Francesca Fornario ringrazia Je so’ Pazzo: Mi sentivo monca a sostenere politicamente i compagni che inseguivano chi abbiamo combattuto insieme
di Francesca Fornario
“Compagni belli, voglio ringraziarvi e dirvi che mi sono sentita nel
posto che nella vita, troppo spesso, sono due: quello dove bisogna stare
e quello dove si sta bene. In classe e a ricreazione, a scuola e al
lavoro.
Da essere umano spesso rifletto sulla fortuna che ho. La contemplo per poterla rimettere in circolo.
Da donna, medito ogni giorno sulla fortuna che ho pensando alle mie sorelle che quasi sempre, nella storia e nel mondo, sono sono costrette a sposare l’uomo che le famiglie scelgono per loro. Rifletto su quante poche hanno potuto conoscere l’amore e viverlo:
«Sono stata innamorata di un solo uomo», ci raccontava durante un’intervista una mondina che aveva sognato di fare la sarta ed era sposata da sessant’anni: «Avevo quindici anni, lui mi faceva battere il cuore!» «E Poi?» «Poi ho sposato Giovanni».
Sono tanti gli elettori rassegnati a sposare Giovanni.
Ieri, al Teatro Italia, ci è battuto forte il cuore. Confido sia stato così per quelli che sono accorsi e per i molti che arriveranno.
Voi siete stati meravigliosi: Viola, Manuela, Saso. Avete tutti trasmesso il senso di urgenza e di responsablità, dato voce alla protesta e alla visione. Lo avete fatto con passione e non con rabbia, con intelligenza e non con sarcasmo, con fermezza e (senza perdere la) tenerezza. Avete rovesciato la retorica velenosa di Renzi, Grillo, Salvini, Berlusconi, D’Alema: il sarcasmo, la supponenza, l’allusione maligna, il distacco, il disprezzo per chi non ce la fa e per chi viene sconfitto.
È già questa una vittoria: il popolo non si comanda e non si combatte, non si ignora e non si sfotte. Del popolo, delle persone, bisogna avere cura. Avere considerazione e compassione. Nel senso etimologico del patire insieme, del farsi carico del dolore e del disagio gli uni degli altri come vi ho visto fare ogni giorno in questi anni. Per questo vi viene facile il comunismo: sortire soli dal bisogno è avarizia, sortirne insieme è politica, diceva Don Milani.
Ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi. Un censimento dei bisogni e dei desideri, delle lotte e degli slanci. Ora bisogna mettere i presidi a sistema, collegarsi agli altri, avanzare proposte di cambiamento, spiegare come intendiamo rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di essere ugualmente libere e felici.
Parlando semplice, come ha raccomandato Viola. E’ semplice spiegare che la scuola pubblica è motore di uguaglianza. A scuola si entra uguali e si esce diversi, disse Renzi: chi è più bravo passa avanti, la scuola premia il merito. Noi sappiamo che è il contrario: a scuola si entra diversi, chi con i libri già sfogliati e chi no, chi con i verbi coniugati già in bocca e chi no e, dalla scuola, grazie alla scuola, si deve uscire uguali. È semplice, perché è vero.
E allora deve essere gratuita e libera la scuola di ogni ordine e grado, gratuita l’università, gratuiti i libri di testo. Si può fare, servono meno soldi dei 18 miliardi regalati alle imprese attraverso gli sgravi per le assunzioni.
È semplice spiegare che il lavoro, meno e per tutti, è la battaglia da recuperare ma quella contro il lavoro gratuito e sottopagato la prima lotta da ingaggiare: la Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto in ogni caso a una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa per sé e per propria famiglia. Le riforme che hanno reso legale il lavoro sottopagato sono quindi incostituzionali e incostutuzionale è la condotta delle pubbliche amministrazioni che bandiscono gare al massimo ribasso – è il cuore della vertenza Almaviva che abbiamo raccontato ieri – e che sfruttano gli stagisti, gli studenti in alternanza, i finti volontari pagati con gli scontrini, i richiedenti asilo che svolgono lavori socialmente utili.
