martedì 31 maggio 2011

NON FARTI PORTARE VIA L'ACQUA

Il ritrovo sarà nei pressi del monumento dell'AVIS
(giardinetti Borgo Garibaldi)

UN PAESE ALLA DERIVA

Un autentico disastro sociale è in corso. Naturalmente il «partito degli ottimisti» non lo ammetterà mai, naturalmente gli uomini del governo hanno già le loro interpretazioni rassicuranti, naturalmente per quelli della finta opposizione il problema è sempre e solo Berlusconi, ma i dati diffusi nei giorni scorsi da Istat ed Inps parlano chiaro.
In Italia la povertà è in crescita, e mentre la disoccupazione giovanile è ormai alle stelle, per gli anziani si prospetta un futuro (vedi i dati sulle pensioni) sempre più nero.

Esagerazioni? No, basta esaminare i numeri nella loro crudezza. Numeri ancora più drammatici se analizzati in prospettiva. Numeri che ci parlano di un futuro insostenibile per il grosso delle classi popolari, specie se passerà la linea dei sacrifici «europei» per la riduzione del debito pubblico. Questa linea non ha oggi oppositori né a destra né nel centrosinistra, mentre di tutto si parla, nei media come nel cosiddetto «dibattito politico», tranne che della gravità della situazione sociale. Come hanno scritto gli «indignados» spagnoli in un loro cartello: «Il capitalismo non funziona». Un modo sintetico di dire che la crisi è tutt'altro che risolta, che anzi i suoi effetti sociali devono ancora dispiegarsi, che né le oligarchie dominanti né la classe politica al servizio hanno la benché minima idea su come uscirne.
Ma veniamo ai numeri. I dati diffusi dall'Istat ci dicono che 15 milioni di persone si trovano in condizioni di povertà. Si tratta di un quarto della popolazione italiana (per l'esattezza il 24,7%). Si tratta - precisa l'Istat - di famiglie che vivono in condizioni di deprivazione, che non riescono a far fronte a spese impreviste, anche se di modesta entità, che restano morose nel pagamento delle bollette o del mutuo, che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa nei mesi invernali. Il peggioramento generale delle condizioni economiche emerge chiaramente dal dato sui risparmi delle famiglie, calato nel 2010 del 12,1% rispetto all'anno precedente. Una dinamica facilmente spiegabile alla luce di un altro dato, quello sul potere d'acquisto, calato del 3,5% nel 2009 e di un ulteriore 0,5% nel 2010. Giova ricordare che questi dati sono soltanto delle medie che, viste le gigantesche diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, contengono larghe fasce popolari che hanno visto un crollo del potere d'acquisto (e dunque non parliamo dei "risparmi") ben più grave. Sta di fatto - segnala l'Istituto di statistica - che, sempre nel 2010, il 16,2% delle famiglie ha dovuto contrarre debiti, mentre la percentuale di quanti sono impossibilitati a far fronte ad una spesa imprevista di soli 800 euro è pari al 33,3%. Le famiglie in arretrato nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, ecc.) sono l'11,1%, mentre quelle che dichiarano di non potersi permettere neppure una settimana di ferie lontano da casa sono addirittura il 40%.
E' esagerato, alla luce di queste cifre, parlare di disastro sociale? Non ci pare proprio.
Ma se il presente è questo, il futuro per milioni di persone si chiama Inps, cioè pensioni. E proprio nei giorni scorsi l'Inps ha presentato i dati del 2010. Numeri che parlano da soli: oltre la metà delle pensioni Inps (50,8%) non raggiunge i 500 euro, il 28,2% si colloca tra i 500 e i 1.000 euro, l'11,1% tra i 1.000 e i 1.500 euro, mentre solo il 9,9% supera i 1.500 euro mensili. Da notare che tutte queste cifre sono al lordo, cioè a monte del prelievo fiscale. Cifre pesantissime, ma che ancora non scontano se non in piccola parte i tagli draconiani imposti con le varie controriforme del sistema pensionistico, che dispiegheranno i loro effetti letali nei prossimi anni, quando le pensioni arriveranno al 45% dei salari, mentre i lavoratori con lunghi periodi di precariato si fermeranno a percentuali ancora più basse.
Dati drammatici, che pure hanno trovato la piena soddisfazione del ministro del Welfare Sacconi e del presidente dell'Inps Mastrapasqua. Mentre per il primo l'unica preoccupazione è la scarsa adesione dei lavoratori (5,3 milioni su una base potenziale quattro volte più grande) ai fondi previdenziali integrativi, il secondo ha rassicurato sul fatto che anche i giovani avranno la loro pensioncina: basterà lavorare fino a 70 anni, versare più contributi ed accontentarsi di una pensione da fame...
Abbiamo scritto più volte che un massacro sociale è alle porte, che l'uso di classe del debito pubblico sarà lo strumento per scaricare sulle classi popolari i costi della crisi del sistema. Ma questo massacro non ha un'ora x. In realtà è già in corso, anche se il peggio deve ancora venire. Istat ed Inps ce lo confermano, così come i dati di Bankitalia sulla ricchezza - il 10% delle famiglie che possiede il 45% della ricchezza, mentre il 50% delle famiglie ne possiede solo il 10% - ci dicono che nella crisi le differenze sociali sono destinate a farsi ancora più profonde.
Non necessariamente la povertà conduce alla rivolta, ma l'impoverimento in genere sì. Nell'ultimo ventennio i salari si sono prima fermati, per poi perdere decisamente potere d'acquisto. I giovani sono stati i più colpiti. Compensavano però le famiglie, con i risparmi e con i redditi degli anziani. Questo schema ormai non funziona più. Funziona, invece, ma non sappiamo ancora per quanto, l'egemonia culturale di quel «pensiero unico» che impedisce di vedere la possibilità della fuoriuscita dal capitalismo.
Intanto, però, la rabbia sociale cresce. Non passerà molto tempo prima che la lotta di classe riprenda il centro della scena. Non sappiamo con quali forme avverrà, ma certamente esse saranno più simili a quanto avviene in Spagna, piuttosto che alle vecchie e logore liturgie sindacali. Non illudiamoci sulla strada che imboccherà questa rabbia sociale. Dipenderà da molti fattori, tra i quali non ci stancheremo mai di sottolineare la necessità di un'adeguata piattaforma politico-programmatica. Non illudiamoci, perché le sconfitte dell'ultima parte del Novecento pesano ancora come macigni. Ma non si illudano neppure le classi dominanti, né i loro scribacchini. Si scordino la pace ed il compromesso sociale. Hanno creato un inferno e dovranno scottarsi anche loro.
Leonardo Mazzei

lunedì 30 maggio 2011


Il ritrovo sarà nei pressi del monumento dell'Avis (giardinetti Borgo Garibaldi)

giovedì 26 maggio 2011

DICHIARAZIONI D'IMPUNITA'


È tempo di dichiarazione dei redditi. E uno si consola pensando che è un dovere costituzionale. Articolo 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Poi arriva l’Associazione art. 53 (una benemerita iniziativa di alcuni cittadini molto professionali e specializzati) e ti rovina la festa. Mi hanno mandato i dati Irpef del Dipartimento delle Finanze relativi alle dichiarazioni 2010 (redditi 2009). In Italia pagano le tasse 41.523.054 contribuenti. Di questi, 20.870.919 sono lavoratori dipendenti e 15.292.361 pensionati. Tutti gli altri (professionisti, artigiani, commercianti, imprenditori etc) sono 5.359.774.

