L'Fmi sconfessa Trump e Macron: "Più tasse ai ricchi per ridurre disuguaglianze"
L'autorevole
Fiscal Monitor del Fondo Monetario internazionale sostiene che
l'aumento della pressione fiscale sui redditi più alti non frena la
crescita. "C'è spazio per aliquote più alte di quelle applicate ora"
di ETTORE LIVINIL'outing dell'Fmi arriva nel tradizionale (e autorevolissimo) Fiscal Monitor di Washington. I toni, nello stile della casa, sono felpati e accademici. Ma la sostanza è chiara: le migliori prassi economiche consigliano di applicare ai contribuenti ad alto reddito aliquote decisamente superiori rispetto a quello attuali, che sono in costante calo". Molti studi - ammettono gli uomini di Christine Lagarde - sostengono che un giro di vite fiscale sui ricchi può danneggiare la crescita. Tesi che il Fondo rigetta senza se e senza ma: "I risultati empirici non supportano alcuna ipotesi di questi tipo, almeno per aumenti di progressività della pressione tributaria non eccessivi".
L'Fmi, come ovvio, non fa nomi di singoli paesi e non punta il dito contro nessuno. La diagnosi del Fiscal monitor è però senza appello: le economie più avanzate - è la sintesi - hanno vissuto negli ultimi tre decenni un deciso aumento delle disuguaglianze. E la colpa è del netto aumento della ricchezza in mano all'1% più ricco della popolazione. Una montagna d'oro che in qualche modo gode di un trattamento erariale privilegiato e non solo per l'accessibilità dei Paperoni alle più svariate (e non sempre legali) forme di ottimizzazione fiscale: l'aliquota massima media dei Paesi più industrializzati dell'Ocse - calcola un blog di Vito Gaspar, responsabile degli studi tributari dell'Fmi - è crollata dal 62% del 1981 al 35% del 2015.
Lo studio del Fondo, come ovvio, ha rapidamente trovato una sua lettura politica. Il Partito laborista di Jeremy Corbin ne ha già fatto un manifesta per le sue proposte fiscali: un'aliquota del 45% per chi ha un reddito superiore alle 80mila sterline (poco meno di 100mila euro) che sale al 50% oltre alle 123mila. In direzione opposta si sono mossi invece Parigi e la Casa Bianca, individuate da molti come il bersaglio dello studio del Fondo: Donald Trump ha appena annunciato una serie di tagli alle tasse i cui maggiori beneficiari sarebbero proprio i più benestanti. Il piano Macron prevede invece un taglio della cosiddetta "tassa sulle fortune", una sorta di colpo di spugna sulla "patrimoniale" che gravava sui beni dei francesi più ricchi.
Rottamazione cartelle esattoriali, così a metà corsa si scopre che si poteva anche non pagare in tempo
di Paolo Fior
Anche questa volta arriva puntuale un decreto del governo che cambia le carte in tavola e permette di tornare in gioco anche a chi non ha versato la prima o la seconda rata della rottamazione. Un ripescaggio - o meglio, un vero e proprio condono nel condono - teso a salvare qualcuno buttando a mare ciò che resta della credibilità dello Stato e che fa infuriare tutti coloro che hanno pagato puntualmente e con sacrificio.
L’Italia non è un Paese per “fessi”. Lo dimostra una volta in più il governo Gentiloni che in fretta e furia, con un bel decreto, ha deciso di riaprire le danze per la rottamazione delle cartelle esattoriali. Sulle prime si potrebbe pensare a un provvedimento positivo, volto a estendere i vantaggi della rottamazione (cancellazione di sanzioni e interessi di mora) anche all’anno in corso, mantenendo le stesse regole e gli stessi criteri stabiliti per il primo provvedimento. Un punto fermo era l’impegno che, una volta effettuata la definizione agevolata, il debitore dovesse puntualmente onorare le cinque rate massime previste e che l’eventuale omissione o ritardato pagamento anche solo di una rata avrebbe determinato l’immediata perdita dei benefici garantiti dalla rottamazione. Un patto, insomma, per onorare il quale molti contribuenti hanno fatto salti mortali o si sono addirittura indebitati.
Cittadini onesti ma “fessi”, perché è ormai risaputo che pagare entro le scadenze in Italia non “paga”. Infatti anche questa volta arriva puntuale un decreto del governo che cambia le carte in tavola e permette di tornare in gioco anche a chi non ha versato la prima o la seconda rata della rottamazione. Un ripescaggio – o meglio, un vero e proprio condono – teso a salvare qualcuno buttando a mare ciò che resta della credibilità dello Stato e che fa infuriare tutti coloro che hanno pagato puntualmente e con sacrificio le due rate. “Si poteva non pagare”: è questo il messaggio che il governo manda ai cittadini. Un messaggio che, di condono in condono, è uguale a se stesso da decenni, ma poco importa: le elezioni premono e bisogna fare in fretta, salvando soprattutto i grandi bacini di voti.Roma e le case popolari dell’Ater sono uno di questi. L’Ater è controllata dalla Regione Lazio (guida Pd) e ha un debito con il Comune di Roma (amministrato dai 5 Stelle) di circa 500 milioni di euro per imposte non pagate. Ater ha aderito alla prima rottamazione, ma non è poi riuscita a pagare se non parzialmente (32 milioni su 64) la seconda rata scaduta il 2 ottobre. Stando alle regole, l’agenzia regionale avrebbe perso ogni beneficio e si sarebbe trovata debitrice dell’intero importo comprensivo di sanzioni e interessi di mora. Un guaio “politico” forse ancor prima che finanziario, cui il decreto del governo pone immediato rimedio: l’inadempiente Ater può riprendere la rottamazione da dove l’aveva interrotta come se nulla fosse accaduto, il Comune ci rimette qualcosa ma con la rottamazione – cioè con un debito ridotto – è più probabile che Ater riesca a pagare qualcosa piuttosto che con un debito “pieno”, posto che la Regione non pare disposta a farsi carico del problema. Quello di Roma è solo un caso che viene in mente perché è storia di questi giorni, ma quante Ater esistono in Italia? E quanti furbacchioni pubblici e privati riceveranno un ingiusto beneficio dal decreto del governo Gentiloni?
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