«Quando c’era Berlusconi il sindacato ci chiedeva di non far rivendicazioni perché non eravamo in una fase acquisitiva – raccontava ieri Stefania, lavoratrice Almaviva. Poi è arrivato il governo amico di Renzi ed è stato anche peggio». Oggi un giudice ha dato ragione a quei lavoratori che nonostante la fase, nonostante fossero pochi, soli, descritti come irresponsabili e velleitari, hanno avuto la forza di lottare per il loro diritto, che poi è il nostro. Quei lavoratori ci indicano il metodo e la strada da seguire. Ci diranno che siamo pazzi, noi diremo una cosa semplice: i pazzi sono quelli che per risolvere lo squilibrio tra i lavoratori tutelati e quelli che no hanno tolto le tutele a chi le aveva. Ci capiranno, perché è vero.
È semplice e spiegare il diritto e il dovere alle ferie, alla maternità alla malattia, alla pensione per tutte le categorie di lavoratori anche per le (sempre più spesso false) partite iva sfruttate, come gli ordinisti, grazie alla riforma Fornero che non solo va abolita come il Jobs Act ma come il il Jobs Act sostituita con una riforma equa. È semplice perché quei lavoratori sono affaticati e hanno bisogno e voglia di andare in vacanza, di stare con i propri figli la domenica e con i propri compagni la notte invece di essere costretti agli straordinari e al lavoro notturno.
L’elenco è lungo, non lo faccio adesso, sono tutti temi che abbiamo tante volte affrontato e studiato nelle nostre assemblee, nelle università nelle piazze dove siamo andati insieme a batterci contro le riforme costituzionali di Matteo Renzi. Spiegavamo allora che non era il bicameralismo perfetto a starci a cuore ma lo spazio della democrazia che i partigiani hanno liberato e la Costituzione difeso perché quello è lo spazio dove da allora si lotta per affermare la giustizia e non la legalità. Quello spazio è stato aggredito dentro e fuori dalle istituzioni e ci è stato sottratto con le riforme che limitano la rappresentanza, i decreti Minniti-Orlando che imbavagliano le piazze e il dissenso, con le limitazioni alla libertà sindacale, gli sgomberi, i licenziamenti disciplinari, la scuola che addestra all’obbedienza e le leggi elettorali che premiano chi si piega e non chi lotta.
Pensavano che ci saremmo accontentati di protestare e resistere fuori dal Palazzo, come sempre abbiamo fatto e continueremo a fare, con i cortei e il mutualismo, i picchetti e le occupazioni. Si sbagliavano: non vogliamo più limitarci a disobbedire e contestare chi governa negli interessi di pochi ma vogliamo governare nell’interesse dei molti.
Ho sempre fatto, nel mio piccolo, con tanti altri piccoli, tutte e due le cose. Votando e sostenendo chi prometteva di battersi nelle istituzioni – e spesso lo ha fatto, con convinzione e capacità – e impegnandomi tra le persone e con le persone nell’accoglienza, la difesa dei diritti, il racconto delle lotte.
Negli ultimi mesi mi sono sentita monca, in tutti e due i contesti. Monca a sostenere politicamente i compagni che inseguivano chi abbiamo combattuto insieme: a inseguire invece di combattere chi ha fatto la guerra, allungato l’età pensionabile, inserito il pareggio di bilancio in costituzione, regalato i soldi alle imprese e alle banche togliendoli ai poveri e impoverendo i lavoratori. Conosco e stimo la loro buona fede ma non ho condiviso la loro strategia e l’ho detto e scritto in ogni sede, tipo qui.
Sarà che faccio ragionamenti poco tattici e troppo semplici: come possiamo difendere i lavoratori e farci votare dai lavoratori con chi ha abolito l’articolo 18?! Come possiamo difendere i pensionati e farci votare dai pensionati con chi ha votato a favore dell’allungamento dell’età pensionabile?! Come possiamo unificare la sinistra che ha votato No alle riforme di Renzi con chi incorona leader chi ha votato Sì alle riforme di Renzi?! Con chi, solo quando Pisapia si tira indietro, incorona leader del quarto polo alternativo al Pd Piero Grasso, che fino al giorno prima stava nel Pd?! Come facciamo a fare la sinistra con chi ancora oggi invoca il centrosinistra?! Come facciamo a spiegarlo agli elettori, se non ci credono nemmeno i militanti?!
Mi spiegavano che non c’era lo spazio politico perché lo aveva ocupato Grillo, che non c’era tempo, che bisognava mettere insieme le forze. Rispondevo che così si mettevano insieme le debolezze, che Melanchon e Corbyn hanno raddoppiato i consensi in poche settimane con una proposta radicale e grazie alla credibilità delle loro storie, che i voti non si sommano ma si conquistano, come abbiamo lasciato fare in solitudine a Grillo e Salvini.
