mercoledì 25 gennaio 2017

Relazione introduttiva di Paolo Ferrero al Comitato Politico Nazionale PRC-Se


Relazione introduttiva di Paolo Ferrero al Comitato Politico Nazionale PRC-Se


Car@ compagn@, questo Comitato Politico Nazionale ha come punto fondamentale di discussione i nodi congressuali e di questo parlerò nella seconda parte della relazione. Nella prima parte mi limiterò a fare il punto sulle novità politiche delle ultime settimane. La situazione che stiamo vivendo è connotata dalla magnifica vittoria che abbiamo ottenuto nel referendum. Questa costituisce uno spartiacque decisivo sia sul piano generale dei rapporti di forza – essere riusciti a mantenere la Costituzione nata dalla Resistenza contro il tentativo di scardinamento prodotto dal governo Renzi – ma anche per gli effetti politici immediati che questo risultato ha avuto, sia nel corpo del paese, sia dentro l’establishment.
I referendum
In questo quadro, la Corte Costituzionale ha deciso di impedire al popolo italiano di votare sull’ articolo 18. Si tratta di una scelta puramente politica: che la Corte abbia bocciato l’ammissibilità di un referendum che ha un tasso di manipolazione inferiore a quello dei quesiti che sono stati accettati dalla Corte nel 2003, costituisce un fatto gravissimo, privo di qualsiasi logica giuridica e guidato unicamente dalla scelta politica di affossare i referendum presentati dalla CGIL. E’ bene ricordare come nel 2003 il quesito approvato dalla corte da un lato interveniva su tre leggi e dall’altro toglieva qualunque soglia minima per applicare lo statuto dei lavoratori. Il quesito bocciato oggi dalla corte interviene solo su due leggi e lascia la soglia minima di 5 dipendenti che è già contenuto nel testo della legge 300. Due sono i versanti da cui analizzare questa scelta politica della Corte: Quello principale è il fatto che al popolo italiano non gli viene permesso di esprimersi sull’articolo 18. Dopo la sconfitta che il governo ha avuto sulla Costituzione, il tentativo che è in corso è quello di impedire al popolo di pronunciarsi direttamente sulle questioni importanti. Non a caso, il governo vuole intervenire sui voucher con una norma che senza abolirli – come chiesto dal referendum – faccia una modifica limitata, dando per scontato che questo venga accettato dalla Corte come sostitutivo del referendum. L’obiettivo politico è quello di lasciare in vita unicamente il referendum sugli appalti, puntando sul fatto che venga meno il quorum dei votanti: è un disegno politico per impedire alla gente di poter dire la sua attraverso il referendum. Siamo davanti a una oligarchia che ha deciso attraverso una concertazione tra poteri – governo, Presidente della Repubblica e maggioranza della Corte Costituzionale – che dovrebbero al contrario agire come controllo l’uno dell’altro. Questa oligarchia, vuole impedire al popolo di decidere sulle questioni importanti e punta a trasformare il sistema politico da sistema di rappresentanza degli interessi sociali a sistema politico blindato, impermeabile alle istanze sociali, la cui funzione è diventata quella di produrre norme che permettono al neoliberismo di esercitare il proprio dominio. C’è un tasso di organicità nel piegare la democrazia ai fini di parte delle oligarchie a cui non abbiamo mai assistito nel dopoguerra: siamo di fronte ad un salto di qualità senza precedenti. In secondo luogo c’è il riverbero interno alle classi dominanti. E’ in corso una partita tra chi vorrebbe andare a votare subito e chi invece vuole spostare il più avanti possibile le elezioni: questa sentenza va nella direzione di spostare più avanti le elezioni. In questo senso c’è una battaglia dell’oligarchia contro il popolo, e poi c’è una partita dentro l’oligarchia tra frazioni concorrenti. Il partito che puntava alle elezioni immediate – un partito trasversale perché non è una cosa solo interna al Pd – mi pare uscire indebolito da questa sentenza. In questa situazione noi dobbiamo fare una battaglia nel paese per evidenziare che quella della consulta è una sentenza politica e denunciare che il governo vuole scippare anche il secondo referendum sui voucher: dobbiamo far partire immediatamente una campagna politica finalizzata a vincere i referendum o a far pagare al governo e al Pd il maggior prezzo politico possibile nel caso in cui riescano ad affossare il referendum.