Di per sé, che le imposte siano pagate, per l’88 %, da dipendenti e pensionati potrebbe non essere drammatico: tutto sta a vedere quanto paga il restante 12%. Qui arriva la sorpresa. Nel 2010 il gettito Irpef è stato pari a 146,5 miliardi di euro. Il 93% di questa somma l’hanno pagato i dipendenti e i pensionati (rispettivamente 89,5 e 47,7 miliardi). Gli “altri” hanno pagato 9,2 miliardi.

Non c’è da arrabbiarsi? Non è evidente che questa situazione dimostra che il nostro sistema semplicemente non è in grado di controllare gli impianti contabili e le dichiarazioni di nessuno e che, quindi, non è in grado di far pagare le imposte a nessuno, salvo che a quelli cui può prelevarle alla fonte?

Altra volta ho scritto del perverso sistema “accertamento tributario quinquennale-condoni” che è strutturato in modo da garantire l’impunità fiscale. I dati che l’Associazione art. 53 mi ha mandato dimostrano che è anche garantita l’impunità penale. Dovete sapere che frode fiscale, dichiarazione infedele e omessa dichiarazione sono punite dalla legge 74/2000 (che ho scritto io, pensate un po’). Poi il Parlamento ci ha messo le mani. Di tutte le schifezze perpetrate, ecco qui la peggiore.

Per essere condannati bisogna avere evaso un’imposta superiore a 77.468 euro (frode fiscale e omessa dichiarazione) o 103.291 euro (dichiarazione infedele); se è inferiore, niente processo penale, incensurati a vita (per dirla con B). Imposte di questo livello presuppongono redditi pari almeno al doppio: le aliquote d’imposta, in questi casi, vanno dal 40 al 50%. Quindi, chi ha evaso un’imposta di 77.000 euro ha fatto un “nero” di almeno 140.000 euro; e chi ha evaso un’imposta di 103.000 euro ne ha fatto uno pari almeno a 206.000 euro.

Secondo i dati del Dipartimento delle Entrate i contribuenti che hanno dichiarato redditi superiori a 140.000 euro sono stati 394.327, così suddivisi: 250.959 hanno conseguito redditi da 100.000 a 150.000 euro; 71.379, redditi da 150.000 a 200.000; 71.989, redditi oltre i 200.000 euro. Insomma la legge penale tributaria italiana si può applicare, in concreto, a meno di 400 mila cittadini; in realtà probabilmente a meno di 200 mila perché la prima categoria (100.000 – 150.000 euro) in gran parte non raggiunge la soglia di punibilità prevista.

Non credo che qualcuno possa pensare seriamente che questa situazione è casuale. Anche se lo fosse stata all’inizio, non ci voleva un genio della finanza per capire come stavano le cose. E non averle cambiate dimostra che esiste una trattativa bis, per dirla con l’attualità. Evasori, voi siete tanti; votateci e noi vi garantiamo che non sarete disturbati. Dimenticavo: anche qui senza distinzioni, destra e sinistra alleate nei voti di scambio.

Bruno Tinti, Il Fatto Quotidiano






Referendum: una battaglia per la democrazia

Quindici attivisti dei comitati referendari hanno occupato ieri mattina la sede della Rai, chiedendo ed ottenendo un incontro con la nuova direttrice Lorenza Lei, per denunciare lo scandaloso boicottaggio dell’informazione finora avvenuto sui referendum del prossimo 12e13 giugno.
Non più tardi di quindici giorni fa, per ottenere l’approvazione del regolamento sull’informazione televisiva dalla Commissione di Vigilanza Rai, sono stati necessari due giorni di presidio sotto la sede. Tutto questo mentre da ormai 72 ore un presidio permanente davanti a Montecitorio protesta contro il tentativo di scippo del quesito sul nucleare, che il Governo ha approvato ieri con il voto di fiducia.
La democrazia fa paura, non c’è dubbio. Soprattutto quando è esercitata da donne e uomini, che da tempo e in tutti i territori, hanno deciso di muoversi in prima persona per la ripubblicizzazione dell’acqua e per fermare il nucleare, costruendo la più grande coalizione sociale degli ultimi anni e riaffermando, dopo aver raccolto oltre 1,4 milioni di firme, un elementare principio: su ciò che a tutti appartiene, tutte e tutti dobbiamo decidere.
E, mentre i poteri forti del grande capitale finanziario e delle multinazionali vivono con terrore il pronunciamento popolare, anche il fronte dei partiti politici registra le prime inversioni di rotta: dal Pd, finora combattuto tra una base attiva nei referendum e la lobby interna che sulle multiutilities ha costruito blocchi di potere territoriale, alla Lega Nord, che con Bossi apre ai referednum sull’acqua, consapevole che, dopo la batosta elettorale delle amministrative, è meglio non esacerbare una base di elettori e di amministratori locali da sempre sospettosa sulle politiche di privatizzazione del servizio idrico.
La partita che si gioca con i referendum è decisiva.

Perchè va al cuore delle politiche liberiste, che per la prima volta possono essere sanzionate con un voto democratico e popolare;

perchè rimette nelle mani delle donne e degli uomini di questo paese la decisionalità democratica e suggerisce un’altra via di uscita dalla crisi, basata sulla riappropriazione sociale dei beni comuni e dei diritti e su un nuovo intervento pubblico che rimetta al centro, e finalmente, il «cosa, come e per chi» produrre.

E perchè costituirebbe un forte segnale anche a livello europeo, dove la lobby continentale cerca di risolvere la crisi greca ancora una volta a colpi di privatizzazione dell’acqua, delle telecomunicazioni e delle attività portuali.
Sondaggi alla mano, cercano in tutti i modi di depotenziare il voto popolare.
Non ci riusciranno: il 12 e 13 giugno sommergiamoli di “Sì”.

Marco Bersani,

Comitato Referendario “2 SI per l’acqua bene comune”

Il manifesto degli "Indignados"

La piattaforma politica degli indignados (che pubblichiamo qui in fondo) è democratica e socialmente progressista. Prende di punta l'irresponsabilità della classe politica che si alterna al potere (il bipolarismo escludente), immaginando meccanismi legali per renderla concretamente sanzionabile. Disegna misure per combattere la disoccupazione partendo dalla riduzione dell'orario di lavoro e dal rifiuto dell'aumento dell'età pensionabile. Chiede la difesa dei posti di lavoro e il ripristino degli assegni di disoccupazione.