So che questi ragionamenti semplici non appartengono solo a me ma a moltissimi di quelli che non vanno a votare e a molti – dunque pochi – di quelli che si disponevano a sposare Giovanni: a votare per la lista unica a sinistra, destinata per come si è posta a dar vita una lista unica di sinistra e a una o due di centrosinistra.
Mi sono sentita monca, in questi mesi, anche sul fronte che più frequento: non quello elettorale ma quello quel dell’impegno diretto nelle lotte e del loro racconto. La denuncia degli sgomberi di Piazza Indipendenza, dei licenziamenti all’Hitachi, dello sfruttamento degli studenti in alternanza o dei lavoratori a nero. Monca, perché mentre scrivevo e sfilavo in corteo vedevo lo spazio della lotta e della denuncia restringersi per volontà di chi è al potere. Quel potere che ieri abbiamo deciso di restituire al popolo.
Dopo esserci convocati e impegnati a farlo bisognerà da subito entrare nel merito non solo delle riforme da abolire, più volte evocate ieri, dal pacchetto Treu al Jobs act, la buona scuola, lo sblocca Italia… ma anche dei rimedi e delle cure: come disobbedire ai trattati europei, fermare il consumo di suolo, tagliare le spese militari, modificare a monte il modello di produzione e non solo mitigare a valle le ingiustizie che produce.
Tornando a casa ho pensato che sarebbe utile un comitato scientifico, anche informale, per fornire a tutti i compagni gli strumenti per capire come uscire dalla crisi, come ribaltare il tavolo. Costituzionalisti, economisti, sociologi che spieghino le soluzioni da adottare. Farne dei video, delle brevi dispense: i libri ci sono già, non tutti hanno il tempo di leggerli e i soldi per comprarli, nessuno quello di leggerli tutti, ma molti di quelli che li hanno scritti sono compagni generosi e competenti che certamente si presterebbero a insegnare: mi ha colpito quel che ha detto Marina Boscaino, insegnante in lotta contro la Buona Scuola: «Mi dispiace non essere stata insegnante di nessuno di questi ragazzi, perché io intendo l’insegnamento come militanza politica».
Vi guardava ammirata pensando, certo, ai vostri insegnanti, che sono stati i suoi.
Abbiamo tanti buoni maestri, e non mi è mai piaciuto il detto “Se uno ha fame insegnagli a pescare” perché non si impara a stomaco vuoto. Se uno ha fame sfamalo, come voi fate a Napoli, nutrendo chi ha bisogno di cibo e cure, e poi insegnagli a sfamare gli altri affamati. Insegnagli a lottare.
Perdonatemi se procedo alla rinfusa, se cito la scuola e non le migrazioni – chiudere gli hostspot, aprire i corridoi umanitari… – ogni tema è urgente, ogni urgenza è un tema che merita approfondimento: i diritti civili, la tutela dell’ambiente, il diritto alla salute, la disobbedienza dei tratti europei.
Qui mi premeva soltanto dirvi che di questo – e solo di questo – ho avvertito la mancanza. No, anzi, l’assenza: mancare non mi è mancato nulla, che l’assemblea serviva a trovarsi, accogliersi, partire.
Ho ricevuto decine di messaggi da parte di compagni che sarebbero andati al Brancaccio e che volevano sapere come era andata oggi, che impressione avevo avuto. Sono incuriositi, speranzosi, entusiasti, dubbiosi, critici, avviliti dalle divisioni, incazzati con noi.
Tra loro una compagna che mi ha detto più volte che l’alleanza con Mdp era necessaria e che non c’era bisogno di persuadere Rifondazione, che tanto Rifondazione avrebbe aderito comunque alla lista con Mdp, pur con Bersani e D’Alema, poiché realisticamente non aveva altra possibilità: «Non c’è né lo spazio né il tempo per una lista della sola sinistra radicale», dicevano in tanti.
Avevano ragione. C’è infatti lo spazio per una sola lista della sinistra radicale.
Le ho risposto così:
«Poiché siete convinti che una lista di sinistra radicale sia irrealizzabile andate avanti a farne una moderata, senza ostacolare chi una lista radicale la sta realizzando».