La legge elettorale
Il secondo punto di discussione e iniziativa politica è la legge elettorale. Noi abbiamo sostenuto, immediatamente dopo il referendum, che si sarebbe dovuto andare a votare subito con la legge elettorale che usciva dalla sentenza della Corte. Ribadendo questa posizione, riteniamo che l’unica cosa che può fare il Parlamento è quella di intervenire per dar vita ad una legge elettorale proporzionale pura. Le ragioni di non legittimità morale e politica di questo parlamento – pieno di persone che non sarebbero state elette se si fosse votato con una legge costituzionalmente valida – sono enormi e un parlamento così fatto è legittimato unicamente a fare una legge elettorale in cui uno vale uno, cioè proporzionale pura. Questa è la posizione che vi propongo di tenere. Qualcuno solleverà il problema che questa posizione è molto simile a quella di Forza Italia, che punta con ogni evidenza al governissimo. Non vedo il problema. È molto più chiara una situazione con Forza Italia e Pd che governano insieme, visto che hanno una linea politica omogenea, in cui c’è una opposizione di destra e una di sinistra. Forza Italia, Pd e Ncd, sono parti diverse dello stesso partito. Meglio una grande coalizione tra frazioni diverse dello stesso partito che non un bipolarismo tra simili che ha l’unica funzione di impedire che le posizioni di alternativa possano vivere sul piano politico. La legge elettorale proporzionale è l’unica che permette di registrare la realtà effettiva delle cose e cioè che in Italia – come in Europa – opera un partito trasversale che ha gli stessi contenuti e che si differenzia su elementi del tutto marginali. Quindi noi dobbiamo intrecciare la battaglia per il referendum con la battaglia per la legge elettorale proporzionale. Il M5S L’altro elemento significativo successo in queste settimane è la richiesta dei 5 Stelle di aderire al gruppo liberale nel Parlamento europeo. L’operazione è fallita per il NO dei liberali ma Grillo ci ha provato, con il consenso del 75% degli iscritti. Questa svolta, di Grillo che chiede di aderire ad un gruppo federalista e liberista, ci parla del carattere di fondo del M5S. È evidente che i grillini difendono questa loro iniziativa dicendo che loro avrebbero mantenuto la piena iniziativa politica. Io penso che ci sia qualcosa di più, perché i 5 stelle avrebbero potuto prendere atto che i loro parlamentari hanno votato in questi due anni più come il GUE/NG che non come il Liberali e che quindi i 5 Stelle potevano chiedere di aderire al GUE/NG o ai Verdi. Ma i 5 Stelle – che oggi sono percepiti e si propongono come una sorta di parcheggio né di destra né di sinistra – in realtà sono un movimento di estremismo centrista, che contesta tutto salvo che le cose fondamentali. Sul liberismo il M5S non dice una parola, ne accetta completamente il paradigma e si candida sempre più ad essere un elemento di ricambio della classe dirigente interna al paradigma liberista. La cosa che somiglia di più ai 5 Stelle, anche se ogni paragone è sbagliato, sono i Verdi di Joschka Fischer, che mantenevano dei profili alternativi sulle questioni ambientali salvo accettare guerre e politiche del lavoro liberiste. Abbiamo quindi avuto un segnale della prospettiva politica moderata del M5S pur sapendo che l’operazione non è andata in porto e, in secondo luogo, che questa realtà che ho provato a descrivere non è percepita a livello di massa. Dobbiamo quindi avere un punto di analisi preciso sul Movimento 5 Stelle per fare a livello di massa una azione di demistificazione della loro alter natività. Occorre costruire i passaggi di comunicazione affinché gli elettori del M5S possano cogliere le nostre parole un elemento di verità e non come un attacco simile a quello del Pd e degli altri partiti di regime. Noi dobbiamo avere un giudizio molto chiaro su dove va il Movimento 5 Stelle ma dobbiamo sapere che per smontare la credibilità del Movimento 5 Stelle presso gli strati proletari e di sinistra non basta criticarli: occorre costruire un’alternativa. Perché il Movimento 5 Stelle non viene votato perché è il meglio ma parchè è lo strumento percepito come più efficace per opporsi al centro destra e al centro sinistra. Il M5S, da questo punto di vista, ha la stessa funzione che Marx dava alla religione: “il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore, così come è lo spirito d’una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l’oppio dei popoli” . L’alienazione religiosa nasce dalla deprivazione materiale per cui o si risolve il problema della deprivazione materiale o il bisogno religioso si perpetua, nel tentativo umano di darsi delle risposte, anche se consolatorie, ai propri problemi. Il Movimento 5 Stelle ha una funzione simile: finché non c’è una proposta politica di sinistra che sia in grado di rispondere efficacemente alla domanda di cambiamento che è presente nel paese, quella domanda continuerà ad esprimersi nelle forme che troverà a disposizione. Gli errori dei 5 stelle non si trasformano direttamente nella possibilità di spostare consensi e interesse dai 5 Stelle a noi perché così come siamo messi noi oggi non siamo ritenuti utili per bastonare seriamente i nostri avversari di classe, siamo ritenuti impotenti. Anche per questo occorre costruire la sinistra.