Prevede l'espropriazione delle case inutilizzate, trasformandole in alloggi popolari; servizi pubblici, a partire dai trasporti, di qualità e a basso costo; una scuola e un'università pubbliche, dai costi accessibili e una ricerca altrettanto indipendente perché pubblica.

Rifiuta il salvataggio delle banche con fondi statali, fino ad osare chiederne la nazionalizzazione; vuol rivedere la fiscalità generale colpendo patrimoni, plusvalenze finanziarie, società d'investimento. Vuol ridurre le spese militari, pretende l'introduzione dell'indipendenza della magistratura (che lì, evidentemente, è più limitata che in Italia). E, infine, una riforma elettorale che permetta un pluralismo effettivo, non ingabbiato a forza nel bipolarismo centrista.
Tutti punti che, anche in Italia, potremmo sottoscrivere in pieno . Diciamo che rappresentano una messa in discussione empirica, ma reale, della gestione liberista della crisi.
E' un movimento, dunque, che esprime con durezza la propria diffidenza verso la politica esistente. E la esprime magari con formule (“né di destra, né di sinistra”) pericolosamente in bilico tra qualunquismo, populismo, vaghezza. Questo è il punto più controverso, ma da cui bisogna necessariamente partire perché rappresenta il livello di “coscienza” attuale delle giovani generazioni e non solo; che hanno ovviamente molte buone ragioni per pensare che “destra e sinistra”, per come loro le vedono, sono di fatto la stessa cosa; che tra Aznar e Zapatero le distanze siano in fondo minime e “sovrastrutturali” (diritti civili e poco altro). Noi non diciamo qualcosa di molto diverso quando analizziamo le politiche economiche del centrodestra e del centrosinistra italiani.



Il manifesto politico di “Democracia Real YA!”


Eliminazione dei privilegi della classe politica:
Stretto controllo sull’assenteismo. Istituzioni di sanzioni specifiche per chi non onori le proprie funzioni pubbliche.
Eliminazione dei privilegi nel pagamento delle tasse, nel conteggio dei contributi lavorativi e nel calcolo degli anni per ottenere la pensione. Equiparazione dello stipendio degli eletti al salario medio spagnolo con la sola aggiunta dei rimborsi indispensabili all’esercizio delle funzioni pubbliche.
Eliminazione dell’immunità associata all’incarico.
I delitti di corruzione non prescrivono.
Pubblicazione obbligatoria del patrimonio di chiunque ricopra incarichi pubblici.
Riduzione degli incarichi “a chiamata diretta”.
Contro la disoccupazione:
Ridistribuzione del lavoro stimolando la riduzione della giornata lavorativa e la contrattazione fino ad abbattere la disoccupazione strutturale (sarebbe a dire raggiungere un tasso di disoccupazione inferiore al 5%) In pensione ai 65 anni e nessun aumento dell’età pensionabile fino all’eliminazione della disoccupazione giovanile.
Vantaggi per le imprese con meno del 10% di contratti a tempo.
Sicurezza nel lavoro: divieto del licenziamento collettivi o per cause oggettive nelle grandi imprese che non siano in deficit, controlli fiscali alle grandi imprese per evitare il lavoro a tempo determinato quando invece potrebbero assumere a tempo indeterminato.
Reintroduzione dell’aiuto di 426 euro a persona/mese per i disoccupati storici.
Diritto alla casa:
Esproprio statale delle case costruite in forma massiva e che non siano state vendute: diventeranno case popolari.
Aiuti per l’affitto ai giovani e a chiunque si incontri in condizioni di bassa disponibilità economica.
Si permetta, in caso di impossibilità nel pagare l’ipoteca, la sola riconsegna della casa.
Servizi pubblici di qualità:
Eliminazione delle spese inutili delle amministrazioni pubbliche e creazione di un organo indipendente di controllo dei bilanci e delle spese.
Assunzione di tutto il personale sanitario in attesa di assunzione.
Assunzione del personale in attesa nel settore dell’educazione per garantire una giusta proporzione alunni/insegnanti, un adeguato numero di professori di supplenza e i professori di appoggio (ndr ai diversamente abili).
Riduzione delle tasse universitarie ed equiparazione dei prezzi dei master a quelli della normale carriera universitaria.
Finanziamento pubblico alla ricerca per garantirne l’indipendenza
Trasporto pubblico poco costoso, di qualità ed eco-sostenibile: reintroduzione dei treni che ora vengono eliminati per far spazio all’alta velocità ed quindi dei relativi prezzi originari. Riduzione dei prezzi degli abbonamenti al trasporto pubblico, riduzione del traffico su gomma all’interno dei centri urbani, costruzione di piste ciclabili.
Servizi sociali locali: applicazione definitiva della Ley de Dependencia (assistenza alle persone dipendenti, per malattia o vecchiaia), istituzioni delle reti di assistenza locali e municipali e dei servizi locali di mediazione e tutela.
Controllo delle banche:
Divieto di qualsiasi tipo di salvataggio o iniezione di capitale pubblico. Le banche in difficoltà dovranno fallire o essere nazionalizzate per tramutarsi in banche pubbliche sotto controllo sociale.
Aumento della tassazione alle banche in forma proporzionale alla spesa sociale provocata a conseguenza della cattiva gestione finanziaria.
Restituzione alle finanze pubbliche dei prestiti statali concessi nel tempo.
Le banche spagnole non possono investire nei paradisi fiscali.
Sanzioni nei casi di cattiva prassi bancaria e di speculazione.
Fisco:
Aumento delle detrazioni d’imposta sui grandi capitali e le entità bancarie.
Eliminazione del Sicav (società d’investimento a capitale variabile)
Reintroduzione della tassa sul patrimonio.
Controllo reale ed effettivo sulle frodi fiscali e sulla fuga di patrimoni verso i paradisi fiscali.
Proporre la “Tobin Tax” a livello internazionale.
Libertà civili e democrazia partecipativa:
No al controllo di Internet. Abolizione della legge Sinde (che disciplina diversi aspetti del diritto d’autore in Rete e del peer to peer)
Protezione della libertà d’informazione e del giornalismo d’investigazione.
Istituzione di referendum obbligatori e vincolanti per questioni di grande importanza e che modificano le condizioni generali di vita dei cittadini.
Istituzione di referendum obbligatori prima dell’introduzione e l’applicazione delle norme europee.
Modifica della legge elettorale per garantire un sistema veramente rappresentativo e proporzionale e che non discrimini nessun partito politico nè volontà popolare, una nuova legge elettorale che veda rappresentati anche i voti in bianco o quelli nulli.
Indipendenza del Potere Giudiziario: riforma del Ministero della Giustizia per garantirne l’indipendenza, il Potere Esecutivo non potrà nominare membri del Tribunale Costituzionale o del Consiglio Generale del Potere Giuridico (il CSM italiano).
Presenza di meccanismi effettivi che garantiscano democrazia interna ai partiti politici.
Riduzione delle spese militari.

domenica 22 maggio 2011

La revuelta della "generaciòn perdida" - Editoriale dalle piazze degli "Indignados"

In Spagna sta accadendo qualcosa che mai si era visto, quello che può essere chiamato "Movimento del 15 Maggio", la cui nascita è un avvenimento veramente storico. A due giorni delle elezioni amministrative le piazze di più di cinquanta città sono occupate da quelli che, con lo slogan “non ci rappresentano”, hanno perduto la fiducia nella politica e adesso si fanno vedere ogni giorno nelle assemblee in strada e nelle piazze.