Così è la vita, con chi è in buona fede ci ritroveremo pur militando in progetti diversi, perché non si sta insieme nelle liste, si sta insieme nelle lotte. Teniamoci stretti.
#poterealpopolo
Da essere umano spesso rifletto sulla fortuna che ho. La contemplo per poterla rimettere in circolo.
Da donna, medito ogni giorno sulla fortuna che ho pensando alle mie sorelle che quasi sempre, nella storia e nel mondo, sono sono costrette a sposare l’uomo che le famiglie scelgono per loro. Rifletto su quante poche hanno potuto conoscere l’amore e viverlo:
«Sono stata innamorata di un solo uomo», ci raccontava durante un’intervista una mondina che aveva sognato di fare la sarta ed era sposata da sessant’anni: «Avevo quindici anni, lui mi faceva battere il cuore!» «E Poi?» «Poi ho sposato Giovanni».
Sono tanti gli elettori rassegnati a sposare Giovanni.
Ieri, al Teatro Italia, ci è battuto forte il cuore. Confido sia stato così per quelli che sono accorsi e per i molti che arriveranno.
Voi siete stati meravigliosi: Viola, Manuela, Saso. Avete tutti trasmesso il senso di urgenza e di responsablità, dato voce alla protesta e alla visione. Lo avete fatto con passione e non con rabbia, con intelligenza e non con sarcasmo, con fermezza e (senza perdere la) tenerezza. Avete rovesciato la retorica velenosa di Renzi, Grillo, Salvini, Berlusconi, D’Alema: il sarcasmo, la supponenza, l’allusione maligna, il distacco, il disprezzo per chi non ce la fa e per chi viene sconfitto.
È già questa una vittoria: il popolo non si comanda e non si combatte, non si ignora e non si sfotte. Del popolo, delle persone, bisogna avere cura. Avere considerazione e compassione. Nel senso etimologico del patire insieme, del farsi carico del dolore e del disagio gli uni degli altri come vi ho visto fare ogni giorno in questi anni. Per questo vi viene facile il comunismo: sortire soli dal bisogno è avarizia, sortirne insieme è politica, diceva Don Milani.
Ho ascoltato con attenzione tutti gli interventi. Un censimento dei bisogni e dei desideri, delle lotte e degli slanci. Ora bisogna mettere i presidi a sistema, collegarsi agli altri, avanzare proposte di cambiamento, spiegare come intendiamo rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di essere ugualmente libere e felici.
Parlando semplice, come ha raccomandato Viola. E’ semplice spiegare che la scuola pubblica è motore di uguaglianza. A scuola si entra uguali e si esce diversi, disse Renzi: chi è più bravo passa avanti, la scuola premia il merito. Noi sappiamo che è il contrario: a scuola si entra diversi, chi con i libri già sfogliati e chi no, chi con i verbi coniugati già in bocca e chi no e, dalla scuola, grazie alla scuola, si deve uscire uguali. È semplice, perché è vero.
E allora deve essere gratuita e libera la scuola di ogni ordine e grado, gratuita l’università, gratuiti i libri di testo. Si può fare, servono meno soldi dei 18 miliardi regalati alle imprese attraverso gli sgravi per le assunzioni.
È semplice spiegare che il lavoro, meno e per tutti, è la battaglia da recuperare ma quella contro il lavoro gratuito e sottopagato la prima lotta da ingaggiare: la Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto in ogni caso a una retribuzione che assicuri un’esistenza libera e dignitosa per sé e per propria famiglia. Le riforme che hanno reso legale il lavoro sottopagato sono quindi incostituzionali e incostutuzionale è la condotta delle pubbliche amministrazioni che bandiscono gare al massimo ribasso – è il cuore della vertenza Almaviva che abbiamo raccontato ieri – e che sfruttano gli stagisti, gli studenti in alternanza, i finti volontari pagati con gli scontrini, i richiedenti asilo che svolgono lavori socialmente utili.
«Quando c’era Berlusconi il sindacato ci chiedeva di non far rivendicazioni perché non eravamo in una fase acquisitiva – raccontava ieri Stefania, lavoratrice Almaviva. Poi è arrivato il governo amico di Renzi ed è stato anche peggio». Oggi un giudice ha dato ragione a quei lavoratori che nonostante la fase, nonostante fossero pochi, soli, descritti come irresponsabili e velleitari, hanno avuto la forza di lottare per il loro diritto, che poi è il nostro. Quei lavoratori ci indicano il metodo e la strada da seguire. Ci diranno che siamo pazzi, noi diremo una cosa semplice: i pazzi sono quelli che per risolvere lo squilibrio tra i lavoratori tutelati e quelli che no hanno tolto le tutele a chi le aveva. Ci capiranno, perché è vero.
