Il caso Raggi a Roma non è un incidente di percorso ma la rivelazione “spettacolare” dei gravi limiti strutturali dei 5 Stelle: il successo e il consenso elettorale da loro conseguiti sono soprattutto manifestazioni della malattia e del pessimo stato di salute in cui versa la rappresentanza e la democrazia del nostro paese.
Prima il caso Parma con il transfugo Pizzarotti, poi altri Comuni a guida 5 Stelle (Quarto nel napoletano, Ragusa, Civitavecchia ecc.) per arrivare a Livorno. Dalle città dove tentano di governare emergono i difetti congeniti del movimento: chi sceglie i candidati? Quanto sono determinanti gli attivisti del movimento e gli indirizzi dei meetup? E quanto è reale la capacità di coinvolgere i cittadini “comuni”, di appassionarli alla res publica e ai beni comuni?
A Livorno i consiglieri comunali — tranne poche eccezioni — hanno ottenuto qualche decina di voti, a volte è stato sufficiente un pugno di preferenze. Nogarin è stato scelto, dopo scontri interni fratricidi che hanno rischiato di far saltare il banco, da poche decine di attivisti, con il voto on line.
Dopo 900 giorni, superato metà mandato, continuiamo a vedere una giunta arroccata su se stessa, sempre più autosufficiente e autoreferenziale, che spreca occasioni e proposte innovative. L’origine dei mali risale al momento della vittoria al ballottaggio di Nogarin: chi aveva ricevuto al primo turno appena 16.000 voti su un totale di 137.000 elettori, con appena il 19% dei votanti, avrebbe dovuto costruire percorsi e pratiche ben diverse, non favorendo il clima da assediati e di precarietà permanente, fra consiglieri espulsi e cambi di assessori. Il palazzo è lontano dai cittadini e dai problemi reali della città. Trasparenza, democrazia interna, formazione della volontà politica: sembrano optional e marginali rispetto alla voce del padrone pronto a emarginare ed espellere i reprobi. Pesa, a Livorno come altrove, la mancanza di orizzonti e di modelli economici alternativi per rivitalizzare i territori che porta i vari amministratori grillini a schiacciarsi spesso su direttrici già tracciate dalla macchina amministrativa, ereditata dalle precedenti amministrazioni.
Dopo 900 giorni, superato metà mandato, continuiamo a vedere una giunta arroccata su se stessa, sempre più autosufficiente e autoreferenziale, che spreca occasioni e proposte innovative. L’origine dei mali risale al momento della vittoria al ballottaggio di Nogarin: chi aveva ricevuto al primo turno appena 16.000 voti su un totale di 137.000 elettori, con appena il 19% dei votanti, avrebbe dovuto costruire percorsi e pratiche ben diverse, non favorendo il clima da assediati e di precarietà permanente, fra consiglieri espulsi e cambi di assessori. Il palazzo è lontano dai cittadini e dai problemi reali della città. Trasparenza, democrazia interna, formazione della volontà politica: sembrano optional e marginali rispetto alla voce del padrone pronto a emarginare ed espellere i reprobi. Pesa, a Livorno come altrove, la mancanza di orizzonti e di modelli economici alternativi per rivitalizzare i territori che porta i vari amministratori grillini a schiacciarsi spesso su direttrici già tracciate dalla macchina amministrativa, ereditata dalle precedenti amministrazioni.
A chi rispondono i sindaci? Ai loro elettori, o ai cittadini tutti? La vicenda Raggi a Roma dissipa i dubbi: “mi dimetterò se Beppe Grillo me lo chiederà”. Si risponde a chi ci ha dato l’investitura, come nelle società feudali. Chi ha avuto il voto di centinaia di migliaia di romani agisce sulla base degli ordini di chi può revocare il marchio di fabbrica.
Il Movimento è chiuso in se stesso perché pensa se stesso come una forza salvifica che deve proteggersi dal mondo esterno, incontaminato fino alla palingenesi totale che coinciderà con la presa del potere.
Crisi di rappresentanza, crisi di democrazia, crisi dei partiti. Grillo ha costruito intorno a questo tema il suo successo: radere al suolo la vecchia politica. Una democrazia senza partiti, a presa istantanea. Per questo ha costruito un movimento di fedeli che reclama la democrazia all’esterno ma pratica all’interno la segretezza e l’obbedienza al capo. Non sarà dai “bravi ragazzi” che potrà riprendere fiato la democrazia italiana. Almeno finché le loro energie rimarranno imbrigliate in un involucro senza trasparenza e senza democrazia.
Il Movimento è chiuso in se stesso perché pensa se stesso come una forza salvifica che deve proteggersi dal mondo esterno, incontaminato fino alla palingenesi totale che coinciderà con la presa del potere.
Crisi di rappresentanza, crisi di democrazia, crisi dei partiti. Grillo ha costruito intorno a questo tema il suo successo: radere al suolo la vecchia politica. Una democrazia senza partiti, a presa istantanea. Per questo ha costruito un movimento di fedeli che reclama la democrazia all’esterno ma pratica all’interno la segretezza e l’obbedienza al capo. Non sarà dai “bravi ragazzi” che potrà riprendere fiato la democrazia italiana. Almeno finché le loro energie rimarranno imbrigliate in un involucro senza trasparenza e senza democrazia.
A differenza di qualche santone mediatico che invoca il napalm per distruggere l’intera classe dirigente, crediamo che costruire dal basso, senza scorciatoie e pratiche messianiche o salvifiche, sia possibile con il lavoro quotidiano e l’ottimismo della volontà, attraverso organizzazioni politiche capaci di aggregare e rendere protagoniste e attive le persone.
Stefano Romboli – Direttivo Buongiorno Livorno
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