Anche se nessuno si sarebbe aspettato un movimento di tale entità, la cosa strana è il fatto che non avesse avuto luogo prima: quando la disoccupazione giovanile aveva toccato il 45%, quando il 63% dei cittadini spagnoli vivevano con mille euro al mese o ancora meno; tutto questo mentre le grandi imprese raggiungevano profitti record e stipendi mai visti per i dirigenti delle stesse. Duecentocinquantamila famiglie sono sotto sfratto perché non riescono a pagare il mutuo, mentre la stessa banca che le lascia senza casa e con molti debiti ottiene, come premio, quasi due punti del PIL nei piani di salvataggio pubblico; la gente a questo punto scende in strada e prende parola.
I cittadini, con il motto “Non siamo merce nelle mani dei politici e dei bancheri”, non si vedono rappresentati da una classe politica permanentemente colpita da scandali di corruzione e che in una crisi sistemica come questa ragalano benefici alle banche e agli istituti finanziari, precarizzando sempre più la vita della maggior parte della popolazione.
La riforma delle pensioni, quella delle casse di risparmio, le riforme universitaria e quella dei contratti collettivi sono le cause che producono queste conseguenze. I tentativi di mobilitazione più recenti possiamo individuarli in due date: la prima è il 7 aprile, con la grande manifestazione convocata dalla piattaforma studentesca “Gioventù senza futuro”. Con lo slogan “Senza pensione, senza casa, senza lavoro, senza paura”, migliaia di giovani sono scesi in strada in differenti città spagnole per riavere indietro il futuro di una intera generazione che il Fondo Monetario Internazionale ha definito “una generazione perduta”.
La seconda data fondamentale è stata il 15 maggio, creata dalla rete sociale “Democrazia reale adesso”. La manifestazione convocata ha visto l’adesione di centinaia di collettivi; tra questi proprio la piattaforma studentesca “Gioventù senza futuro”. Una manifestazione di massa che è terminata a Madrid tra la repressione della polizia e l’arresto di 24 giovani manifestanti. Il giorno seguente, la Puerta del Sol, cosiddetta Kilometro Zero, ha cominciato a riempirsi di gente. Ogni giorno alle otto di sera le piazze spagnole hanno richiamato sempre più “indignati” (molti dei quali hanno dormito nelle piazze stesse); specialmente la Puerta del Sol di Madrid, rinominata dagli occupanti “Piazza della soluzione” o “La nostra Piazza Tahir” con riferimento alle rivoluzioni in nord Africa.
Sono le stesse motivazioni che hanno spinto sia le mobilitazioni europee di quest’anno (per esempio gli studenti di “Gioventù senza futuro” hanno come riferimento le rivolte italiane dello scorso autunno), sia quelle del mondo arabo che hanno ormai provocato un fortissimo effetto-contagio.
Tutti i settori che fino ad ora erano rimasti assopiti cominciano a risvegliarsi ed unirsi, confluendo in un movimento ampio ed eterogeneo. Gli studenti e i giovani senza futuro, i disoccupati, i precari, gli sfrattati. Tutti insieme ogni giorno per le strade, costruendo una nuova politica non assoggettata ai mercati. Ogni giorno più persone ricominciano a credere che “La rivoluzione è possibile”, con un altro modo di fare politica, e che uniti si può vincere. Sanno che c’è ancora molto lavoro davanti a loro: grazie alle commissioni create in ogni città il principale lavoro è la diffusione della protesta per aumentare il numero dei manifestanti.
Grazie alle grandi assemblee vengono portate avanti le rivendicazioni in maniera concreta, anche incontrando difficoltà dovute all’eterogeneità delle piazze; ma non hanno fretta, perché adesso sono loro che scandiscono il tempo, stabiliscono le linee guida per una classe politica sempre più spaventata.
La Giunta elettorale ha dichiarato illegale la manifestazione che “Gioventù senza futuro” vorrebbe indire sabato, il giorno prima delle elezioni (giorno del silenzio elettorale). Gli studenti si sono dichiarati “insorti” e partiranno domani (oggi n.d.T) dalla Puerta del Sol in corteo con lo slogan “Non c’è democrazia se governano i mercati” per bloccare la città. Intanto il vicepresidente del governo, Rubalcaba, ha dichiarato che “non ci sarà sgombero con la forza a meno che non abbiano luogo atti di violenza o altre infrazioni della legge”. Il governo sa che utilizzare la repressione in questo momento significa aumentare l’indignazione verso il proprio operato, che è una delle cause principali per la quale è cominciata la protesta.
Nessuno sa cosa succederà oggi e nei prossimi giorni, tuttavia è chiaro che la chiamata ad una “Spanish revolution” è sempre più forte, e gli occupanti non sembrano rassegnarsi, hanno ormai perduto ogni tipo di timore.
Isabel Serra, da www.ateneinrivolta.org