È semplice e spiegare il diritto e il dovere alle ferie, alla maternità alla malattia, alla pensione per tutte le categorie di lavoratori anche per le (sempre più spesso false) partite iva sfruttate, come gli ordinisti, grazie alla riforma Fornero che non solo va abolita come il Jobs Act ma come il il Jobs Act sostituita con una riforma equa. È semplice perché quei lavoratori sono affaticati e hanno bisogno e voglia di andare in vacanza, di stare con i propri figli la domenica e con i propri compagni la notte invece di essere costretti agli straordinari e al lavoro notturno.
L’elenco è lungo, non lo faccio adesso, sono tutti temi che abbiamo tante volte affrontato e studiato nelle nostre assemblee, nelle università nelle piazze dove siamo andati insieme a batterci contro le riforme costituzionali di Matteo Renzi. Spiegavamo allora che non era il bicameralismo perfetto a starci a cuore ma lo spazio della democrazia che i partigiani hanno liberato e la Costituzione difeso perché quello è lo spazio dove da allora si lotta per affermare la giustizia e non la legalità. Quello spazio è stato aggredito dentro e fuori dalle istituzioni e ci è stato sottratto con le riforme che limitano la rappresentanza, i decreti Minniti-Orlando che imbavagliano le piazze e il dissenso, con le limitazioni alla libertà sindacale, gli sgomberi, i licenziamenti disciplinari, la scuola che addestra all’obbedienza e le leggi elettorali che premiano chi si piega e non chi lotta.
Pensavano che ci saremmo accontentati di protestare e resistere fuori dal Palazzo, come sempre abbiamo fatto e continueremo a fare, con i cortei e il mutualismo, i picchetti e le occupazioni. Si sbagliavano: non vogliamo più limitarci a disobbedire e contestare chi governa negli interessi di pochi ma vogliamo governare nell’interesse dei molti.
Ho sempre fatto, nel mio piccolo, con tanti altri piccoli, tutte e due le cose. Votando e sostenendo chi prometteva di battersi nelle istituzioni – e spesso lo ha fatto, con convinzione e capacità – e impegnandomi tra le persone e con le persone nell’accoglienza, la difesa dei diritti, il racconto delle lotte.
Negli ultimi mesi mi sono sentita monca, in tutti e due i contesti. Monca a sostenere politicamente i compagni che inseguivano chi abbiamo combattuto insieme: a inseguire invece di combattere chi ha fatto la guerra, allungato l’età pensionabile, inserito il pareggio di bilancio in costituzione, regalato i soldi alle imprese e alle banche togliendoli ai poveri e impoverendo i lavoratori. Conosco e stimo la loro buona fede ma non ho condiviso la loro strategia e l’ho detto e scritto in ogni sede, tipo qui.
Sarà che faccio ragionamenti poco tattici e troppo semplici: come possiamo difendere i lavoratori e farci votare dai lavoratori con chi ha abolito l’articolo 18?! Come possiamo difendere i pensionati e farci votare dai pensionati con chi ha votato a favore dell’allungamento dell’età pensionabile?! Come possiamo unificare la sinistra che ha votato No alle riforme di Renzi con chi incorona leader chi ha votato Sì alle riforme di Renzi?! Con chi, solo quando Pisapia si tira indietro, incorona leader del quarto polo alternativo al Pd Piero Grasso, che fino al giorno prima stava nel Pd?! Come facciamo a fare la sinistra con chi ancora oggi invoca il centrosinistra?! Come facciamo a spiegarlo agli elettori, se non ci credono nemmeno i militanti?!
Mi spiegavano che non c’era lo spazio politico perché lo aveva ocupato Grillo, che non c’era tempo, che bisognava mettere insieme le forze. Rispondevo che così si mettevano insieme le debolezze, che Melanchon e Corbyn hanno raddoppiato i consensi in poche settimane con una proposta radicale e grazie alla credibilità delle loro storie, che i voti non si sommano ma si conquistano, come abbiamo lasciato fare in solitudine a Grillo e Salvini.
