Questa legislatura finisce così:
con l’ex coordinatore di Forza Italia condannato in primo grado a 9
anni e interdetto dai pubblici uffici che, insieme al partito
delle ruspe e del “basta immigrati”, fa approvare una legge elettorale
pensata da centrodestra e centrosinistra per sovradimensionarsi un po’
nel prossimo Parlamento, mentre fuori i capi dell’opposizione si bendano
gli occhi per farsi notare e fotografare dagli odiati giornalisti.
Questa legislatura finisce così: nel grottesco, nelle alleanze torbide in cui ciascuno pensa pro domo sua,
nella rinuncia al senso della vergogna, nella sceneggiata mediatica di
piazza, nei gesti dell’ombrello, nel ridicolo di 529 (avete letto bene:
529) cambi di casacca dal 2013 a oggi, insomma gente che ha cambiato
partito, a volte pure due o tre volte, per un totale di 24 gruppi e
sottogruppi registrati dalla Camera e 29 al Senato, alcuni nati e poi
scomparsi nel grande valzer del volgabbanismo, altri che ancora esistono
pur nell’inconsapevolezza degli elettori che non li hanno mai scelti –
tipo Liguria Civica e Movimento X – e lo sapete che al Senato ci sono
tre rappresentanti dell’Italia dei Valori, che nel 2013 non aveva
raggiunto il quorum annegando in Rivoluzione Civile, e invece oplà,
l’Idv bocciata dagli elettori è rinata silenziosamente nel Palazzo.
Questa legislatura finisce così: lasciando in eredità il Decreto Poletti, il Jobs Act, la ‘Buona Scuola’, lo Sblocca Italia,
una riforma elettorale bocciata dalla Consulta, una riforma
costituzionale bocciata dagli elettori, un’altra legge elettorale
pensata e studiata in extremis per salvare le coalizioni che l’hanno
approvata, un ex premier egotico e stizzoso che non ha capito nulla di
quello che è accaduto nell’ultimo anno – e ancora manca il voto in
Sicilia per timbrarne il tramonto – più un odio reciproco e insanabile
tra l’ex maggiore partito di sinistra e almeno metà del popolo di
sinistra, diasporizzato, orfano, spaesato, astenuto e incazzato non solo
con gli altri ma pure con se stesso, con i suoi leader rissosi, con la
loro incapacità di uscire dall’irrilevanza e dall’autoreferenzialità.
Questa legislatura finisce così, con i 5 Stelle entrati alle Camere come espressione caotica ma genuina
di un movimentismo nato su battaglie per l’acqua pubblica,
l’ambientalismo, la democrazia diretta, la dirittura morale nella
gestione della cosa pubblica, i diritti dei dimenticati e la fine dei
privilegi: forse ingenui ma vitali e un po’ pirati. E poi, giorno dopo
giorno, eccoli trasformarsi in una falange irregimentata di espulsioni e
processi, diktat e contratti obbligatori, mentre politicamente
scivolavano in una variante della vecchia Democrazia Cristiana, così ben
rappresentata dal suo nuovo e grigio capo Luigi Di Maio, autoproclamato
erede al contempo di Berlinguer e Almirante, front man di un partito
che contiene tutto e il suo contrario, pauroso della contaminazione
etnica fino all’elogio del peggior ministro in carica – Minniti – e al
rifiuto dello ius soli ai bambini degli immigrati, mentre la democrazia
diretta diventava una beffa in cui chi ha vinto viene sostituito da chi
ha perso perché lo ha deciso il figlio del cofondatore, potente nel
movimento per esclusiva legge aziendal-dinastica.
Questa legislatura finisce così, con l’assurdo risorgere di Berlusconi
le cui infinite nefandezze ad personam sono state cancellate dalla
smemorina – l’unico prodotto che gli italiani assumono massicciamente
ogni giorno – ed eccolo qui di nuovo, dimagrito da Chenot e mummificato
dai chirurghi, con un nuovo doppiopetto da statista responsabile che
però fa alleanze con ogni pulsione di destra estrema – è quella che sale
nel Paese, sale sempre quando le classi mediobasse scivolano nella
povertà e la sinistra si dà alla latitanza.
Questa legislatura finisce così, con più rabbia diffusa e meno coesione sociale
di cinque anni fa, con partiti che rappresentano solo ambizioni e caos,
senza progetti di affrancamento e riscatto. E senza visioni per la
prossima che non siano calcoli di collegio, candidature sicure,
addizioni di deputati e senatori che cambieranno di nuovo casacca ma
appiccicheranno una qualche maggioranza, peggiorando se stessi e il
Paese che sarebbero chiamati – incredibile – a migliorare.
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