Aumenta la rabbia popolare
In questo quadro aumenta la rabbia popolare per la reazione che il sistema oligarchico ha avuto dopo la vittoria del NO nel referendum: niente elezioni e scippo dei referendum sociali. La rabbia sociale è cresciuta ma non ha ad oggi efficaci canali politici attraverso cui esprimersi: nell’assenza di qualsiasi efficacia concreta delle azioni politiche, nel popolo cresce la sfiducia nella politica così come la conosciamo e matura una domanda di rivolta generica quanto radicale. Il problema di fondo che ci interroga nella nostra azione di comunisti è come facciamo a trasformare quella rabbia in un percorso politico, in un esito auspicabile. Lo dico perché ad oggi tutti gli elementi ribellistici hanno connotazioni ed estetiche di destra, dal Movimento dei Forconi al finto arresto dell’ex deputato Osvaldo Napoli. In Italia abbiamo un deficit gravissimo nel non saper padroneggiare, da sinistra, il tema della rivolta, mentre in questo tempo in cui il disagio non trova sbocchi e il sistema politico non fa altro che frustrare le aspettative popolari, il tema diventa un tema di rilevante valore ed attualità politica. Non sviluppo questo nodo ma è del tutto evidente che dobbiamo metterlo all’ordine del giorno per costruire una linea che sia all’altezza del livello dello scontro.
I Comitati per il NO, una esperienza da proseguire
E’ molto positivo che i Comitati per il NO non si sciolgano e che si costituisca un movimento strutturato di difesa della Costituzione a partire dall’assemblea di sabato 21 gennaio. Questo è tanto più positivo se i Comitati per il NO diventano i protagonisti – come mi pare possibile – anche della campagna sui referendum sociali, sull’applicazione della Costituzione. Noi dobbiamo operare per consolidare questi percorsi, sapendo che vi sarà una pluralità di appuntamenti cercando di sedimentare il surplus di attivismo politico che è emerso nella campagna referendaria. Bisogna aver chiaro che questo percorso di aggregazione dei comitati e delle soggettività nate nella campagna referendaria non coincide con il tema della costruzione di una forza politica di sinistra, di un soggetto politico di sinistra. Bisogna averlo molto chiaro. C’è un popolo della Costituzione che deve organizzarsi e allargare la sua capacità di iniziativa politica, a partire dai referendum sociali. Questo è utilissimo ma non coincide e non risolve il tema della costruzione di una soggettività politica: non dobbiamo spingere per trasformare i comitati in un soggetto politico.
