Quarantott’ore alla separazione. Che nei fatti si è già consumata a Ravenna,
cuore rosso della Romagna. Sfogandosi con qualche amico, Giuliano
Pisapia ha parlato di un’imboscata, di una “trappola” orchestrata per
fargli fare ciò che non vuole fare. Dalle parti di Mdp sono basiti: “Ma
come, gli diciamo il leader sei tu, e quello non prende un impegno, non
dà un segnale, non dice una parola chiara sulla data della nascita del
nostro soggetto politico? È imbarazzante”.
Giro di telefonate, poi la decisione, perché il tempo stringe: mancano a occhio sei mesi al voto e non c’è un nome, un simbolo, da presentare.
L’intera operazione degli ultimi sei mesi appare drammaticamente
consumata. Questo week end, a nome di tutti, Roberto Speranza farà un
appello, con tutta la solennità del caso, a costruire il nuovo soggetto a
sinistra del Pd. Certo costruttivo, e rivolto a tutti. Ma con indicata
la famosa “data” dell’assemblea popolare: seconda metà di metà novembre, il 19 o 26, le domeniche cerchiate in rosso. Tradotto: si va avanti con chi ci sta, anche a prescindere da Pisapia,
se in questi giorni non ci saranno chiarimenti sostanziali. Quarantotto
ore, poi l’ultimatum che ha la separazione incorporata, perché è
complicato che l’ex sindaco possa cedere sul punto su cui ha resistito
finora.
La
sensazione è che il solco si allarga. Va solo sbrigata qualche
formalità. Arturo Scotto ha raccontato ai suoi che era diventato
complicato andare in giro a difendere Pisapia, figuriamoci dopo quello
che è successo. A Genova due giorni fa pareva uno sfogatoio: “I nostri
non ne potevano più, sono esasperati. Sei mesi di chiacchiere, ambiguità. Mai una parola chiara. Pensano che abbia l’accordo con qualcuno per rallentare il nostro percorso”. La serata di Ravenna in
giro per l’Italia è stata vissuta, dice più di un parlamentare, come
una “liberazione”: “Era ora, almeno si è fatta chiarezza”. Pisapia non
solo non ha concesso la data del “matrimonio” con Mdp, ma si è
dichiarato “poligamo”. Parola che ha offeso parecchi dei presenti,
perché per quella gente “o ti sposi con Renzi o con Bersani”. E un
leader che si definisce poligamo “è uno in vendita al miglior
offerente”. E poi quel botta e risposta con Errani: “Giuliano è il
nostro leader ma non ha la delega in bianco, non è il capo”, “Guarda
Vasco, che se sono divisivo posso fare un passo di lato. Questa sera mi
sembra che tu abbia definito che il leader sei tu”. Massimo
D’Alema, quando ha letto le agenzie, ha capito al volo che la storia è
arrivata al punto di non ritorno. Archiviata, diciamo. Perché
ci sono dei momenti in cui le cose hanno una loro logica oggettiva. Ora
ci sarà qualche giorno di chiacchiere, politicismi, giochi del cerino,
ma la sostanza è questa.
Cronaca di un feeling mai scattato fino in fondo.
Da entrambe le parti, con l’ex sindaco provato da questa vicenda. Con
qualche amico si è lasciato andare, dopo Ravenna: “Non pensavo fosse
così… Del resto mica me lo ha ordinato il medico”. Troppa tensione
emotiva, troppo stress. Se ne era lamentato anche la scorsa estate
quando tenne il telefono spento per un mese, praticamente. Fosse per
lui, se ne sarebbe già andato. Non col Pd, ma semplicemente ritirato,
dedicandosi agli amati viaggi in India e alle pause di riflessione, come
quando rinunciò al secondo mandato da sindaco uscente. I suoi però lo
pressano, lo puntellano perché è l’ora dell’ansia da sopravvivenza, a
pochi mesi dal voto. Da Tabacci a Ragosta suggeriscono di votare il Rosatellum per poi riaprire il discorso “coalizione col Pd”.
Il grosso aggrappato all’asse con Mdp sperando che il Rosatellum
affossi. Fiutata la rottura tra l’ex sindaco e gli ex Pd, gli altri
della sinistra accelerano (leggi blog di Fratoianni e di Montanari su HuffPost).
E domenica Sinistra Italiana si riunirà in direzione per chiedere di
andare avanti sul percorso unitario di una forza di sinistra. Altro
appello. Tra quarantott’ore.
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