La lezione spagnola

Sono tanti, determinati, giovani. Disoccupati, precari, studenti. Come scrivono nei loro manifesti, alcuni hanno convinzioni ideologiche profonde, altri meno. In comune hanno di fronte a loro un futuro fatto di un'unica certezza. Quella della precarietà, della disoccupazione, dell'esclusione sociale per la gran parte di loro. Sono coloro che ereditano il portato della crisi e degli effetti reali del neoliberismo: ricchezza e privilegi per pochi, precarietà, disoccupazione e sfruttamento per i più.
Sono le migliaia di ragazzi che stanno da giorni occupando le maggiori piazze della Spagna. Quando scrivevamo delle rivoluzioni medio orientali, della loro natura sociale e della loro potenzialità di contagio sulla sponda nord del mediterraneo avevamo visto giusto. Sono indignati contro il sistema sociale e politico. Sbaglia chi, in cerca di facili analogie, vuole rappresentare questo movimento come semplicemente antipolitico. E' contro il sistema sociale e politico. Ma pone domande politiche. A partire dalla richiesta di una legge elettorale proporzionale. Ha domande di giustizia sociale a cui la post politica bipolarista non sa e può rispondere. Perché si è arresa da tempo al domino del monetarismo e ai diktat dei mercati e della banca centrale europea.
La Spagna di Zapatero, quella che alcuni, anche da noi, volevano ergere a nuovo paradigma della sinistra del ventunesimo secolo, crolla di fronte alla sua sostanziale inesistenza di fronte alle domande reali della società spagnola e delle sue giovani generazioni. Domanda di lavoro, salari, casa, sanità, politiche ambientalmente e socialmente giuste. La post-politica bipolare non può rispondere. Può avanzare sui diritti civili, ma, come è stato evidente nel caso di Zapatero, è muta e arrendevole quando si parla di diritti sociali. Senza colpo ferire si sono accettati tutti i tagli imposti dai piani di austerità europei. Si sono applicate le ricette liberiste e oggi si raccolgono le macerie di quanto seminato in questi anni. In questo la Spagna non è sola. E' insieme alla Grecia, all'Italia, al Portogallo, all'Irlanda. All'Europa, che risponde alla crisi sociale ed economica scaricando tutto sui più deboli.
Vi è un bello striscione, che abbiamo visto esposto da un balcone di una delle piazze in rivolta. Dice, testualmente: «Il capitalismo non funziona. Vivere è un'altra cosa». Nel manifesto scritto della piazza di Barcellona si leggono inoltre queste parole: «Le priorità di qualsiasi società avanzata devono essere l'uguaglianza, il progresso, la solidarietà, la libertà di accesso alla cultura, la sostenibilità ecologica e lo sviluppo, il benessere e la felicità delle persone.
Ci sono diritti fondamentali che dovrebbero essere al sicuro in queste società: il diritto alla casa, al lavoro, alla cultura, alla salute, all'istruzione, alla partecipazione politica, al libero sviluppo personale, e il diritto di consumare i beni necessari a una vita sana e felice. L'attuale funzionamento del nostro sistema economico e di governo non riesce ad affrontare queste priorità e costituisce un ostacolo al progresso dell'umanità… La volontà e lo scopo del sistema è l'accumulazione del denaro, che ha la precedenza sull'efficienza e il benessere della società. Sprecando intanto le risorse, distruggendo il pianeta, creando disoccupazione e consumatori infelici».
Sottoscriviamo parola per parola. In Italia oggi cacciare Berlusconi è una priorità. Un bisogno democratico, di civiltà, di decenza. Le recenti elezioni hanno portato una salutare ventata di novità nel nostro paese.

Ma rispondere a questa giusta aspirazione non basta. Anche nel nostro paese esiste una generazione per cui non basta solo liberarsi di Berlusconi, ma che chiede un'Italia diversa, più giusta. Non ha bisogno di un'altra suggestione, ma di risposte concrete alle ansie e alle paure che la crisi del capitalismo produce, all'incertezza e alla disillusione che ne derivano. Le domande dei giovani spagnoli ci chiedono di insistere nel rimetter a tema in forma contemporanea la questione dell'alternativa di sistema, dell'alternativa al capitalismo, del comunismo.
Uguaglianza, giustizia sociale, diritti. Sono le grandi domande per cui è nata la nostra parte politica. E' la questione del cosa, come e perché produrre. Per rispondere a tutto questo c'è bisogno, in Spagna, in Italia come in tutta Europa, di un pensiero forte e di una sinistra degna di questo nome. Perché, come scrivono sempre i ragazzi della Spagna, «Siamo persone, non prodotti sul mercato. Io non sono solo quel che compro, perché lo compro e a chi lo compro». In Italia abbiamo una possibilità per dimostrarlo. Il 12 e il 13 giugno, partecipando ai referendum, facendo vincere i sì e così battere non solo il governo, ma anche un pezzo di neoliberismo bipolare.
Fabio Amato, Liberazione

sabato 21 maggio 2011

Sì ai referendum






www.referendumacqua.it

www.fermiamoilnucleare.it
AI CITTADINI DI DERUTA


VI RINGRAZIAMO PER L'ADESIONE MASSICCIA ALLA NOSTRA INIZIATIVA POPOLARE DI RACCOLTA FIRME (PETIZIONE CONTRO L'INTITOLAZIONE DELLA PIAZZA DEL QUARTIERE DELL'ARTE A BETTINO CRAXI ...LA NOSTRA PROPOSTA E' DI DEDICARLA A SANDRO PERTINI).

LA RACCOLTA PROSEGUIRA' PER TUTTO IL MESE DI GIUGNO

VI INVITIAMO A PARTECIPARE ALLA VITA DEL "COMITATO DERUTA 26 SETTEMBRE" INVIANDO SEGNALAZIONI E/O COMUNICAZIONI ALLA NOSTRA CASELLA DI POSTA ELETTRONICA
PIAZZANOCRAXI@GMAIL.COM

venerdì 20 maggio 2011

PAOLO MIELI, LA "VIOLENZA GIUSTA" E LA RIVOLTA ITALICA



Ieri sera, ad Anno Zero, si è sentita la seguente affermazione (vado a memoria): "Quando i cittadini non vengono ascoltati, prima o poi ricorrono alla violenza. E se i pastori sardi o chiunque altro finiscono col ricorrere alla violenza, non si può dar loro la colpa: la colpa è di chi non li ha ascoltati."

Chi ha così discettato sulla "violenza giusta" e sul diritto dei cittadini a rivoltarsi? Paolo Mieli.

Il personaggio più soporifero e inquadrato e mainstream che abbia mai calcato i patrii studi televisivi. Il giornalista più barboso e predicante e aderente alla vulgata economica che siamo mai stati costretti a sorbirci. Paolo Mieli. Faccio male ad appisolarmi ogni volta che appare, devo ripromettermi di ascoltarlo attentamente d'ora in poi.
Ciò significa comunque che governo, istituzioni e media si aspettano da un momento all'altro una rivolta popolare nel nostro Paese. Anzi, dirò di più: sono in un certo senso stupiti che ancora non sia accaduta, diciamo che siamo abbondantemente oltre la deadline.

Sanno che quel che ci vuole è una piccola miccia, che siano i pastori sardi, le partite IVA, i lattai del Nord o i disoccupati del Sud. Ci andammo vicini con la rivolta dei ricercatori sui tetti e la battaglia di Piazza del Popolo, ma forse era troppo in anticipo sulla tabella prevista.
Perché parlo di tabella? Il solito complottismo? Non saprei. Ma che i rivoltosi greci siano descritti, com'è accaduto ieri nell'assenso generale (inclusi Feltri e Belpietro!) come fautori una legittima protesta popolare, quando fino a ierlaltro erano
dipinti urbi et orbi come black block eversivi e sfasciavetrine, un po' fa pensare. Stessa cosa per l'annuncio delle rivolte in Spagna, che oggi imperversano in tutta la Rete e fino a ieri erano completamente ignorate.
Figuriamoci se io non sono contenta di un po' di sana ribellione in un Paese che subisce da decenni. Ma non vorrei che finisse con l'essere teleguidata anch'essa, magari da chi spera che il governo Berlusconi venga cacciato a pedate a furor di popolo, e nell'emergenza del casino si debba sostituirlo... con cosa?Debora Billi,