Costruire il soggetto politico della sinistra
Il soggetto politico della sinistra può nascere unicamente da un riconoscimento tra le diverse esperienze presenti a sinistra, nella decisione comune di dar vita ad un percorso che costruisca una soggettività unitaria. Nessuno è in grado da solo di fare il soggetto unitario: questo deve nascere da una relazione a partire dalle esperienze sui territori visto il fallimento del tavolo nazionale tra le forze politiche. Su questo piano abbiamo avuto le iniziative delle Città in comune e successivamente l’iniziativa di Bologna messa in piedi da ACT! e dalla lista bolognese. In quest’ultima assemblea c’è stato un elemento negativo nel fatto che il documento finale non ha nemmeno nominato le Città in comune. C’è un mancato riconoscimento delle altre esperienze che produce solo danni. Se siamo tutti e tutte delle parzialità, nessuno deve presentarsi come se fosse già la soluzione: tutti devono mettersi in relazione con gli altri a partire dal fatto che ognuno rappresenta una parte e non la totalità. Se non si fa questo sforzo, è evidente che non si riuscirà a fare nessuna unità: l’unità parte dal riconoscimento dell’altro, non dal fatto che l’altro viene assorbito dentro di te. Occorre superare questi problemi e considero positivo che nel corso delle prossime settimane ci sarà un convegno sulle forme della politica. Considero importante essere riusciti a mettere come punto di discussione il tema delle forme della politica perché è il problema su cui si rischia di incagliare il processo unitario. Sul piano politico le cose sono dure ma chiare – anche a livello di massa – perché o stai con il PD o fai un polo alternativo. Viceversa, il tema delle forme non è per nulla chiaro e la cultura politica presente nella sinistra mediamente non è all’altezza del nostro duplice compito: unire le forze e fare un soggetto nuovo che non sia una pura sommatoria. Troppo spesso sentiamo dire: “Scioglietevi tutti e facciamo un nuovo partito”. Questa impostazione, che non fa i conti con le divisioni e le differenze effettive e le considera in fondo un capriccio, non permette di fare un solo passo in avanti ed è destinata a fare solo danni. Per sconfiggere questa cattiva cultura dell’unità occorre proporre e offrire un’altra cultura dell’unità che faccia i conti con le differenze e non le renda un ostacolo all’unità sull’essenziale: l’antiliberismo di sinistra. Da qui l’importanza del convegno sulle forme della politica. Noi pensiamo, per le ragioni che abbiamo esposto lungamente nel documento Congressuale, che il tema del comunismo sia il centro della nostra iniziativa politica e della nostra ragion d’essere. Abbiamo quindi l’esigenza di aggregare forze per determinare la sconfitta della barbarie neoliberista ma noi vogliamo attraversare questa costruzione comune come compagni e compagne del partito della rifondazione comunista, che ha l’obiettivo di superare il capitalismo, dell’alternativa di sistema, non solo dell’uscita dal liberismo. Credo che queste due cose nella nostra testa debbano essere chiarissime, sapendo che non c’è nessuna contraddizione fra le due. Dobbiamo costruire uno schieramento ampio, necessario per fermare la barbarie del neoliberismo, e dobbiamo sviluppare un partito comunista che faccia una battaglia politica, ideologica, culturale, sociale, di formazione di quadri con l’obiettivo chiaro e dichiarato di superare il capitalismo.
Iniziativa politica del partito durante il Congresso
Nei prossimi mesi fare il congresso e contemporaneamente la battaglia sui referendum sociali, il lavoro di aggregazione dei comitati per il no e il lavoro diretto di costruzione della sinistra. Dobbiamo fare tutte queste cose insieme perché occorre battere il ferro finché è caldo, cioè utilizzare la domanda politica che è emersa dal referendum per lavorare in questi mesi a costituire una soggettività politica della sinistra. Occorre oggi sconfiggere le posizioni che, man mano che vedono le elezioni allontanarsi un po’, tendono a rimandare tutto. Se così avvenisse rischieremmo: a) di fare una lista abborracciata all’ultimo minuto, il solito cartello elettorale malfatto; b) di veder nuovamente emergere le pulsioni egemonistiche di Sinistra Italiana, dovute alla posizione di rendita data dai parlamentari eletti grazie al patto elettorale con il Pd. C’è sempre qualche buontempone che nella sua testa ha il recondito pensiero che poi alla fine si può andare alle elezioni con la lista di Sinistra Italiana aperta agli altri. E’ una ipotesi che non esiste: se Sinistra Italiana volesse andasse alle elezioni col suo simbolo, questo significherebbe avere più liste a sinistra. Noi dobbiamo sconfiggere sia l’idea del cartello elettorale fatto all’ultimo minuto sia l’idea di Sinistra Italiana di poter annettere gli altri pezzi. Sono due idee senza alcuna attrattiva elettorale, non servono a costruire la sinistra e sono inaccettabili. Noi dobbiamo fare una battaglia politica forte sulle forme della politica avanzando una proposta che sia in grado di interagire da subito con la maggioranza delle forze interessate alla costruzione della sinistra. Questa battaglia non può essere solo fatta a livello nazionale, dobbiamo farla anche sui territori, penso alla costruzione di Convenzioni in ogni città che aggreghino sul territorio il complesso delle forze interessate a costruire la sinistra. Dobbiamo operare dall’alto e dal basso. Per rafforzare il processo ed evitare porcherie. Noi proponiamo di fare un soggetto unitario e ovviamente non entreremo mai nelle liste di Sinistra Italiana. Peraltro, Sinistra Italiana è priva di carica propulsiva divisa com’è sui nodi principali, a partire dal nodo dei rapporti con il Pd, in una fase in cui la sinistra può ricostruire un proprio ruolo, una propria utilità solo nell’assoluta alternatività al Pd. Segnalo, da questo punto di vista, che in Sardegna siamo usciti dalla maggioranza risolvendo così uno degli ultimi problemi che avevamo sul tema della collocazione politica. Abbiamo perso un consigliere che è passato a uno dei gruppi sardisti, ma è un prezzo che valeva la pena di pagare pur di toglierci da quella situazione imbarazzante.
