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Una lettera in soggettiva può spiegare più di una lunga analisi politica. Oggi il manifesto vive il suo ultimo giorno, ma il futuro, se mai ci sarà, in mano alla "redazione a Norma" sembra decisamente buio.
Ancora non è noto il nome del padrone della "nuova storia" -
questo il titolo di un editoriale collettivo, per quanto possa valere
l'espressione "collettivo" dopo la lettura di queste sofferte righe, che
aveva l'ambizione di presentare "il futuro" senza dire mai come sarebbe
stato - ma si sa già quali saranno le relazioni interne. Padronali.
Uscite
tutte le firme storiche - meno Giuliana Sgrena, impegnata come
candidata vendoliana, ossia col Pd, alle elezioni regionali del Lazio;
una ragione ci sarà - i "nuovi" raccolti intorno a Norma Rangeri stanno
strutturandosi per una continuazione dell'attività sotto altre forme
societarie. La testata è in vendita (non è un segreto, sono usciti i
bandi sui giornali...), ma ritengono che fare una nuova cooperativa
possa garantire loro una continuità di gestione editoriale. Come se un
padrone qualsiasi possa davvero limitarsi a comperare un brand e
lasciarlo in mano ad altri, senza un controllo teso a salvaguardare
l'"investimento".
Ma solo un imbecille può credere che un'attività
industriale "nuova" - perché questo sarà quel giornale dal 2 gennaio in
poi - possa partire senza fondi.
La domanda interessante è dunque:
da dove arriveranno i soldi per pagare i normali costi industriali
(affitto, bollette, tipografia, carta, ecc) anche considerando che "i
nuovi" possano "investire su se stessi" e quindi autosospendersi il
pagamento degli stipendi fino al momento in cui cominceranno ad entrare i
ricavi delle vendite? (90-180 giorni).
Di certo non dai circoli dei
lettori organizzati, che - oltre a finanziare il giornale ogni volta che
questo aveva lanciato una "campagnadi sottoscrizione - avevano tentato
di proporsi come acquirenti della testata, ricevendo dall'attuale
direzione/redazione un quasi indignato rifiuto.
In attesa di
scoprirlo - e nulla, nel mondo dell'informazione, resta segreto a lungo -
ci illumina questo squarcio sulla presente e prossima vita interna al
giornale. Che già prima, come "comunista" lasciava parecchio a
desiderare, ma ora...
Da "la rivoluzione non russa" a "la rivoluzione no".
Scrivo per spezzare le nostre solitudini
Car* compagn*
come sapete sono in corso le procedure per formare la nuova cooperativa
che dovrà fare in modo che il manifesto rimanga in edicola. La nuova
coop è stata costituita prima di Natale da (credo) 9 persone, con uno
statuto (credo sia stato ripreso quello della vecchia coop) senza che
sia mai stata data una comunicazione ufficiale ai vecchi, nuovi e
aspiranti soci. Se ne è parlato al giornale, sul giornale, sui social
media ma chi abbia deciso i nomi dei “fondatori” e anche chi siano i
fondatori io non lo so. Avrei potuto chiedere, certo, ma non ho voluto.
Ho atteso invano una comunicazione ufficiale che non è mai arrivata.
E ora veniamo a “come” si sta formando la nuova cooperativa: si parte
dal budget (calcolato sulle vendite attuali), si cerca di capire quanti
posti di lavoro si possono salvare con quei soldi, si fanno alcune
scelte (chiudere il centralino, chiudere il sito, ridimensionare
l’archivio, ma questi sono solo esempi) e poi un comitato, formato da
due persone, comunica ai singoli lavoratori il tipo di contratto che il
giornale si può (o non si può) permettere per loro.
Il processo che
io, insieme ad altri compagni, tutti ormai fuori dal giornale, compresi
Rossana e Valentino, ho sempre caldeggiato, era esattamente l’inverso:
prima si doveva parlare di progetto e poi di chi serviva per
realizzarlo, cercando di fare un buon giornale, che aumentasse le
vendite e fosse in grado di riassorbire progressivamente più persone
possibili. Questo ovviamente comportava un grande e impegnativo
dibattito politico che si è scelto di non fare.
I colloqui
Siamo stati convocati dal comitato singolarmente (cosa che ovviamente
mette le persone in condizione di debolezza) e ci è stato comunicato
cosa il comitato aveva deciso per noi: contratto a tempo pieno,
contratto a tempo parziale o nessun contratto, senza altra possibilità
che prendere o lasciare. Ognuno poi, sempre in perfetta solitudine, ha
accettato tirando un sospiro di sollievo, ha rifiutato cortesemente, ha
cercato di contrattare, ha pianto le sue lacrime o ha sbattuto la porta.