La Comune di Madrid

Non li ha fermati la polizia. Non ci è riuscita. Ormai a Porta del Sol, nel centro di Madrid, c’è una comune, una città auto-organizzata che rivendica diritti e che porta le ribellioni mediterranee dei mesi scorsi nel bel mezzo della Fortezza Europa. È l’ulteriore dimostrazione che quella fortezza è tutt’altro che inespugnabile, e che le idee insieme agli uomini e alle donne e alle storie che vivono, sono più forti delle frontiere.
Non è facile organizzare la convivenza spontanea di centinaia di persone provenienti da ambienti diversi, sconosciuti l’uno all’altro nel centro della città. Tutte queste persone devono mangiare, lavarsi, dormire, pulire, tenere la comunicazione e soprattutto sviluppare un discorso comune.
Tutto ciò – nota El Pais in un reportage sul fenomeno – avviene senza gerarchie, senza guru e leader carismatici. Un tabellone informa i manifestanti che arrivano in piazza: dove si trova la zona notte, dove si può recuperare del cibo e persino dove ritrovare gli oggetti smarriti. Ci sono poi otto comitati, divisi in sottocommissioni formate da molti volontari. Qualcuno ha provveduto a costruire dei teli per ripararsi dal sole e dalla pioggia, che nelle ore scorse non ha risparmiato la città. Sono comparse anche delle assi di legno che fungono da pavimento e qualcuno ha portato persino divani e brandine. «Abbiamo bisogno di pane e caffè», hanno scritto su Twitter ieri sera. Alcuni ristoratori della zona hanno donato cibo e sidro. I gruppi di lavoro sono aperti a tutti. Un moderatore si occupa di far parlare chi lo desideri. Alcuni appuntamenti durano ore, perché tutti vogliono dire la propria. In molti si occupano di monitorare ciò che avviene in rete, altri predispongono la tutela legale e ricordano a tutti di portarsi dietro il nome di un avvocato da chiamare in caso di arresto.
La principale manifestazione si era svolta lo scorso 15 maggio a Madrid. «Toma la calle el 15 de mayo, sin futuro y sin miedo» recitavano gli striscioni che della manifestazione di studenti e precari che aveva rilanciato la pratica «italiana» del book bloc, i libri-scudo simbolo della rivolta contro la riforma Gelmini. Migliaia di giovani e studenti avevano chiesto welfare, reddito contro le politiche di austerity. Simili proteste hanno riempito le strade di una cinquantina di città spagnole.
Così, il giorno successivo, e siamo al 16 maggio, migliaia di persone hanno occupato Puerta del Sol, una delle principali piazze di Madrid. Sulla scia dell’iniziativa di Madrid, ci sono state manifestazioni a Barcellona, Valencia, Saragozza, Palma de Mallorca, Siviglia e Bilbao. Il movimento rifiuta qualsiasi portavoce e non ha nessuna intenzione di farsi ingabbiare dentro schemi già conosciuti.
Ciò che consente a un messaggio spedito nel mare in tempesta della rete e dei social network di non affogare è la sua parola chiave, l’etichetta, il «tag». Se state cercando notizie e aggiornamenti sul movimento spagnolo di questi giorni potere cercare «15m», sigla che deriva dal giorno in cui tutto è cominciato. E poi c’è «acampadasol», termine che deriva dal campeggio allestito in Puerta del Sol da migliaia di persone. Sui social network è comparso anche il tag «spanishrevolution», chiaramente ispirato alle rivoluzioni nel Nord Africa e vicino Oriente.
Il prossimo 22 maggio nello stato spagnolo si terranno le elezioni regionali. Alcuni esponenti politici hanno espresso la loro opinione dopo che la polizia di Madrid sciolto ha sgomberato l’accampamento di Madrid. Tuttavia, anche il candidato socialista di Madrid alle elezioni locali, Tomás Gómez, non ha potuto condannare il popolo di Puerta del Sol, anche se ha cercato di incanalare la protesta dentro gli schemi tradizionali, facendo finta di dimenticare le responsabilità del partito popolare di Aznar prima nell’aver alimentato la bolla speculativa del cemento e dei socialisti dopo di non aver saputo gestire la crisi. «Esorto i giovani a ribellarsi – ha detto Gómez – mi identifico con le loro richieste, ma voglio anche dire loro che c’è un canale per cambiare il mondo, per cambiare ciò che è sbagliato, e questo è la politica». Gómez ha detto di condividere le preoccupazioni dei manifestanti, perché «un intero sistema economico e politico è fallito». «Tuttavia – ha proseguito il candidato socialista – i veri anti-sistema sono gli anarco-liberisti seduti nei loro uffici che vogliono porre fine alla poteri pubblici, servizi pubblici e dello stato sociale».
Il leader di Izquierda Unida Cayo Lara, la cui campagna elettorale si è concentrata sulle carenze di fronte alla crisi delle destre del Pp e del governo socialista del premier José Luis Rodríguez Zapatero. Lara ha accusato Zapatero di aver venduto ai banchieri i diritti sociali e ha rilasciato dichiarazioni di appoggio al movimento. «Non vogliamo strumentalizzare nessuno. Sosteniamo questo movimento di ribellione e di indignazione perché siamo una parte di esso, ma senza essere opportunisti o cercare le luci della ribalta», ha detto Lara nel corso di una manifestazione a Siviglia. Stigmatizzando la «violenta repressione effettuata da polizia» contro i manifestanti, l’Izquierda unida ha affermato che il vice-premier «reprime la protesta invece di occuparsi dei temi che solleva». I commentatori fanno notare che la destra del Partido popular non si preoccupa molto delle proteste: le vedono come una faccenda tutta interna alla sinistra.
I portavoce cambiano ogni giorno. «Chiediamo un cambiamento politico, sociale ed economico – spiega al Mundo Oscar Rivas, che ieri era il portavoce di turno- Le elezioni del 22 maggio non sono la data di scadenza di questo movimento. Vogliamo continuare a venire ogni sera alla Puerta del Sol a dimostrare che un altro mondo è possibile». La commissione elettorale è in difficoltà: le regole non consentono manifestazioni politiche prima del voto, ma non ci si è mai trovati di fronte ad un’anomalia simile. Un comunicato stampa promette: «Questo è solo l’inizio. La piattaforma, orizzontale, basato su assemblee aperte alla partecipazione di lavoratori, disoccupati, studenti, giovani, pensionati continuerà a lavorare. Vogliamo approfondire il cammino che abbiamo iniziato. Crediamo sia possibile una società più giusta. E lo dimostreremo».
Un giovane, intanto, ha scritto sul cartello che indossa: «Sono stanco di essere il futuro, io sono il presente».



giovedì 19 maggio 2011

Voci dalla Spagna in rivolta: “Vogliamo tutto, lo vogliamo ora!”

Le mobilitazioni di massa di questo 15 maggio (15M) spagnolo hanno visto oltre 130 mila persone scendere in piazza in 60 città del paese, per esigere “un’uscita sociale dalla crisi capitalista”: più di 40mila persone hanno animato le strade di Madrid, diverse migliaia a Barcelona, e poi Malaga, Alicante, Murcia, Valencia fra le (tante) altre. Nell’aria gli stessi slogan che riecheggiano ormai da tempo nelle piazze di tutta Europa (e oltre): “Non siamo merce nelle mani di politici e banchieri!”, “Questa crisi non la paghiamo” e “Basta corruzione, passiamo all’azione”!