La data del Congresso
Per quanto riguarda il Congresso vi proponiamo di spostare in avanti di una settimana la data che avevamo deciso insieme al CPN scorso. Infatti attorno al 25 marzo vi saranno a Roma le mobilitazioni in occasione del sessantesimo anniversario del Trattato di Roma. Si sta lavorando a costruire una specie di forum sociale col mondo dell’associazionismo sulla questione dei Trattati di Roma, per costruire una iniziativa forte del movimento. Anche su questo sono sorte alcune polemiche ma del resto l’avvicinarsi del Congresso stimola i peggiori istinti e le polemiche pretestuose si sprecano.
I documenti per il Congresso
Ad oggi sono stati presentati un paio di documenti, e alcune singole tesi alternative. Compito del CPN è organizzare al meglio il Congresso e per queste ragioni non entro nel merito dei contenuti politici del Congresso. Questo sarà oggetto della successiva relazione della compagna Roberta Fantozzi che illustrerà il testo del documento che abbiamo posto alla base della discussione e le modifiche che su questo vi proponiamo a partire dal recepimento delle osservazioni avanzate dai Comitati Politici federali. Io in questa relazione mi occupo unicamente di chiarire alcuni elementi riguardo allo svolgimento del nostro Congresso, per mettendo ai compagni e alle compagne del partito di decidere serenamente e a ragion veduta sul nostro futuro.
Regolamento congressuale e congresso unitario
Ieri in Commissione Politica è stato posto il problema della modifica del Regolamento relativamente alla registrazione dei voti sulle tesi nei verbali dei congressi di circolo. Questo tema è stato posto nuovamente nella lettera aperta di Eleonora Forenza che avete ricevuto ieri attraverso la mail del segretario. In questa lettera si afferma che non è stato possibile fare il Congresso unitario a causa delle regole imposte per la discussione. Sarebbero le regole decise a maggioranza ad impedire di poter fare un congresso unitario. Vorrei chiarire bene questo punto, che considero privo di fondamento. In primo luogo, è possibile fare il conteggio dei delegati su ogni singola tesi alternativa? Io penso di no. Fu una discussione che avvenne già allo scorso congresso e che venne giustamente accantonata perché non è risolvibile. In primo luogo perché sarebbe necessario usare una equazione troppo complicata, impossibile da applicare agevolmente e senza contestazioni nei congressi di circolo. A questo problema se ne aggiunge un altro: i nostri congressi di circolo, vedono la partecipazione di poche persone, indicativamente da 7-8 persone alle 50-60 persone. Diventa impossibile fissare rigidamente i delegati a cui avrebbe diritto ogni singola tesi alternativa. Nella normalità dei casi ti troveresti con 0,2 delegati 0,5 delegati 0,1 delegato avanti così. Diventa un modo di calcolare la rappresentanza che non ha più nessuna connessione con le platee concrete ed inoltre il fatto che chi vota un emendamento non necessariamente ne vota altri, diventa sostanzialmente impossibile selezionare la platea dei delegati con un meccanismo certo e non contestabile. Fare una cosa di questo tipo significa aprire un gran caos in cui si litigherebbe su tutto, dalle percentuali ai delegati. In ogni caso, ieri, in Commissione politica, ho chiesto ai compagni della mozione 3 che avanzavano questa proposta, di scrivere concretamente la regola che stavano reclamando, di scriverla loro, in modo da presentarci una proposta concreta di emendamento al regolamento. Qualcuno di voi ha visto questo emendamento, questa proposta concreta? Nessuno, per il semplice motivo che nessuno è in grado di scrivere un emendamento che sia poi concretamente applicabile nei congressi. Per riassumere, qui siamo nella situazione in cui la maggioranza viene accusata di non voler fare una cosa che però non si può fare: una cosa così palesemente impossibile che nessuno della minoranza ha avanzato una proposta concreta di modifica del regolamento. Decidete voi come aggettivare questo comportamento ma a mio parere è grave che un dirigente politico faccia battaglia politica in questo modo demagogico. In secondo luogo viene posto anche il tema della presentazione obbligatoria di ogni singola tesi in ogni