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Parlando al meeting annuale di Lindau, in Bavaria, Mario Draghi ha nuovamente difeso il "suo" Quantitative easing:
"È ingiustificato affermare che sia uno strumento inutile", è stata la sua conclusione, ricordando che "ampie ricerche empiriche hanno affermato il successo di queste politiche nel supportare l'economia e l'inflazione, sia nell'Eurozona, sia negli Usa".
A
parte il fatto (non certo secondario) che negli Stati Uniti
l'allentamento quantitativo è iniziato immediatamente dopo lo scoppio
della crisi (in Europa dopo sette anni!), accompagnandosi a un
sostanzioso programma di stimolo fiscale (sostegno alla domanda interna,
rilancio dell'occupazione) all'economia, non si capisce a quali dati
"empirici" il governatore abbia fatto riferimento, stando ai risultati
dell'operazione, fino a oggi.
Di
certo, non poteva snocciolare dati statistici il numero uno
dell'Eurotower, perché stridenti con gli obiettivi del programma e con
le sue stesse dichiarazioni. A luglio, l'inflazione annuale calcolata
per l'intera eurozona è stata dell'1,3%, stabile rispetto al mese
precedente, nel quale si era registrata un'altra flessione dopo il picco
di aprile (+1,9%, il più alto dal 2013).
Un
dato che allontana nuovamente l'obiettivo del (quasi) 2%, nonostante gli
oltre 1500 miliardi di euro finora "iniettati" nel sistema (soldi
creati dal nulla, ovviamente). Non è una questione di poco conto:
inflazione troppo bassa significa che la gente non consuma, che
l'economia ristagna, che la crisi non è ancora alle spalle. Insomma, di
inflazione si può morire, se è troppa, ma anche se è troppo poca.
A
complicare le cose ci si mette, ora, anche la "corsa" dell'euro. Una
variabile inattesa, perché tra gli effetti dello stampare moneta
dovrebbe esserci anche un deprezzamento della stessa. E invece no. A
gennaio era quasi parità col dollaro, oggi di biglietti verdi ce ne
vogliono 1,17 per ogni euro (+13% dalla fine di dicembre).
Un
problema per l'export e per l'agognata ripresa, inflazione compresa.
Niente di strano, nondimeno: gli investitori hanno perso un po' di
fiducia in Trump e stanno dirottando altrove le proprie scelte. La
conseguenza è che il dollaro scende e altre monete diventano più forti
rispetto ad esso, a cominciare dall'euro. Ecco, basta un Trump di turno
per mandare in fumo migliaia di miliardi. E questo accade quando il
futuro di un'economia, che poi è il futuro di milioni di persone in
carne ad ossa, è affidato quasi totalmente alla presunta "efficienza del
mercato".
A
dieci anni dalla Grande recessione, siamo ancora qui, salvo alcune
eccezioni, ad aspettare il miracolo, la ripresa duratura, strutturale, o
quella da "assecondare", a bearci per gli zero virgola, in attesa che i
colpi del bazooka di Draghi finalmente vadano a segno.
Facciamo
finta di non accorgerci che lo stesso incremento del Pil, quando c'è,
non è direttamente proporzionale alla crescita dell'occupazione e del
benessere. Può capitare, per esempio, che un Paese come l'Irlanda vada
in deflazione e, al tempo stesso, faccia registrare il più robusto balzo
in avanti del Pil su base annua tra tutti i partner dell'eurozona
(+6,1%). C'è Pil e Pil, d'altro canto. In questo caso, siamo di fronte
ad un Pil trainato dalle delle multinazionali dell'hi-tech: grandi
profitti, pochissimi dividendi per i cittadini.
Nel
frattempo blindiamo i bilanci pubblici, dal centro alla periferia, dai
governi nazionali agli enti locali, con paletti e soglie assurde,
contribuendo all'asfissia del sistema economico che diciamo di voler
rianimare. Lo dicono tutti, ormai: all'Europa manca la "seconda
freccia", ovvero politiche fiscali espansive, più spesa pubblica, per
rilanciare la domanda interna, spingere i consumi, creare nuovi posti di
lavoro.
Tutti,
anche la stampa mainstream, convengono che continuare a stampare moneta
non servirà a molto, se la stessa continuerà a girare soltanto nel
circuito bancario, che, per buona parte, la trattiene, in quanto
liquidità in eccesso. Al massimo, potrà verificarsi un alleggerimento
della pressione dei mercati sui titoli di Stato (tassi di interesse più
bassi), come in verità sta accadendo, ma gli effetti sull'economia reale
saranno pressoché nulli.
Oggi è atteso l'intervento di Draghi al simposio annuale delle banche centrali a Jackson Hole. Non aspettiamoci sorprese.
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