giovedì 26 ottobre 2017

Questa legislatura finisce così di Alessandro Gilioli

 
Questa legislatura finisce così: con l’ex coordinatore di Forza Italia condannato in primo grado a 9 anni e interdetto dai pubblici uffici che, insieme al partito delle ruspe e del “basta immigrati”, fa approvare una legge elettorale pensata da centrodestra e centrosinistra per sovradimensionarsi un po’ nel prossimo Parlamento, mentre fuori i capi dell’opposizione si bendano gli occhi per farsi notare e fotografare dagli odiati giornalisti.

Questa legislatura finisce così: nel grottesco, nelle alleanze torbide in cui ciascuno pensa pro domo sua, nella rinuncia al senso della vergogna, nella sceneggiata mediatica di piazza, nei gesti dell’ombrello, nel ridicolo di 529 (avete letto bene: 529) cambi di casacca dal 2013 a oggi, insomma gente che ha cambiato partito, a volte pure due o tre volte, per un totale di 24 gruppi e sottogruppi registrati dalla Camera e 29 al Senato, alcuni nati e poi scomparsi nel grande valzer del volgabbanismo, altri che ancora esistono pur nell’inconsapevolezza degli elettori che non li hanno mai scelti – tipo Liguria Civica e Movimento X – e lo sapete che al Senato ci sono tre rappresentanti dell’Italia dei Valori, che nel 2013 non aveva raggiunto il quorum annegando in Rivoluzione Civile, e invece oplà, l’Idv bocciata dagli elettori è rinata silenziosamente nel Palazzo.

Questa legislatura finisce così: lasciando in eredità il Decreto Poletti, il Jobs Act, la ‘Buona Scuola’, lo Sblocca Italia, una riforma elettorale bocciata dalla Consulta, una riforma costituzionale bocciata dagli elettori, un’altra legge elettorale pensata e studiata in extremis per salvare le coalizioni che l’hanno approvata, un ex premier egotico e stizzoso che non ha capito nulla di quello che è accaduto nell’ultimo anno – e ancora manca il voto in Sicilia per timbrarne il tramonto – più un odio reciproco e insanabile tra l’ex maggiore partito di sinistra e almeno metà del popolo di sinistra, diasporizzato, orfano, spaesato, astenuto e incazzato non solo con gli altri ma pure con se stesso, con i suoi leader rissosi, con la loro incapacità di uscire dall’irrilevanza e dall’autoreferenzialità.

Questa legislatura finisce così, con i 5 Stelle entrati alle Camere come espressione caotica ma genuina di un movimentismo nato su battaglie per l’acqua pubblica, l’ambientalismo, la democrazia diretta, la dirittura morale nella gestione della cosa pubblica, i diritti dei dimenticati e la fine dei privilegi: forse ingenui ma vitali e un po’ pirati. E poi, giorno dopo giorno, eccoli trasformarsi in una falange irregimentata di espulsioni e processi, diktat e contratti obbligatori, mentre politicamente scivolavano in una variante della vecchia Democrazia Cristiana, così ben rappresentata dal suo nuovo e grigio capo Luigi Di Maio, autoproclamato erede al contempo di Berlinguer e Almirante, front man di un partito che contiene tutto e il suo contrario, pauroso della contaminazione etnica fino all’elogio del peggior ministro in carica – Minniti – e al rifiuto dello ius soli ai bambini degli immigrati, mentre la democrazia diretta diventava una beffa in cui chi ha vinto viene sostituito da chi ha perso perché lo ha deciso il figlio del cofondatore, potente nel movimento per esclusiva legge aziendal-dinastica.

Questa legislatura finisce così, con l’assurdo risorgere di Berlusconi le cui infinite nefandezze ad personam sono state cancellate dalla smemorina – l’unico prodotto che gli italiani assumono massicciamente ogni giorno – ed eccolo qui di nuovo, dimagrito da Chenot e mummificato dai chirurghi, con un nuovo doppiopetto da statista responsabile che però fa alleanze con ogni pulsione di destra estrema – è quella che sale nel Paese, sale sempre quando le classi mediobasse scivolano nella povertà e la sinistra si dà alla latitanza.

Questa legislatura finisce così, con più rabbia diffusa e meno coesione sociale di cinque anni fa, con partiti che rappresentano solo ambizioni e caos, senza progetti di affrancamento e riscatto. E senza visioni per la prossima che non siano calcoli di collegio, candidature sicure, addizioni di deputati e senatori che cambieranno di nuovo casacca ma appiccicheranno una qualche maggioranza, peggiorando se stessi e il Paese che sarebbero chiamati – incredibile – a migliorare.

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