congresso. Pensate seriamente che si possono fare i congressi di circolo con 7/8 relazioni su ogni documento, tenendo presente che per ogni singola tesi alternativa sarebbe necessario fare una relazione a favore e una contro? Io penso che sia assurdo pensare di fare un congresso in questo modo. A me pare che il partito chieda di poter fare dei Congressi che diano un segnale di unità, un segnale di mettersi insieme, non di dar vita ad un congresso che spezzetta tutto in una serie infinita di contrapposizioni. In terzo luogo il conteggio dei voti. Nello scorso CPN, a maggioranza, abbiamo respinto una proposta che chiedeva di segnare nei verbali quanti voti prenderanno gli emendamenti eventualmente votati. Ribadisco il fatto che io considero sbagliato questo schema perché uno dei problemi che abbiamo come Rifondazione comunista è l’eccesso di correntismo interno, che ci ha trasformato in una sorta di federazione di partiti. Ritengo che il valore degli emendamenti sia quello di far discutere e che – al contrario – il verbalizzare i singoli voti tende poi a determinare la richiesta di riequilibri e quindi sostanzialmente a trasformare gli emendamenti in una sorta di documento alternativo. Vedo il rischio che la libera dialettica sui contenuti diventi un nuovo modo per cristallizzare posizioni e correnti interne. Detto questo, segnare i voti sui verbali è possibile, e se Eleonora Forenza lega la necessità di fare il documento alternativo al fatto che il regolamento non preveda la verbalizzazione dei voti sugli emendamenti, io credo che sia giusto cambiare il regolamento e conteggiare i voti su ogni singola tesi alternativa, perché la ricerca dell’unità è fondamentale. Vi propongo quindi di cambiare il regolamento prevedendo il conteggio dei voti su ogni singola tesi alternativa.
Le polemiche sul Congresso
Eleonora Forenza ci dice nella lettera che c’è stato il fallimento completo della linea politica e della gestione. Prendo atto che una compagna che sta in segreteria da tre anni, pensa che in sostanza tutto quello che ha fatto la segreteria, che ha fatto il partito in questi anni sia sbagliato. Di questo giudizio politico discuteremo nel Congresso. Mi pare però utile sottolineare il punto di dissenso più rilevante che in questi anni ho registrato con Eleonora Forenza, che ha riguardato la discussione al tavolo delle forze di sinistra nell’autunno del 2015. Voi sapete che a quel tavolo, a un certo punto, Rifondazione Comunista ha detto di no alla sottoscrizione di un documento che veniva posto alla base del percorso unitario. Noi non abbiamo mai discusso approfonditamente su questo, ma forse è bene chiarire che a quel tavolo non c’era presente solo il sottoscritto in quanto segretario di Rifondazione Comunista, c’erano anche alcune compagne tra cui Eleonora Forenza, in quanto parlamentare europea. In quella discussione la compagna Forenza dette l’assenso al documento che io rifiutai. Vi leggo due pezzi del documento, in modo da motivare chiaramente per quale ragione io rifiutai, e perché siano chiare e trasparenti le diverse posizioni politiche. Il documento recita: “La sovranità nel percorso è di tutti coloro che vi prenderanno parte. (…) In questi mesi si è riunito un tavolo di coordinamento tra le forze politiche e associative. Il ruolo del tavolo si esaurisce con l’inizio del processo costituente al quale le forze organizzate attuali che vi si riconoscono cedono sovranità per costruire un soggetto nuovo che vada oltre le attuali forze in campo per un progetto politico all’altezza della sfida. Non sarà quindi un soggetto unitario ma una sinistra di tutti, uno spazio pubblico che non sarà né di proprietà né ostaggio di dinamiche autodistruttive e di conservazione”. Io voglio chiarire – in modo che sia molto chiaro nella discussione congressuale – perché il sottoscritto si è preso la responsabilità di dire di no a questa formula. Io non sono disponibile a partecipare ad alcun processo unitario in cui il tema della sovranità sull’esistenza o meno di Rifondazione Comunista o sulla compatibilità o meno dell’iscrizione al soggetto unitario degli iscritti e delle iscritte a Rifondazione Comunista, sia nelle mani – a maggioranza – del processo unitario stesso. O c’è