È impossibile capire quanto sta avvenendo in
Siria e in Medio Oriente senza una chiave di lettura capace di individuare il
motore di una immensa destabilizzazione di tutta l’area, che ha agito negli
ultimi venti anni, a partire dalla caduta del muro di Berlino.
Ogni altra interpretazione dei sommovimenti,
delle guerre civili e delle tensioni fra gli stati dell’area, per quanto
parzialmente fondata sulla descrizione di episodi ed avvenimenti, si è rivelata
incapace di elaborare previsioni azzeccate e soprattutto di fornire la base per
una soluzione politica e negoziata dei conflitti armati e non, che incendiano
tutto il Medio Oriente.
Anzi, a dire il vero, appare sempre più chiaro,
per lo meno agli occhi di chi ha conservato un minimo di spirito critico, la
natura strumentale e propagandistica delle sofisticate campagne di
disinformazione di massa perpetrate dai mass media “occidentali”.
Stando alla pubblicistica corrente, per non
parlare delle comparsate in TV di “esperti” capaci di dire, anche a distanza di
poche settimane, tutto e il contrario di tutto, in Siria sarebbe in corso una
“rivolta” popolare contro un regime dittatoriale. I “rivoltosi” o “insorti” che
dir si voglia sarebbero una formazione composita ed anche inquinata da settori
del fondamentalismo islamico, ma tutto sommato tesa a conquistare libertà e
democrazia. Le potenze occidentali, USA e paesi ex colonialisti europei,
sarebbero dilaniati dalla contraddizione di voler, da una parte, assolvere al
proprio compito “storico” di promuovere ed esportare la democrazia, e
dall’altra di rapportarsi agli stati dell’area secondo le norme del diritto
internazionale, anche coltivando più o meno inconfessabili rapporti vantaggiosi
con i singoli regimi al potere negli stati dell’area.
Se non stessimo parlando di morte, distruzione,
esodi di massa, si potrebbe davvero ridere nel sentire gli inventori, storici
utilizzatori e venditori delle armi di sterminio di massa, accusare qualcuno di
utilizzarle in una guerra civile senza esclusione di colpi, per giustificare
interventi militari a favore di una fazione in lotta nella guerra civile.
Fazione che si è armata ed incoraggiata a produrre una guerra civile al fine di
rovesciare un regime non addomesticato agli interessi imperialistici e
neocolonialisti occidentali e che, nel caso, si deve sostenere attivamente dal
punto di vista militare fornendo dall’esterno quella superiorità aerea che gli
manca per compiere la propria missione, come è già avvenuto in Libia.
È davvero stupefacente osservare come sia
possibile che capi di stato, considerati (sic) “progressisti” e di “sinistra”
come Obama e Hollande, possano sostenere e proporre di violare ogni norma del
diritto internazionale, di annullare l’ONU che rimane l’unica sede di
mediazione pacifica della comunità mondiale o di ridurla a notaio di accordi
tra le potenze sottoscritti in sedi informali o, peggio ancora, in sede di
alleanze di parte, come il G8 o la NATO. Le “notizie” fabbricate dai servizi di
intelligenza amplificate acriticamente dal 90 % dei mass media, ed anche in
internet, sono buone per manipolare un’opinione pubblica sempre più
disinformata. Lo sono meno per ancorare una discussione seria fra gli stati nei
luoghi preposti dal diritto internazionale. Ma anche in questo caso servono per
presentare, come successe in Bosnia e poi nel Kosovo, una comunità
internazionale divisa fra volenterosi amanti dei diritti umani e cinici
indifferenti e complici del male assoluto. E per spiegare, quindi, la necessità
di agire in proprio nel nome del bene.
Certo, col passare del tempo e le numerose
smentite che la cronaca, se non la storia, ha prodotto dei molti pretesti con i
quali si sono giustificate intraprese guerresche occidentali, le parole di
Obama e di Hollande mostrano sempre più la corda. Tuttavia non bisogna sottovalutare
la funzione di traino esercitato in questo momento da USA e Francia, che
infatti incassano firme su documenti che sostanzialmente, anche se non
immediatamente, giudicano e condannano il governo Assad ed implicitamente
chiudono i varchi e gli spiragli di una qualsiasi soluzione negoziata del
conflitto. E costringono Russia e Cina ad un ruolo comprimario e refrattario,
proprio perché incapace ed impossibilitato a promuovere una soluzione negoziata
in sede internazionale ed in sede locale fra le diverse fazioni in lotta.
