Scomposizioni e ricomposizioni nel campo del centrosinistra. Continua il congresso di Sinistra Italiana in parallelo con le prove generali di scissione dentro il Pd
da Rimini, Checchino Antonini
Non poteva fare assist migliore a Nicola Fratoianni, Giuliano
Pisapia, quando ha detto che la scissione del Pd sarebbe una tragedia,
perché così, dal palco del PalaCongressi, il segretario in pectore di
Sinistra Italiana gli ha potuto mandare a dire che la tragedia, semmai, è
la disoccupazione giovanile al 40%. Avrebbe potuto dire che il Pd è la
tragedia di questo paese ma poi con chi si alleerebbe la nuova
formazione politica che domani concluderà il suo congresso costitutivo?
Perché Sinistra Italiana è un partito incagliato nella cultura politica –
e nelle beghe – del centrosinistra e, per ora, è presente a macchia di
leopardo, come consistenza e come orientamento: in alcuni territori c’è
il personale politico più a sinistra che si può, altrove opera un ceto
politico che scende a patti col Pd, qualsiasi Pd, renziano o meno, e ne
prende le forme e ne condivide le scelte. Mi viene in mente il
consigliere comunale di Genova che ha votato, pochi giorni fa, per la
privatizzazione di Amiu ma il catalogo è ricchissimo di esempi. C’è il
delegato di Ferrara, l’ex sindaco Pci Soffritti, espressione della
“vecchia” politica di compromesso del Pci, poi Pds, Ds, Pdci e Sel,
indigesto anche a buona parte della plata. C’è, al contrario, Lucia
Tempesta, ex sindaca di un piccolissimo paese della provincia di Rieti,
ex operaia di una fabbrica tessile e militante comunista, poi di
sinistra, in un territorio dove la Dc e il Psi sono stati mostri di
clientelismo e malaffare. C’è chi arriva dalla stagione dei social forum
e chi i social forum non li ha mai potuti soffrire. A tutti loro
Fratoianni giura dal palco di voler parlare a chi ha bisogno di sinistra
e spiega che questo partito sarà un luogo dal quale organizzare un
pensiero e un luogo “per fare” con circoli non virtuali. Autonomo ma
«senza pretesa di autosufficienza». Ossia dentro il campo del
centrosinistra. Siamo sempre là.
Dunque, la seconda è stata la giornata di Fratoianni ed Emiliano,
degli interventi di Tortorella e Ferrero, di Cofferati e Tomaso
Montanari ma, come ieri, i riflettori sembravano puntati altrove, a
Testaccio, nel cuore di Roma, a due passi dalla Garbatella di Smeriglio,
dove la “sinistra” del Pd, i suoi big, si sono palesati per decidere
cosa faranno domani, domenica, all’assemblea nazionale al Nazareno che
dovrà decidere sul congresso.
Da lì, Emiliano è volato a Rimini per dire dal palco di essere «molto
felice di stare qui, mi sento parte della vostra storia, sono felice di
aver abbracciato Nichi Vendola. Ho nei suoi confronti un grande debito.
Mi ha portato per mano, sin dai primi passi, dai primi comizi». Accolto
dagli applausi della platea congressuale, appena entrato nella sala,
stava intervenendo Arturo Scotto, intervento già segnato da alcune
contestazioni. A quel punto, Emiliano s’è avvicinato al palco e ha
stretto la mano al capogruppo Si. Una stretta di mano non gradita alla
parte dei delegati apertamente ostili a Scotto che è tornata a
fischiare, in particolare quando il primo scissionista di Si dirà che il
suo obbiettivo è costruire «un nuovo centrosinistra». Tanti fischi,
frenati dalla Presidenza del Congresso che invita tutti alla calma. In
fondo è stato lo stesso Fratoianni a dirgli di venire a Rimini: «Arturo
vieni qua, questa è la tua casa, dividiamoci ma facciamolo insieme
(sic!)». E Scotto: «I fischi non fanno paura a chi è nato e cresciuto
all’interno di una grande tradizione politica». «Mussi ha parlato della
sinistra come un arcipelago. Io ho l’obbiettivo di costruire ponti, non
ad aggiungere un’altra isola». Prima di lui, anche Laura Boldrini,
presidente della Camera data per vicina al Campo di Pisapia, aveva detto
di reputare suo dovere «fare il possibile per facilitare il dialogo
delle tante anime della sinistra». «È positivo che ci sia un dibattito,
l’importante – avverte – è che poi si arrivi a una sintesi, che al
dunque le forze progressiste unirsi sappiano unirsi, mettendo da parte i
protagonismi». «La scissione che a me fa più paura è quella delle
persone dalla politica. Mi auguro che i partiti e le forze politiche
capiscano la necessità di riavvicinarsi alle persone che non vanno più a
votare o che votano per protesta hanno bisogno di qualcosa in cui
credere».
