venerdì 30 novembre 2012

Il welfare degli egoisti di Manuele Bonaccorsi, www.left.it

«Il nostro Sistema sanitario nazionale potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento», ha dichiarato il premier Monti martedì scorso. Tradotto: niente certezza della cura, la sanità dobbiamo pagarcela da soli. Poco male: per noi “casta” dei giornalisti è già così. Abbiamo una cassa sanitaria professionale, si chiama Casagit, che ci garantisce senza spendere un euro un’assistenza sanitaria completa, comprese le lenti da vista, le costosissime cure dentistiche, riabilitazioni ortopediche. In pulitissime cliniche, senza lista d’attesa. Splendido, no? Per la precisione, cotanto lusso non è proprio gratis. Lo paghiamo nella nostra busta paga, un contributo mensile, tanto più alto quanto più elevato è il salario. Quindi, se lo Stato abbandona il diritto alla cura, per chi scrive e per i suoi colleghi non è un problema. Oddio, non proprio per tutti i colleghi. I giornalisti contrattualizzati, che sono sempre meno, stanno in una botte di ferro. Ma i nostri collaboratori, quelli che sono pagati a pezzo, i portavoce degli uffici stampa, la pletora di partite Iva delle televisioni, loro la Casagit non ce l’hanno. Peggio per loro, no?
Ecco, la questione posta da Mario Monti funziona proprio così. Siccome non possiamo permetterci più il diritto “universale” alla salute, non esiste altra soluzione che “privatizzare” la sicurezza sociale. La conseguenze è che solo chi lavora, è già forte contrattualmente e ha paghe più alte, può godere di quel diritto. Come in America: se lavori hai la sanità, se no fatti tuoi. Si chiama “welfare contrattuale”, è una battaglia della Cisl che sul tema aveva avviato un profondo dialogo con l’ex ministro Maurizio Sacconi. Il tema è precipitato anche nel recente accordo sulla produttività, non firmato dalla Cgil, dove si prevede di detassare i contributi per il welfare contrattuale a livello nazionale e aziendale. Secondo quell’accordo, addirittura, potrebbero esserci sistemi di welfare diversi tra diverse aziende di uno stesso settore produttivo. Se lavori in Maserati hai il welfare, se stai in Fiat no. E tutti gli altri? Non resta che chiedere la carità. Non è una boutade. Lo scriveva proprio Sacconi, nel suo libro bianco sul welfare. Servirebbe l’opposto: poiché il mondo del lavoro è cambiato, e la certezza dell’impiego è purtroppo un ricordo del passato, ci vuole un welfare universalistico, che sostenga tutti: lavoratori e disoccupati, precari e dipendenti stabili, anziani e giovani. Susanna Camsussosostiene che l’accordo sulla produttività «sancisce il principio che prestazioni pubbliche quali la sanità e il welfare possono trovare forme complementari solo per una parte della popolazione, sottraendo risorse pubbliche a beneficio di tutti». Tradotto: se i protetti “fanno da sé” pagano meno tasse. E se pagano meno tasse si riducono le protezioni per tutti i non protetti. Il welfare al contrario, l’egoismo fatto principio. Possiamo dirlo chiaramente? Il premier, con questa dichiarazione, dimostra la sua rispettabilissima natura politica. Il professore si troverebbe del tutto d’accordo con le proposte portate avanti da Romney che si opponeva al Medical care di Obama. è ideologicamente e politicamente l’ultimo epigono di una stagione dell’economia e della politica globale che si chiama neoliberismo. Che ha portato alla più grande “redistribuzione” di risorse dal lavoro ai ricchi che la storia recente ricordi. Ci risponderanno che il welfare è un lusso che non possiamo permetterci, ce lo dice l’Europa, che ci impone di tagliare la spesa pubblica. Ma se l’Europa davvero ha l’obiettivo politico di distruggere i sistemi di welfare nazionali, allora questa non è la nostra Europa. Non perché siamo “antieuropei”. Ma perché Bruxelles (e Berlino) ha dimenticato di essere europea. Ormai è americana, peggio di Romney.

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