Per meglio comprendere cosa stia succedendo
realmente bisogna fare alcuni passi indietro, perché come ho accennato
all’inizio esiste una spiegazione che può illuminare lo scenario, rimuovendo le
ombre prodotte dalla disinformazione e dalle spiegazioni episodiche e
superficiali interessate.
Proprio in questi giorni si può sentire parlare
ripetutamente del “fallimento della guerra in Iraq”. Certamente, rispetto agli
obiettivi proclamati, e giustificati con clamorosi falsi, l’avventura della
Coalizione dei Volenterosi e della guerra illegale e unilaterale, si potrebbe
parlare di pieno fallimento. L’Iraq è tutt’altro che pacificato e in realtà
ormai gran parte del Medio Oriente è stato destabilizzato, anche sul piano
interno ai singoli paesi. Il conflitto israeliano palestinese si è aggravato ed
aggrovigliato maggiormente. E tutto ciò ha prodotto e produce conflitti armati,
che per altro sono un buon mercato per i produttori di armamenti, decine di
migliaia di morti e milioni di profughi.
Basta considerare questo apparente fallimento
come il vero obiettivo, invece di credere ai pretesti e alle veline della CIA,
e si può scoprire che tutta la strategia iniziata con la Prima Guerra del Golfo
ha avuto pieno successo.
Dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica e del
Patto di Varsavia si sarebbe potuto procedere ad una riforma del Consiglio di
Sicurezza dell’ONU e all’implementazione dell’articolo dello Statuto dell’ONU
che prevede la formazione di una forza militare internazionale utile a svolgere
la funzione di polizia internazionale. Si sarebbe cioè potuto evitare che la
fine della guerra fredda sboccasse in un governo unilaterale del mondo da parte
dei paesi ricchi e promuovere in ogni dove la soluzione negoziata e politica
dei conflitti armati.
Invece è successo il contrario. L’ONU è stata
fatta apparire agli occhi del mondo come incapace di risolvere i conflitti.
Notevole il caso della Bosnia dove USA e diverse altre potenze occidentali si
sono rifiutate di fornire i Caschi Blu necessari ad interporsi alle fazioni in
lotta per imporre una soluzione negoziata, al fine di lasciar aggravare il
conflitto allo scopo di giustificare l’intervento diretto della NATO. O è stata
cancellata, scavalcata ed umiliata come nel caso della guerra in Yugoslavia e
in Iraq. Sempre è stata ridotta al ruolo di notaio utile solo a ratificare le
situazioni di fatto emerse dagli interventi unilaterali o a fornire un avallo
pseudo legale a monte degli stessi.
Ne è scaturito un mondo nel quale i paesi ricchi,
o occidentali che dir si voglia, hanno rilanciato la NATO come autoproclamato
gendarme del mondo. Per questo invece che sciogliersi in assenza del nemico
storico si è rafforzata ed allargata notevolmente. E gli USA hanno usato con
sapienza l’unilateralismo e il multilateralismo, la ricerca della risoluzione
del Consiglio di Sicurezza atto a giustificare le guerre o la più spudorata
illegalità extra-ONU, al fine di continuare ad esercitare un ruolo egemonico
fondato sulla pura e semplice potenza militare.
Un mondo nel quale le risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza trovano applicazione solo se sono promosse o sposate da alleanze o
potenze militari di parte o nel quale queste ultime possono agire come vogliono
anche senza nemmeno una riunione del Consiglio di Sicurezza è un mondo
governato da una dittatura, nel senso pieno del termine.
È come, mi si permetta un paragone suggestivo ma
non per questo non pertinente, uno stato nel quale governo e parlamento non
hanno la polizia a disposizione per fare applicare le leggi. Se la polizia è
quella privata della decina di famiglie più ricche quali leggi saranno fatte
applicare e quali no? Se le polizie private agiscono fuori dalla legge o contro
la legge chi potrà impedirglielo?