un accordo preciso che prevede che l’appartenenza al soggetto unitario è compatibile con l’appartenenza alle forze politiche che non si presentino alle elezioni o non si può fare nessun soggetto unitario perché sarebbe un pasticcio. Noi non abbiamo mai deciso di sciogliere Rifondazione Comunista e io penso che accettare come base di discussione per la costruzione del soggetto politico unitario quella che vi ho letta, significava mettere in discussione la nostra esistenza. Lascio perdere che c’erano anche altre parti di quel documento a mio parere inaccettabili, come ad esempio il riconoscere il gruppo parlamentare di Sinistra Italiana come il terminale istituzionale del processo Costituente…. In ogni caso, dal mio punto di vista, se abbiamo deciso che Rifondazione Comunista esiste per l’oggi e per il domani, Rifondazione Comunista può decidere di cedere sovranità a un soggetto terzo, ma lo deve decidere Rifondazione Comunista, non lo decide qualcun altro. Questo è il punto di dissenso vero che ho avuto con Eleonora ed è bene che il partito, nel momento in cui deve decidere cosa vuol fare sappia quali divisioni hanno attraversato il gruppo dirigente nella fase recente. Certo se avessimo scelto la strada di firmare quel documento, questo avrebbe modificato il nostro percorso e forse anche i giudizi su cosa sia avvenuto nell’ultimo anno. Avremmo dato luogo ad un processo unitario mettendo in discussione l’esistenza di rifondazione. Un ultima cosa che voglio sottolineare della lettera. Eleonora dice in una frase riferita alla segreteria nazionale: “e invece per non fare un bilancio della linea politica si prova a fare un congresso di divisione sulla cultura politica: costruiamo un nuovo nemico interno, contro cui blindare le truppe, i nuovi mostri, salviamo la baracca dall’invasione rosso-bruna, confermando maggioranza e gruppo dirigente”. Trovo singolare far parte di un gruppo dirigente e poi accusarlo di comportarsi in questo modo. Secondo questa lettera l’obiettivo della segreteria e della maggioranza del Comitato Politico Nazionale, sarebbe di costruire “il nuovo nemico interno” per evitare di confrontarsi con problemi che ha il partito. Il “nuovo nemico interno” vuol dire che non è la prima volta che ne costruisce uno: evidentemente la segreteria si sarà già inventata nel passato altri nemici interni… Certo una affermazione di questo tipo, dal mio punto di vista, va molto al di là della politica. Perché un conto è la discussione sulla linea politica, altro è scrivere che il gruppo dirigente, pur di riuscire a mantenere la propria posizione di potere, lavora alla distruzione del partito, costruendo nemici interni ad hoc. Io una accusa cosi infamante non mi sarei sentito di farla nemmeno a coloro che hanno fatto le scissioni da Rifondazione. Qui non si riconoscono posizioni politiche diverse ma si accusa la segreteria di inventare artificialmente delle divisioni per mantenere una posizione di potere. Questo modo di ragionare non fa parte della mia cultura politica, lo rivendico con forza perché penso che una cosa è lo scontro politico, e altro sono affermazioni di questa natura. Come se non bastasse, nel documento congressuale, gli elementi di cultura politica sono assai limitati e quando ho proposto, in questa stessa sala, che si facesse il congresso sui fondamentali, sulle ragioni del nostro essere comunisti e comuniste, io non ho registrato obiezioni. Se non ricordo male nessuno ha sollevato obiezioni perché lo vede anche un bambino che se decidiamo di tenere vivo il partito della rifondazione comunista – nel momento in cui questo viene percepito da alcuni come un ostacolo all’unità della sinistra – non possiamo affidare le ragioni della nostra esistenza solo ad argomenti di tipo organizzativo. Noi dobbiamo esplicitare le ragioni della nostra esistenza come partito comunista sul piano teorico, strategico e il documento presentato fa questo, certo non le basa sulla cultura politica. Considero quindi irricevibili queste affermazioni, anche perché in Commissione politica, che è durata mesi, non è mai arrivato alcun contributo scritto di Eleonora: nemmeno una riga. Non è così che si dà una mano a costruire il partito. Così si dà una mano a distruggerlo.