Sul palco è salito anche Matteo Ricci, sindaco renziano di Pesaro e
vicepresidente del Pd: «Ho ascoltato ieri l’intervento di Mussi,
sicuramente non è ambizione della Sinistra italiana fare la stampella di
Renzi e del Pd, ma non credo che sia nella vostra ambizione fare la
stampella di D’Alema». Quando Ricci nomina Renzi e il Pd la platea
rumoreggia mentre quando nomina D’Alema c’è anche chi applaude.
Domani, sarà la volta del discorso di Vendola, padre fondatore, di
Sel e Si. E, dopo le votazioni di stanotte sugli emendamenti alle tesi,
sarà anche il giorno dell’elezione di Fratoianni alla guida del partito.
Intanto nel Pd
Quattrocentouno chilometri a sud (fa fede gugolmap), il punto di non
ritorno nel Pd sembra a un passo. La vigilia dell’assemblea convocata da
Matteo Renzi per aprire il congresso, registra distanze immutate tra
maggioranza e minoranza e un’escalation nei toni. I tre candidati alla
segreteria della minoranza, Roberto Speranza, Michele Emiliano ed Enrico
Rossi, in una manifestazione unitaria con in platea Bersani e D’Alema,
attaccano Renzi e tengono il punto sulle loro richieste: conferenza
programmatica, congresso in autunno e garanzia di durata del governo
Gentiloni fino al 2018. Ma il vicesegretario Guerini risponde a muso
duro: «Gli ultimatum non sono ricevibili». E il presidente Orfini
avverte: «Sarebbe la scissione a mettere a rischio il governo». Nel
cuore del quartiere Testaccio di Roma, la “sinistra” Pd gremisce il
teatro Vittoria, con alcune decine di persone fuori davanti a un
maxischermo. Non c’è Cuperlo, che prova a mediare ed è il più restio a
lasciare il partito. La kermesse, organizzata da Rossi (piuttosto
grottesco il nome «Rivoluzione socialista»), si apre sulle note di
Bandiera rossa e sulle immagini di Guerre stellari, con Yoda a
simboleggiare «la forza intorno a te». In platea compare una bandiera
comunista. E ai bersaniani viene l’orticaria visto che il massimo che
vogliono fare è una forza ulivista. A Renzi chiedono un congresso «vero»
in autunno o domani, dopo aver presentato un ordine del giorno unitario
in direzione, non potranno che dichiarare la scissione. In prima fila
ci sono i due ex segretari Bersani e Guglielmo Epifani. Una eventuale
rottura? «Non è colpa mia», allarga le braccia D’Alema, che domani non
sarà all’assemblea. Ora sta a Renzi fare un passo verso la minoranza, è
la tesi: o sarà lui a rompere. «Bisogna essere fedeli agli ideali della
gioventù. Quando non sai cosa fare, fai quel che devi», scandisce
Bersani citando Berlinguer, a sottolineare la gravità del momento. «La
scissione è evitabile», dichiara Emiliano. E rivela: in una telefonata
venerdì il segretario gli ha garantito che sosterrà Gentiloni fino a
fine legislatura. Ma Bersani dice che non basta: deve essere Renzi a
dichiararlo. L’altro punto su cui la minoranza non recede è un congresso
in autunno: «Stamattina mi ha chiamato Renzi e gli ho chiesto: non vedi
la scissione che c’è già nel nostro mondo? Se il congresso è solo
rivincita o plebiscito», sarà normale «un nuovo inizio», dice Speranza. E
Rossi avverte: «Se Renzi come Macron in Francia vuole fare un partito
né di destra né di sinistra neo-reaganiano e alleato con Alfano, FI e
Verdini, la scissione è nei fatti». Emiliano, nella veste di
‘mattatore’, chiama l’applauso più forte della platea per Bersani,
quando ricorda che si dimise per salvare il Pd. Rossi invoca una
«svolta» del Pd perché diventi un «partito partigiano che sta con i
lavoratori». Ed Emiliano scandisce: «Non costringete questa comunità a
uscire dal Pd: non avremo paura. Ci ritroverà a guardarlo negli occhi:
non costruiremo un soggetto avversario del Pd ma ricostruiremo questa
comunità». Renzi replicherà domani, con l’intervento in assemblea. Ma i
toni e i contenuti dei discorsi della minoranza fanno insorgere i suoi.
