso” del Sud Europa. Non solo: se nel nostro paese ci fossero enti
creditizi di proprietà pubblica, come accade in Germania, essi
potrebbero ricevere la liquidità fornita dalla Banca centrale europea al
tasso privilegiato dello 0,75 per cento per comprare i titoli di Stato
italiani immessi sul mercato, spegnendo immediatamente la febbre da
spread. In questo scenario, lo Stato pagherebbe gli interessi su Bot e
Btp a se stesso, in quanto sarebbe debitore di una banca di cui è il
proprietario. Così quei soldi tornerebbero allo Stato, oppure andrebbero
a ricostituire le riserve della banca stessa, che sarebbe in grado di
svolgere al meglio le proprie funzioni e di comprare i titoli senza più
chiedere soldi alla Bce. Pertanto, l’Italia potrebbe nazionalizzare una
banca, come per esempio il Monte dei Paschi di Siena, usandola come
veicolo per sostenere i titoli di Stato e abbattere il tasso di
interesse.
Un’altra strada che potrebbe essere percorsa è quella di utilizzare i
titoli pubblici (bot) come moneta complementare. I titoli pubblici
potrebbero dunque costituire una massa monetaria gigantesca in grado di
finanziare lo sviluppo dell’economia nazionale, trasformando la
debolezza che deriva dall’enorme debito pubblico in un punto di forza.
La possibilità che i titoli pubblici possano essere utilizzati negli
scambi e negli investimenti sostituendo la moneta non sembra che sia
stata compresa appieno sul piano teorico; sul piano pratico invece si
era capito molto bene visto che con i titoli pubblici si pagavano anche
le tangenti.
Per attuare una strategia di questo tipo sarebbe essenziale la
trasformazione del debito estero in debito interno, poiché se i titoli
sono accumulati all’estero essi non circolano e di conseguenza perdono
la loro funzione monetaria. Si eviterebbero inoltre operazioni di natura
speculativa da parte delle grandi banche d’affari, stabilizzando il
valore dei titoli pubblici, come accade in Giappone – un paese che ha un
rapporto tra debito pubblico e Pil doppio rispetto all’Italia, ma non
ha il problema dello spread –, in cui è prevista l’emissione di
particolari certificati del Tesoro, con rendimenti sicuri e ancorati
all’inflazione, da riservare al risparmio delle famiglie.
Si potrebbe allora nazionalizzare una parte consistente dei bot e
bisognerebbe costruire un sistema di compensazione fra imprese per far
funzionare i titoli pubblici non come riserva di valore, ma come moneta
complementare. In una tale strategia, la Banca d’Italia potrebbe avere
un ruolo di stabilizzatore e di garante del valore dei titoli pubblici, i
quali potrebbero circolare ed essere usati nel mercato interno come
strumenti di pagamento alternativi alla moneta ufficiale. Da queste
brevi considerazioni, risulta chiaro che la risoluzione del problema del
debito pubblico è una questione politica più che economica: non saranno
i tagli alle spese, la cessione del patrimonio dello Stato e gli
aumenti delle tasse ad alleviare il problema, ma, al contrario, è
indispensabile una forte iniziativa politica per cambiare radicalmente
la situazione.
Fonte: rassegna.it
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