Ciò di cui l’Europa e l’Italia hanno bisogno è una presenza politica
la cui ragione d’essere sia la rappresentanza di un insieme di parti
della società che oggi non hanno alcuna rappresentanza politica.
Le politiche di risposta alla crisi, infatti, sono in realtà
politiche di sostegno e rafforzamento di un dominio capitalistico sulla
società italiana ed europea che toglie i diritti al mondo del lavoro
dipendente, che penalizza i giovani e le donne in cerca di un lavoro che
non c’è, che sta progressivamente liquidando ogni aspetto dello Stato
Sociale sostituendolo solo con la tutela individuale e famigliare, che
umilia la ricerca scientifica e culturale piegandola ad una logica di
pura efficienza a sostegno di tale dominio. Questa situazione ha messo
in discussione non solo i diritti sociali ma anche quelli democratici
dei cittadini dando origine ad una pericolosa deriva tecnico-autoritaria
che risospinge il conflitto sociale verso la sua delegittimazione,
quando non verso la sua criminalizzazione, svuotando dall’interno la
stessa democrazia politica.
Tale dominio è stato reso possibile grazie alle politiche cosiddette
neoliberiste sostenute da quelle stesse forze che oggi predicano
l’austerità e alla loro cooptazione nei circoli del potere economico e
finanziario, come dimostrano i casi crescenti di scambio di ruolo tra
esponenti del mondo politico e di quello economico e finanziario. Le
alternanze dei governi nei paesi europei negli ultimi venti anni non
hanno messo in discussione le radici di questa situazione.
Non si può, infatti, pensare di invertire tale dinamica solo
affrontando, con provvedimenti sociali pur condivisibili, le conseguenze
più gravi di tali processi.
Vanno messe in discussione le premesse di tali politiche, il che
significa la messa in discussione di questa Unione Europea e la
costruzione di una nuova che sia basata sul pieno riconoscimento della
legittimità democratica del conflitto sociale, sulla espansione della
democrazia in tutte le pieghe della società, ad iniziare dai luoghi di
lavoro, di ricerca e di studio, su politiche orientate alla piena
occupazione ed al pieno utilizzo delle capacità e competenze di tutti i
cittadini ed alla radicale riduzione delle diseguaglianze. Una piena
occupazione che può venire solo da un cambiamento radicale delle
priorità economiche e produttive orientandole verso i bisogni sociali
vitali insoddisfatti di una larga parte della popolazione europea, verso
la soddisfazione dei bisogni di socialità, solidarietà e creatività
oggi sacrificati alla ricerca di una competitività distruttiva delle
persone e della ricchezza sociale. Un orizzonte siffatto richiede la
massima espansione della scienza e della cultura come pratica comune di
tutti i cittadini. Una prospettiva di questo tipo richiede infine
responsabilità e sobrietà nell’uso delle risorse comuni ed una piena
trasparenza nell’uso di tali risorse da parte delle autorità di governo.
Questi obiettivi non sono oggi rappresentati nell’arena politica
italiana ed europea, se non che in modo marginale; si tratta quindi di
risalire tale china. Le politiche identitarie non sono in grado di
consentire ciò. Tale affermazione non implica che non occorrano delle
chiare scelte di valore, come premessa all’azione politica; esse vanno
costruite in modo concreto, cioè con un’analisi realistica di quanto sta
accadendo nelle nostre società e con la partecipazione di tutti coloro
che vogliono una reale cesura con questa situazione.
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