Dario Franceschini lancia un ultimo appello: «Il Pd non è proprietà di
capi in lite, i margini di trattativa ci sono. Fermiamoci. O la
scissione sarà colpa di tutti». Orfini propone come mediazione «una
profonda discussione programmatica nelle federazioni» prima delcongresso
da tenere in primavera. Alla minoranza non basta. «Alcuni hanno già
deciso di uscire, è stucchevole il gioco del cerino», attacca Orfini. Ma
la sinistra replica: «Se si rompe la responsabilità è di Renzi». Viene
da chiedersi dove fossero queste anime belle quando il loro partito ha
imposto l’austerità, la legge Fornero, il fiscal compact e la legge di
stabilità.
La cosa più probabile è la costituzione di nuovi gruppi parlamentari e
la nascita di un movimento in vista della costituente di un partito se
domani sarà sancito lo strappo da «il Partito di Renzi». Si guarda a un
percorso di «ricomposizione del centrosinistra» che si annuncia
articolato. A partire dal lavoro necessario per tessere la tela con
Campo progressista di Pisapia e Sinistra italiana. Speranza, Emiliano e
Rossi per ora marciano uniti: la kermesse del teatro Vittoria, affermano
i bersaniani, è un punto di non ritorno e difficilmente Renzi riuscirà a
spaccare il fronte della minoranza. In futuro potrebbero contendersi la
leadership. Se sarà scissione, la preoccupazione dei bersaniani è un
ripensamento all’ultimo di Emiliano e Rossi, con una mediazione al
ribasso. Ma a sera chi è vicino al governatore osserva che sarà
difficile accettare meno del congresso in autunno. D’Alema, che in prima
fila ascolta gli interventi dall’inizio alla fine, viene descritto come
già con un piede fuori dal Pd, tanto che domani non sarà in assemblea.
Al Senato la minoranza ha preso informazioni presso gli uffici per la
formazione di un gruppo. Hanno anche verificato quanti funzionari gli
spetterebbero. I numeri i bersaniani li avrebbero sia alla Camera che al
Senato (si parla di 40 deputati e 20 senatori ma al dunque le decisioni
di ciascuno potrebbero far oscillare l’asticella). La speranza è poi
attrarre magari quei parlamentari ex Sel che non aderiranno a Sinistra
italiana (Arturo Scotto è stato ospite al teatro Vittoria). Un’altra
partita si aprirebbe poi per le questioni patrimoniali nel Pd,
sull’eredità che i Ds hanno portato al partito al momento della nascita.
Se si farà un soggetto largo, si potrà fare un soggetto da 10% e magari
provare a «recuperare» Enrico Letta. Da subito partirebbe invece il
dialogo con Giuliano Pisapia, che Speranza incontrerà lunedì a un evento
a Venezia. L’ex sindaco ha chiarito negli ultimi giorni che non intende
farsi ‘strattonare’ da nessuno, ma sarebbe un interlocutore naturale.
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