Francesco Fotia / AGF Francesco Fotia / AGF
Il Pd è dalla sua nascita un partito di centro, con forti aspetti di conservatorismo, orientato a rappresentare la parte più integrata della società italiana. Lo volle così Veltroni, con la benedizione di D'Alema, Bersani e di tutti gli altri.
Quello che è cambiato con Renzi non è l'ispirazione del partito, ma l'attitudine della leadership, più solitaria e meno orientata alla mediazione interna. Ciò e non altro ha provocato l'abbandono da parte di molti dirigenti, che non hanno sopportato la fine dei caminetti e il passaggio dall'oligarchia alla monarchia assoluta.
Non è poco, ma è difficile possa essere qualcosa che interessi gli iscritti e tanto meno gli elettori, troppo abituati a considerare la dialettica interna ai partiti come lotta di potere anziché come elemento di democrazia.
Quindi veramente non è chiaro cosa esattamente si imputi al Pd in questi giorni, compulsandone partecipazione al congresso e risultati. Molti iscritti sono evaporati, senza che si sappia quanto incida il dato demografico, e fra i rimasti l'affluenza è stata piuttosto alta. Ha stravinto Renzi, perché meglio degli altri incarna quel partito di centro conservatore di cui si diceva.
Il Pd non è ostaggio di Renzi, compresi i tanti elettori che nella loro vita hanno fatto in tempo a votare Pci. Il punto è un altro.
Il punto è che negli anni della crisi la geografia sociale del Paese è cambiata in profondità, e chi voglia rappresentarne i segmenti più garantiti è necessariamente portato a spostarsi a destra. Si tratta infatti di assorbire una parte del mondo che fece la fortuna elettorale di Berlusconi e di abbandonare una parte del vecchio blocco sociale della sinistra, che la crisi ha spinto ai margini. Il popolo della cittadella si è mischiato, mentre molti che erano cittadini sono stati espulsi e si sono uniti ai barbari.
Renzi è stato una risposta mal riuscita a questo tema, dopo che Italia Bene Comune aveva dimostrato di non sapere coagulare granché di significativo nella società italiana. Nel 2013 infatti Bersani riuscì solo a rappresentare una frazione dei garantiti, senza intercettare nulla dei marginalizzati o attrarre qualcosa da una destra in crisi, per la banale ragione che non si era stati in grado di interpretare la trasformazione sociale in atto.
Dunque il Pd con Renzi non cambia natura e vocazione, bensì semplicemente adatta l'impostazione originaria a un'Italia in mutazione.
Questo lo rende un partito con cui oggi è impraticabile qualsiasi relazione per la sinistra, perché la sinistra non può che porsi il tema della rappresentanza dei milioni di soggetti messi all'angolo, i cui interessi sono difficilmente compatibili con quelli degli integrati o pretesi tali, almeno fino a quando non si sarà data loro sostanza politica.
Tale elemento costringe però la sinistra ad abbandonare anche qualsiasi nostalgia reale e retorica per il prefisso centro-, a cui invece dalle parti di Mdp paiono molto legati, perché il punto è abbandonare la logica del tradimento renziano, che non c'è stato, per passare a quella della piena autonomia progettuale e di insediamento sociale.
Bisogna rassegnarsi: una parte consistente di quello che fu il blocco sociale Pci-Pds-Ds-Pd oggi è naturalmente portato ad approdare verso destra. Lo ha fatto con Monti, Letta, Renzi e non ha alcun rimpianto. Un'altra parte se n'è andata nell'astensione e nel M5S, perché ha visto nelle politiche di quei governi un tradimento, cominciando poi a interrogarsi anche sui presunti risultati dei tempi dell'Ulivo.
Se non si ammette questo, limitandosi a Renzi, ci si può illudere del 5% di qualche sondaggio, ma si è destinati a sbattere contro il muro della realtà.
Sinistra Italiana lo ha compreso e mi auguro presto lo comprendano tutti, per quanto doloroso possa essere per alcune biografie.
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