La strategia della “guerra permanente”, la confezione
delle giustificazioni “umanitarie” per le guerre guerreggiate, l’unilateralismo
statunitense o l’unilateralismo occidentale ancorché definito
“multilateralismo”, hanno scientemente destabilizzato il Medio Oriente al fine
di rilanciare il dominio occidentale. Hanno messo perfettamente nel conto che
la destabilizzazione avrebbe prodotto conflitti interreligiosi, interetnici ed
avrebbe esasperato le tensioni fra i singoli stati dell’area. Solo sprovveduti
in buona fede (che sono sempre i più pericolosi) o bugiardi in mala fede
potevano e possono pensare che USA ed alleati possano essere sorpresi dalla non
pacificazione dell’Iraq e di tutta l’area. La prova più evidente è che il
proclamato nemico giurato, il terrorismo fondamentalista islamico, è stato più
volte armato e utilizzato o favorito di fatto con totale cinismo. Ed è quel che
sta avvenendo in queste ore in Siria.
I centri studi e le agenzie di intelligenza degli
USA e dei paesi della NATO sanno benissimo che i regimi, perché di regimi si
tratta, scaturiti nel periodo della decolonizzazione e nel quadro della guerra
fredda, al potere in stati multietnici e multi religiosi tendenzialmente
ingovernabili se non in modo autoritario non possono essere sostituiti da
“democrazie occidentali”. Sanno benissimo che quegli stati possono deflagrare o
produrre conflitti e guerre civili di lungo periodo. Sanno benissimo che in
tutto questo per sterminate masse aumenta la credibilità del fondamentalismo
islamico. Ma è esattamente questo l’obiettivo che permette di perpetuare, con
le ovvie produzioni spettacolari di pretesti e di giustificazioni, il rilancio
della potenza militare come leva egemonica e di dominio del mondo, proprio
quando il sistema economico capitalistico produce contraddizioni e disastri
sociali che ne mettono in evidenza la vera natura.
Qualche giorno fa sul Manifesto in un
bell’articolo Annamaria Rivera si chiedeva che fine abbia fatto il movimento
pacifista, che all’epoca della guerra in Iraq fu definito “la seconda potenza
mondiale”.
A mio modestissimo parere, per quanto percorso e
positivamente intriso di ripudio etico della guerra e della violenza, non può
esistere un movimento pacifista che non sia capace di analizzare le tendenze di
fondo economiche e geopolitiche che producono le guerre. Le spiegazioni etiche
e semplificate non solo si rivelano incapaci di fermare le guerre, ma risultano
inadatte a produrre alternative concrete ed obiettivi realisticamente
realizzabili. Non si tratta di cinismo o minimalismo. Si tratta di avere una politica
o meno.
Se le considerazioni esposte in questo articolo
hanno anche un minimo fondamento bisognerebbe che il movimento pacifista (ed
aggiungo: la sinistra degna di questo nome) dovrebbero saper dire:
1) la guerra civile in Siria non può essere
risolta se non con un negoziato politico e con la ricerca di un nuovo assetto
politico istituzionale che sia rispettoso delle etnie e religioni tutte.
2) nel Consiglio di Sicurezza si dovrebbe
discutere di una missione di pace sotto il comando diretto dell’ONU (come
quella in Libano) che svolga la funzione di interposizione e di tutela delle
popolazioni civili.
3) le coalizioni a geometria variabile e la NATO
devono essere superate in favore della piena assunzione da parte dell’ONU della
funzione di polizia internazionale.
4) l’Italia deve dichiarare di non partecipare e
nessuna missione militare che non sia di Caschi Blu e che non abbia come
obiettivo l’arresto dei conflitti armati e la soluzione politica degli stessi.
Deve conseguentemente riformare il proprio modello di difesa e rimettere in
discussione l’appartenenza alla NATO.
Senza questi obiettivi politici, od altri
analoghi e altrettanto realistici sui quali si può proficuamente discutere, i
pacifisti sono destinati a dividersi inesorabilmente e ad essere subalterni,
nonostante la radicalità delle posizioni etiche, alla imperante politica di
guerra. Sono destinati a scendere in piazza contro Bush insieme agli apologeti
della guerra umanitaria in Kosovo, a riporre malamente le proprie speranze in
Obama o in Hollande. Sono destinati cioè ad essere impotenti contro la guerra.
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