Voci univoche di un soggetto politico multiforme, il cui obiettivo comune sta nella critica e nell’opposizione al capitalismo e ai suoi effetti devastanti su individui e territori, così come nella denuncia della corruzione politica e nella difesa dei diritti sociali. Lanciate dalla piattaforma politica Democracia Real Ya, nata pochi mesi fa dal coordinamento di vari gruppi e associazioni, tra cui il movimento universitario Juventud sin futuro, le manifestazioni hanno visto scendere in piazza disoccupati/e, precari/e, lavoratori e studenti, “indignat* organizzat*” in un movimento intergenerazionale e trasversale dal punto di vista sociale e politico.

La piattaforma, sul cui sito è visibile un manifesto che ne espone obiettivi e prospettive, è nata come iniziativa sul web proprio dal dissenso alle “riforme antisociali” (come la recentemente approvata Legge Sinde, atta a “difendere la proprietà intellettuale” sul web) ed in contrapposizione ai modelli corrotti della classe politica e finanziaria al potere: speculatrice, totalmente cieca rispetto ai bisogni reali della popolazione e rispetto alle istanze sociali di casa, lavoro, cultura, salute, educazione.

L’imminenza delle elezioni amministrative, che il prossimo 22 maggio riguarderanno più di 8000 comuni spagnoli – e delle autonomiche, per 13 delle 17 comunità autonome – fa sì che il dissenso venga riportato con forza sulla classe politica in toto, declinando questo “Qué se vayan tod@s” in uno specifico “No les votes!” (non votarli!), un appello all’astensionismo che riunisce nello stesso disprezzo PP, PSOE e qualsiasi altro partito, perché “senza il nostro voto non sono nulla”. “Senza casa, senza lavoro, senza pensione, senza PAURA!” è uno degli slogan più ripetuti da questo movimento, che trova le proprie fondamenta nella rete sociale allargata fra realtà molteplici, e nei social network il proprio altoparlante - Facebook e Twitter in testa.

I diversi livelli di lotta e organizzazione si intrecciano, ed il seguito che gli eventi stanno avendo in rete (#spanishrevolution e #acampadasol erano Trending Topics mondiali nella giornata di ieri) viene efficacemente riportato sulla piazza a livello di partecipazione e determinazione. L’intelligenza di questo movimento sta proprio nella capacità di servirsi degli strumenti della rete sfruttandone al massimo le capacità organizzative e comunicative, unitamente al lavoro politico di (ri)costruzione di legami sociali contro l’atomizzazione delle relazioni.

Ne esce riconfigurata anche la dimensione spaziale: gli spazi pubblici tornano ad essere luoghi di aggregazione, di riappropriazione e partecipazione politica. Così la manifestazione di domenica a Madrid è spontaneamente sfociata nell’occupazione della centralissima Plaza di Puerta del Sol, dove circa un centinaio di manifestanti hanno dato vita un presidio permanente trasformandola in un luogo assembleare, con la volontà di rimanere sul posto fino alle elezioni del 22M. “Dalla Puerta del Sol si organizza la resistenza per la dignità e il diritto a decidere del nostro futuro” scrive l’utilizzatore di uno dei tanti spazi in rete che raccontano la protesta. Fra gli obiettivi primari della acampada madrilena anche la scarcerazione immediata dei 19 arrestati in seguito ai disordini della manifestazione del pomeriggio, momenti che hanno visto i manifestanti praticare blocchi stradali per le vie del centro (in zona Tirso de Molinas) e la polizia utilizzare proiettili di gomma e caricare anche i manifestanti che stavano seduti a terra sulla Gran Vìa.

Il silenzio imbarazzante dei media generalisti sugli avvenimenti viene ben compensato dalla narrazione sui social network, dove naturalmente la protesta viaggia veloce per la rete; oltre ad affollare sempre più la piazza madrilena i twitter riescono ad organizzare in tutto il paese altre “acampadas permanentes”: Barcellona, Valencia, Siviglia, Granada, Bilbao fra le altre (tutte rintracciabili su twitter tramite gli hashtag #acampadavalencia, #acampadagranada, etc). “L’idea iniziale era concentrare il maggior numero di persone in un luogo importante della città, tenendo conto dell’efficacia che questa strategia ha avuto nelle rivolte di alcuni paesi del mondo arabo” così uno dei manifestanti madrileni, riportando all’attenzione quello che è un sentimento comune: la vicinanza e la complicità con le rivoluzioni dell’oltre Mediterraneo, ma anche con le più “modeste” mobilitazioni europee - Italia, Grecia, Portogallo le più menzionate; con un occhio di riguardo al (forse) meno conosciuto “modello islandese”.

Intanto nel pomeriggio di oggi arriva la notizia del rilascio di tutti gli arrestati, su cui pendevano le accuse di resistenza e danneggiamento durante il corteo di domenica. Dalle 12 di questa mattina un presidio formato da centinaia di persone si era riunito sotto il tribunale per chiederne l’immediata liberazione. Nel frattempo, nonostante lo sgombero subito questa notte (fra lunedì e martedì) dall’acampada di Madrid i manifestanti rilanciano dandosi appuntamento nella stesso luogo alle 20 di questa sera, per riprendersi la piazza e ribadire la propria determinazione a proseguire la lotta, fino alla messa in atto del cambiamento. La piazza al momento è vigilata da decine di agenti, con l’ordine di impedire qualsiasi accampamento durante la nottata. “Ci hanno cacciato dalla Puerta del Sol, ma in quanto luogo pubblico, trasformato in assemblea aperta e partecipativa, continua ad essere nostra”. Mentre una rete di avvocati si è già organizzata per offrire assistenza legale a livello nazionale, resistono e si moltiplicano anche le acampadas in molte altre città della Spagna. Con un occhio al 22 maggio e uno al futuro.

