venerdì 23 novembre 2012

“Riforma morale e riforma economica sono il cardine della trasformazione”. Intervista a Giacomo Schettini


«Temo che oggi non si stia contrastando adeguatamente l’azione volta a svuotare la questione morale delle sue potenzialità trasformatrici da parte di un vero esercito di spidocchiatori e lucratori dell’antipolitica, e non penso principalmente a Grillo». Giacomo Schettini ha appena ultimato il suo saggio sul tema della corruzione per il nuovo numero della rivista diretta da Fausto Bertinotti, alternative per il socialismo, che sarà in libreria dalla fine di novembre. Lucido e fine intellettuale Schettini ha un giudizio molto netto sulla condizione in cui si trova il Paese e sulle sue cause: «La “questione morale”, la corruzione, che ne è elemento costitutivo, sono condizioni endemiche strutturalmente incorporate nel capitalismo, così come, in Italia, si è venuto determinando sullo sfondo di caratteri originari e momenti storici pieni e prolifici di distorsioni».

Se dovessi indicare alcuni dei passaggi chiave che ci hanno portato nella situazione in cui ci troviamo, quali indicheresti?
Una borghesia che ha costruito la sua fragile egemonia a ridosso della rendita, del clero, della spesa pubblica; un’Unità nazionale fondata su compromessi squilibrati e squilibranti, in cui non sono mancate violenze e tentazioni colonizzatrici; un’onda liberista, che ha sbriciolato i legami sociali, contrabbandato l’arbitrio per libertà, magari “nuova”, diffuso un individualismo rapace e avaro, esercitato a spese delle donne, della Natura, dell’amicizia, dell’onestà; un’organizzazione tecnologica della vita, della produzione e degli scambi, che ha prodotto e produce un tipo umano consumatore, assuefatto, disincantato, segnato, insomma, dal male della banalità.

Sembra un terreno che allude, in qualche modo, anche a un altro fenomeno che tradizionalmente ha inquinato la vita politica, culturale e sociale del nostro Paese: mi riferisco al trasformismo.
Non credo che sia una forzatura o inattuale ricordare che il “trasformismo”, assurto alla dignità di paradigma storiografico, di performatore di un modello egemonico contraddittorio e perciò fragile, sia stato e sia uno dei terreni più fertili su cui si è svolta, fino a esplodere, la questione morale. Nelle pratiche trasformistiche, certo, conta l’assorbimento, quasi sempre in modo molecolare, nel blocco dominante di soggetti antagonisti, ma quel che più conta è la qualità, cioè i contenuti e le finalità, delle mediazioni.
Ci troviamo di fronte a un vizio d’origine, quindi?
A partire dal decennio 1850-1860, il Connubio di ispirazione cavouriana e, poi, in modo addirittura più eclatante, nel 1882, col governo Depretis, fino ai nostri giorni, lo spazio politico-geografico in cui sinistra e destra hanno fatto incontrare le loro reciproche concessioni, ovvero il loro “senso dello Stato”, viene individuato nel “centro”, il luogo, scrive lo storico Sabatucci, del «partito unico delle classi dirigenti».

Dal processo che portò all’unità del Paese fino a oggi sembrano prevalere quelle mediazioni volte più a riprodurre il potere che a costituire rapporti più equilibrati e moderni tra le classi e tra il centro e la periferia.
Proprio allora ebbero inizio quegli scambi perversi che si sono perpetuati, e “perfezionati”, fino ai giorni nostri: al Nord, mano libera agli industriali sullo sviluppo; al Sud, mano libera agli ascari sui trasferimenti di spesa; ai rampanti, mano libera sulle città e sulla natura, sul fisco e sugli incentivi; alla politica, il consenso. Man mano che si politicizzava il mercato e mercificava la politica, gli scambi perversi venivano integrando una sorta di “economia mista nera” che, credo, possa essere compresa a pieno titolo in quel “keynesismo delinquenziale” descritto da De Cecco.

Nel saggio che hai preparato per alternative per il socialismo c’è un riferimento alla famosa denuncia svolta da Enrico Berlinguer.
Berlinguer, nella nota intervista a Scalfari, denunziava la dissennata proliferazione e occupazione degli enti che programmavano e gestivano, e continuano a farlo, la spesa pubblica, quasi sempre con criteri volti ad accrescere la produttività elettorale, piuttosto che quella sociale. Intervista profetica, visto che proprio nel decennio Ottanta si sono verificati i danni maggiori. Si è determinata, così, una degenerazione delle funzioni e dell’organizzazione dello Stato sociale.

Oggi siamo di fronte a una vera e propria emergenza democratica, qual è il tuo giudizio?
In Italia e in Europa siamo prossimi al pericolo, la salvezza non sembra più vicina: la necessità di cambiare senso di marcia si presenta, appunto, con l’urgenza di un atto di salvezza e le classi dirigenti appaiono e sono inadeguate. In questa contraddizione, non nuova, covano rischi di cadute democratiche e di tentazioni autoritarie. L’onda del liberismo globalizzato, venuta dal mondo senza incontrare resistenze e non di rado assecondata, ha introdotto e diffuso mutamenti oggettivi e soggettivi, anzi antropologici, che hanno rotto molte maglie di quell’armatura su cui si è fondata e ha retto la connessione sociale e democratica dell’Italia. Quando le contraddizioni raggiungono frontiere estreme, si riducono gli spazi per gli adattamenti e gli aut-aut si fanno anche sfida morale. La politica e l’etica si incontrano, e questo incontro conferisce all’agire un significato sacro e drammatico insieme.

Nel tuo saggio è un tema che approfondisci molto, puoi anticipare qual è il nodo che dobbiamo sicuramente sciogliere per invertire la tendenza?
La riforma intellettuale e morale e la riforma economica, come due facce dello stesso processo, erano in Gramsci e, io credo, restino ancora il cardine della trasformazione in Occidente. Non so se l’industria dello spirito riuscirà a “rinnovare il capitalismo”. Comunque, il suo apporto resta decisivo per superare il capitalismo a condizione che, attraverso un forte movimento culturale e di massa, vengano rovesciati gli attuali contenuti e finalità della suddetta industria dello spirito, volti a ridurre la folla ad apparato dipendente, nel senso psicologico e funzionale, del mercato e della megamacchina finanziaria. La politica è chiamata a ricollocarsi: la crisi economica, sociale e politica, in cui il mondo e l’Italia si dibattono, oggi impone una svolta netta e necessaria verso un governo egualitario, ecologico, pacifista delle risorse a dimensione planetaria.

Giuseppe D’Agata, www.lavorincorsoasinistra.it

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