Il Congresso della Sinistra Europea
Nel frattempo c’è stato il congresso della Sinistra Europea. È stato un congresso importante innanzitutto per la presenza in tutti i paesi dell’Unione Europea. In secondo luogo nel Congresso è stato fatto un passaggio rilevante, quello di dar vita a un forum antiliberista permanente, simile al forum di San Paolo. Questo passaggio apre alla costruzione di una dinamica in cui il partito della sinistra europea è motore, non da solo, della costruzione di un movimento antiliberista su scala europea, che è esattamente quello che serve. O di una approssimazione a quello che serve. Cioè la capacità di mettere assieme non solo le diverse correnti di opinione ma anche sindacati e movimenti sociali per ragionare insieme. Dobbiamo costruire una intelligenza antiliberista europea: un punto fondamentale per la nostra strategia politica è il costruire sul piano europeo – di fronte a l’intelligenza della BCE e di tutti gli altri avversari – un embrione di intellettuale collettivo antiliberista. Penso che da questo punto di vista il congresso sia molto positivo perché questo passaggio lo fa. Dentro questo quadro c’è chi pensa che il problema fondamentale oggi sia di riuscire a fare un accordo con i socialisti per mettere, a partire dalla Germania, fuori gioco Scheuble, la parte di destra. Dall’altra c’è chi pensa, come noi, che su quella strada non si va distante, ci abbiamo già provato, e quindi bisogna costruire l’alternativa a centro destra come al centro sinistra, a tutti i liberisti. Questi due indirizzi sono presenti e il nostro ruolo non deve essere quello di lavorare a spaccare tra queste due linee. Anche per le caratteristiche che ha il partito della sinistra europea – che non è un partito nazionale che deve schierarsi immediatamente – il nostro obiettivo è quello di far funzionare il partito a partire dalla realizzazione del forum delle alternative. Occorre costruire e rafforzare il campo delle forze antiliberiste, questo è il punto centrale. Più che lo scontro interno, che rischierebbe di sfasciare tutto, occorre sviluppare una capacità inclusiva che tenga assieme posizioni diverse: da chi è contro l’Unione europea a chi pone il tema della disobbedienza dai trattati. Io penso che il nostro ruolo oggi, nel partito della sinistra europea, non sia quello di spaccare ma sia quello di tentare di far sì che il partito riesca a lavorare. Così come ad esempio sulle votazioni sulla presidenza del Parlamento europeo, ovviamente le prime tre votazioni il GUE vota Forenza, a cui facciamo gli auguri. Dalla quarta votazione si passa al ballottaggio e ci sarà una discussione. Mi sembra opportuno proporre che il GUE non appoggi Pittella e che, se non ci sarà un orientamento comune, che il GUE non assuma un orientamento di voto. Penso che Forenza non debba votare per Pittella ma non farei di questo un elemento che spacca il GUE. Va quindi costruita una dialettica che rafforzi in Europa il ruolo del partito della sinistra europea. Può essere una cosa positiva come si è costruita la presidenza. Il presidente Gregor Gysi è una presenza prestigiosa anche se piuttosto moderato. Vi sono poi quattro vicepresidenti tra cui il sottoscritto. Questo significa anche un riconoscimento per un partito come il nostro, per il ruolo che svolge pur nella nostra debolezza.
Intrecciare congresso e iniziativa politica
Dovremo quindi cercare di fare un Congresso il più civile possibile all’interno e il più interlocutorio possibile con l’esterno. Dopo il referendum c’è un clima positivo tra chi ha fatto la campagna per il NO e dovremmo essere capaci a fare il congresso interloquendo il più possibile con questo clima positivo, raccogliendo e valorizzando il ruolo positivo che rifondazione comunista ha giocato nella campagna referendaria. È stato riconosciuto da tutti e anche i nostri compagni e le nostre compagne lo hanno vissuto positivamente. Ogni congresso deve avere una parte interna e poi una parte esterna, che abbia nel tema della costruzione della sinistra, di una sinistra per attuare la Costituzione, il punto fondamentale. Cerchiamo quindi di fare bene il congresso, sia per la parte interna che per quanto riguarda il rapporto con l’esterno, facendone un momento di crescita politica e organizzativa.

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