Questo è quello che non mi va giù: ognuno solo con le sue gioie o le
sue pene, nessun processo collettivo. Ognuno che racconta “come è
andata” ai suoi amici, come fosse un colloquio di lavoro in un posto
qualsiasi.
Per questo ho voluto scrivere questa lettera: per rompere
queste solitudini, per cercare di far sentire meno solo e rabbioso chi è
rimasto tagliato fuori.
Che fosse necessario un drastico
ridimensionamento del personale lo sapevamo tutti ma che questo fosse il
modo migliore per farlo, no, questo proprio no.
Che dovessimo
formare una nuova cooperativa lo sapevamo tutti, che si formasse in
questo modo, con questi tempi, senza alcuna discussione collettiva sul
chi e sul cosa, no, questo proprio non lo accetto.
Siccome sono
abituata a partire da me, vi racconto il mio colloquio (avvenuto ieri,
28 dicembre, ultimo giorno utile prima della liquidazione della vecchia
coop): qualcuno, non so chi, ha deciso che bisognava chiudere il sito.
Inutile dire che chi ci ha lavorato non è stato coinvolto in questa
decisione, è stato informato solo a decisione già presa. Nessuno ha
chiesto al gruppo di lavoro del sito se si poteva trovare una soluzione
transitoria, per cercare di tenerlo aperto comunque, solo colloqui
personali in cui si poteva accettare o rifiutare una soluzione
alternativa oppure prendere atto di essere stati tagliati fuori. Dei
quattro che lavoravano al sito uno è in pensione, a due sono stati
offerti contratti certo molto miseri ma pur sempre contratti, a me è
stato detto che non c’era alcuna possibilità di contratto. L’unico
vantaggio economico che viene al giornale, quindi, è il taglio del mio
stipendio, solo del mio, a fronte dell’immenso danno di immagine che
comporta la chiusura del sito del manifesto. Se poi mi viene da pensare
che la decisione di chiudere il sito sia stata presa al solo scopo di
eliminare una persona scomoda, praticamente l’unica rimasta del gruppo
dei “dissenzienti” dite che sbaglio? Può darsi, ma io non posso fare a
meno di pensarlo.
A questo bisogna aggiungere un particolare: mi
sono stati tolti i premessi di amministratore della pagina Facebook del
manifesto. Inutile dire che neanche questo è stato oggetto di
discussione, me ne sono accorta da sola, loggandomi alla pagina. Forse
qualcuno ha pensato che potessi abusare dei permessi da amministratore
per farne un uso improprio? Se così è quel qualcuno si sbaglia: non ho
mai pensato di usare gli strumenti che il manifesto mi dava per scopi
personali. Sono una persona seria e non tollero che questo sia messo in
discussione.
Tanto per togliere qualche eventuale dubbio, non ho
voluto scrivere questa lettera per cercare di strappare uno strapuntino,
magari a scapito di qualcun altro. No, cari compagni, la guerra tra
poveri non mi appartiene. La mia è, ancora una volta, una battaglia
politica. Continuo, come faccio ormai da quando abbiamo deciso (tutti
insieme) di mettere in liquidazione la cooperativa, a contestare il
metodo. Ho condiviso l’idea dei Circoli della proprietà collettiva, ho
scritto documenti, ne ho firmati altri, sono intervenuta in assemblea
sempre con la stessa idea in mente: la rifondazione del manifesto non è
un problema sindacale e nemmeno economico. E’ un problema politico e
come tale va trattato.
So per certo che molti non hanno firmato
documenti o ne hanno firmati altri solo temendo di perdere il posto di
lavoro. E’ una preoccupazione comprensibile che ha però inibito la
discussione che dovevamo e potevamo fare sul futuro del manifesto.
Questo modo di procedere con colloqui personali ha fatto il resto:
nessun processo collettivo, nessuna condivisione, ognuno lasciato a
decidere (o a subire) da solo. Per questo o voluto socializzare la mia
esperienza e mi piacerebbe che anche altri lo facessero. Chi ha deciso
di rimanere contento, chi ha deciso di rimanere con molte perplessità,
chi non ha potuto decidere niente, chi ha deciso, più o meno
serenamente, di non voler prendere parte a questa nuova avventura. Mi
piacerebbe. E ora a voi la palla.
Tiziana Ferri
da www.manifestiamo.eu