da infoaut.org

martedì 10 maggio 2011

Come votare al Referendum del 12 - 13 giugno 2011

Cerchiamo di diffondere a più persone questo documento per chiarire idee e scenari sui referendum abrogativi del 12-13-giugno 2011, che “pagheremo” a caro prezzo se non parteciperemo “attivamente”. E' molto importante per me, per te, per i tuoi amici, per i tuoi figli e per i tuoi nipoti, presentarsi al referendum abrogativo del 12-13 giugno 2011. E' l'unico strumento, oltre alle elezioni, che ci fa sentire parte attiva di questo stato. Il referendum avrà quattro quesiti, uno più importante dell'altro. Ve li elenco in maniera molto molto stringata.
Primo quesito (Acqua) Vuoi eliminare la legge che dà l'affidamento a soggetti privati o privati/pubblici la gestione del servizio idrico? SI
Secondo quesito (Acqua) Vuoi eliminare la legge che consente al gestore di avere un profitto proprio sulla tariffa dell'acqua, indipendente da un reinvestimento per la riqualificazione della rete idrica? SI
Terzo quesito (Centrali Nucleari) Vuoi eliminare la legge che permette la costruzione di centrali nucleari sul territorio italiano? SI
Quarto quesito (Legittimo Impedimento) Vuoi eliminare la legge che permette al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri di non comparire in udienza penale durante la loro carica? SI
Qualcuno tra un Grande Fratello e un Isola dei Famosi ha mai visto passare uno spot che parli di questo referendum? Sembra proprio che il Governo stia cercando di boicottarlo per riuscire a non raggiungere il "quorum". Un referendum viene ritenuto valido se l'affluenza alle urne è maggiore o uguale al 50% più uno degli aventi diritto al voto (il cosiddetto quorum).
Trattandosi di referendum per l’abrogazione di leggi emanate dall’attuale Governo (ad eccezione della norma sulle tariffe sull’acqua, introdotta dal Governo Prodi), la "maggioranza" è chiaramente contraria. Come è ormai tradizione in questi casi, viene incentivato l’astensionismo in modo da non raggiungere il quorum e rendere nulla la consultazione. Quanto ci costerà il referendum? Oltre al dato di fatto dell'assenza di pubblicità, c'è qualche altro punto oscuro.
I referendum per legge possono essere svolti tra il 15 maggio e il 15 giugno.
Molti comitati chiedevano l'accorpamento del referendum alle elezioni amministrative del 15 e 16 maggio in modo da avere un unico election day che avrebbe consentito alle casse pubbliche un più che notevole risparmio. Il ministro Maroni però ha deciso come data valida per il referendum il 12 e il 13 giugno e cioè l'ultima data utile, quando le scuole saranno già chiuse e la maggior parte degli italiani potrebbe preferire un week-end di vacanza ad un noioso seggio elettorale. E' stato valutato che questa saggia scelta costerà alle casse italiane circa 400milioni di euro. Insomma anche far passare il referendum sotto l'anonimato ci costerà un bel pò.
Come per ogni referendum, non basterà che vincano i SI ma bisognerà raggiungere il quorum. 25 milioni di persone, il 50% degli aventi diritto, dovrà recarsi alle urne per rendere il referendum valido. La verà unità di noi tutti per far valere i nostri diritti di cittadini, capaci di dare una forte risposta a leggi che remano contro di noi.
Per ogni approfondimento andate qui:
http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_2011_in_Italia

lunedì 9 maggio 2011







Ferma il nucleare. Al referendum vota Sì.
Nucleare: Berlusconi vuole decidere per te. Con il referendum lo bloccheremo per sempre.
Lo stop del governo al nucleare è semplicemente un trucco per impedire ai cittadini di votare al referendum del 12 e 13 giugno e imporci le centrali nucleari domani. Berlusconi l’ha ammesso.

Non è bastata Cernobyl e neanche Fukushima per capire che l’energia nucleare è troppo pericolosa e non ha futuro. È inaccettabile che a meno di due mesi dal referendum non sappiamo ancora se andremo a votare su un tema tanto importante.

Al referendum si deve votare. Fai la tua parte: impegnati ad andare a votare e attiva i tuoi amici se vuoi che in Italia i progetti nucleari vengano bloccati per sempre.


Greenpeace Italia

mercoledì 4 maggio 2011

E' vergognoso..‏..lettere dalla rete


Cito questa lettera arrivata via mail perchè, purtroppo, temo sia tutto vero!!!

Ciao a tutti,

confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti . Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.

Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio. Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell'acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.

'E arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l'argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.

Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui "il servizio pubblico" viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.

Il referendum è evidentemente anche questo!

Mariachiara Alberton


RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM... perchè il Governo non farà passare gli spot ne' in Rai ne' a Mediaset.
Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum
lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i
cittadini italiani:
Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E'
necessario che vadano a votare almeno 25 milioni di persone

Il referendum non sarà pubblicizzato in TV.

I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il
12 giugno. QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.

Vuoi che le cose non vadano a finire cosi ? Copia-incolla e pubblicizza il
referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.
Passaparola

domenica 1 maggio 2011

I REFERENDUM, IN PRIMO LUOGO

Berlusconi e Bossi sembrano – sputati – quelli del detto toscano: i due ladri di Pisa che litigano di giorno e vanno a rubare insieme di notte. In questo caso non stiamo facendo riferimento alle grassazioni ennesime e infinite delle cricche di regime che prosperano grazie al malgoverno di B e B, ma al miserabile minuetto che stanno intrecciando sui bombardamenti contro Gheddafi. Di giorno fanno finta di darsele di santa ragione, il “celoduro” gracchia che “o lo stop ai raid o può succedere di tutto”, il “culomoscio” (come lo chiamano le sue prezzolate) risponde chiedendo che Napolitano protegga il governo contro i celti che vogliono fargli la bua. Di notte, però, in quella notte della democrazia liberale che è ormai diventato il parlamento degli Scilipoti, si scambiano amorosi sensi per continuare a tenere in vita il governo di Roma-Milano-ladrone, tanto i telegiornali minzolinizzati daranno a bere agli italiani quello che fa comodo al Narcisocrate di Arcore e al suo scudiero di Pontida.

Nel frattempo l’opposizione non c’è, per non smentirsi. E se per caso c’è, dorme. L’altro giorno, per dire, poteva tranquillamente mandare sotto il governo su un documento cruciale di politica economica, ma erano assenti in quaranta.

Sarà bene che ogni cittadino si attrezzi perciò per l’“opposizione fai da te”, si consideri comitato centrale di se stesso, non si limiti più a essere “opinione pubblica” e neppure pubblico manifestante quando c’è da scendere in piazza, ma cominci a organizzare club ispirati ai valori costituzionali di “giustizia e libertà” per vincere le battaglie che l’opposizione canonica spesso non vuole neppure combattere.

I referendum, in primo luogo. I ladri di Pisa faranno di tutto per scipparli al popolo sovrano, visto che per loro deve coincidere col popolo bove. Se ciascuno di noi si attiva fin da ora, in prima persona, considerando la politica “diretta” un appassionante e personale “bricolage”, la sinergia esponenziale dei volantini e manifesti creati dal basso, fatti circolare di sito in sito, realizzati e diffusi artigianalmente, possono diventare quella tv alternativa che faccia affogare il regime nell’acqua pubblica, lo faccia esplodere nel nucleare e lo mandi alla sbarra senza più legittimo impedimento.

Ma anche il voto di Napoli, per De Magistris sindaco, e quello di Milano, per un sonoro no alla Moratti, costituiranno momenti cruciali. Si può andare al ballottaggio e vincere in entrambi i casi, e allora la villa del bunga bunga smetterebbe di colpo di essere la capitale.
Paolo Flores d'Arcais, Il Fatto quotidiano