So che questi ragionamenti semplici non appartengono solo a me ma a moltissimi di quelli che non vanno a votare e a molti – dunque pochi – di quelli che si disponevano a sposare Giovanni: a votare per la lista unica a sinistra, destinata per come si è posta a dar vita una lista unica di sinistra e a una o due di centrosinistra.
Mi sono sentita monca, in questi mesi, anche sul fronte che più frequento: non quello elettorale ma quello quel dell’impegno diretto nelle lotte e del loro racconto. La denuncia degli sgomberi di Piazza Indipendenza, dei licenziamenti all’Hitachi, dello sfruttamento degli studenti in alternanza o dei lavoratori a nero. Monca, perché mentre scrivevo e sfilavo in corteo vedevo lo spazio della lotta e della denuncia restringersi per volontà di chi è al potere. Quel potere che ieri abbiamo deciso di restituire al popolo.
Dopo esserci convocati e impegnati a farlo bisognerà da subito entrare nel merito non solo delle riforme da abolire, più volte evocate ieri, dal pacchetto Treu al Jobs act, la buona scuola, lo sblocca Italia… ma anche dei rimedi e delle cure: come disobbedire ai trattati europei, fermare il consumo di suolo, tagliare le spese militari, modificare a monte il modello di produzione e non solo mitigare a valle le ingiustizie che produce.
Tornando a casa ho pensato che sarebbe utile un comitato scientifico, anche informale, per fornire a tutti i compagni gli strumenti per capire come uscire dalla crisi, come ribaltare il tavolo. Costituzionalisti, economisti, sociologi che spieghino le soluzioni da adottare. Farne dei video, delle brevi dispense: i libri ci sono già, non tutti hanno il tempo di leggerli e i soldi per comprarli, nessuno quello di leggerli tutti, ma molti di quelli che li hanno scritti sono compagni generosi e competenti che certamente si presterebbero a insegnare: mi ha colpito quel che ha detto Marina Boscaino, insegnante in lotta contro la Buona Scuola: «Mi dispiace non essere stata insegnante di nessuno di questi ragazzi, perché io intendo l’insegnamento come militanza politica».
Vi guardava ammirata pensando, certo, ai vostri insegnanti, che sono stati i suoi.
Abbiamo tanti buoni maestri, e non mi è mai piaciuto il detto “Se uno ha fame insegnagli a pescare” perché non si impara a stomaco vuoto. Se uno ha fame sfamalo, come voi fate a Napoli, nutrendo chi ha bisogno di cibo e cure, e poi insegnagli a sfamare gli altri affamati. Insegnagli a lottare.
Perdonatemi se procedo alla rinfusa, se cito la scuola e non le migrazioni – chiudere gli hostspot, aprire i corridoi umanitari… – ogni tema è urgente, ogni urgenza è un tema che merita approfondimento: i diritti civili, la tutela dell’ambiente, il diritto alla salute, la disobbedienza dei tratti europei.
Qui mi premeva soltanto dirvi che di questo – e solo di questo – ho avvertito la mancanza. No, anzi, l’assenza: mancare non mi è mancato nulla, che l’assemblea serviva a trovarsi, accogliersi, partire.
Ho ricevuto decine di messaggi da parte di compagni che sarebbero andati al Brancaccio e che volevano sapere come era andata oggi, che impressione avevo avuto. Sono incuriositi, speranzosi, entusiasti, dubbiosi, critici, avviliti dalle divisioni, incazzati con noi.
Tra loro una compagna che mi ha detto più volte che l’alleanza con Mdp era necessaria e che non c’era bisogno di persuadere Rifondazione, che tanto Rifondazione avrebbe aderito comunque alla lista con Mdp, pur con Bersani e D’Alema, poiché realisticamente non aveva altra possibilità: «Non c’è né lo spazio né il tempo per una lista della sola sinistra radicale», dicevano in tanti.
Avevano ragione. C’è infatti lo spazio per una sola lista della sinistra radicale.
Le ho risposto così:
«Poiché siete convinti che una lista di sinistra radicale sia irrealizzabile andate avanti a farne una moderata, senza ostacolare chi una lista radicale la sta realizzando».
Così è la vita, con chi è in buona fede ci ritroveremo pur militando in progetti diversi, perché non si sta insieme nelle liste, si sta insieme nelle lotte. Teniamoci stretti.
#poterealpopolo
Nessun commento:
Posta un commento