sabato 22 dicembre 2012

Cambiare si può ma senza Pd. La cronaca dell'assemblea del Quirino.

di Checchino Antonini, www.popoff.globalist.it

Le dita che si intrecciano come fossero il cancelletto di twitter, dentro un'arancia. Un gesto che può fare chiunque, che facilmente può essere scarabocchiato sui muri. La scritta Rivoluzione democratica, cambiare si deve. Questo il simbolo, studiato assieme a Freccero dallo scrittoe Marco Rovelli e dalla semiologa Cristina Barone per la lista che sta per nascere. La proposta viene fatta dal palco del Quirino al termine di un dibattito che possiamo sintetizzare con questo titolo: affinità e divergenze tra il compagno Ingroia e noi. Ingroia, con De Magistris, prenderanno parola per chiarire e dire che si sentono a casa loro anche qui, al Quirino, all'indomani dell'evento che ha lanciato (quasi) definitivamente l'ex pm di Palermo alla guida della coalizione tra partiti e movimenti.

Guido Viale ha rotto il ghiaccio dopo l'introduzione di Revelli dicendo che questa è l'occasione formidabile per fornire un punto di riferimento per i feriti dalle politiche del governo Monti e della sua maggioranza parlamentare. La novità sta nel protagonismo del lavoro sociale diffuso nei territori, le discriminanti dovranno essere chiare: non sono possibili soluzioni senza mettere in discussione radicalmente l'austerità e i vincoli posti alla libertà d'azione dalla Ue. La carta d'intenti del Pd allude agli stessi temi di questa sala ma non mette in discussione né l'austerità né il pareggio di bilancio, la porcata più enorme del porcellum, e nemmeno il fiscal compact. «Su questo dobbiamo discutere con Ingroia, i suoi dieci punti sono ancora lontani dai nostri». E, per Viale, serve un partenariato con i movimenti europei anti austerity.

Anche per Gianni Rinaldini, predecessore di Landini alla testa della Fiom, il programma di Ingroia non è il programma di Cambiare si può: «Non dobbiamo avere solo l'orizzonte della scadenza elettorale ma attraversarla con un programma che vada oltre. Dobbiamo costruire l'opposizione di sinistra a quelle politiche altrimenti ce ne sarà solo una di destra». E' chiaro che sarà una lista eterogenea non solo di Cambiare si può. Alfonso Gianni dicendo che il tema nostro è come uscire dalla crisi senza un massacro sociale dà il commiato definitivo da Sel «che ha scelto il compromesso e archiviato la battaglia per la rifondazione della sinistra». Uno dopo l'altro gli interventi delineano la crescita, l'aspirazione per una soggettività alternativa ad Abc (Alfano, Bersani, Casini) che ha poca voglia di discutere col Pd. Lo spiega Eleonora Forenza (appartenenza multipla la sua in Rifondazione, nel No Debito e nei movimenti dei precari della conoscenza e nei luoghi di donne) suggerendo che quella di oggi sia un'assemblea sovrana. Roberta Roberti, di Parma, e Cinzia Bottene, no Dal Molin da Vicenza, chiedono chiarezza all'ex pm di Palermo che parlerà subito dopo di loro. Bottene è rimasta disorientata «dall'aria di convention all'americana» che si respirava ieri al Capranica, alla kermesse che ha lanciato Ingroia e gli dice che le sue quattro denunce le vive come una medaglia: «C'è legalità e legalità».

«Anch'io qui mi sento a casa (ma poi va via senza seguire il dibattito, ndr). E' vero che ieri l'atmosfera era diversa - chiarisce subito dopo Ingroia - ma non era nemmeno un'assemblea era una comunicazione, un appello a più destinatari, soprattutto a quella società civile che ha posizione chiare contro montismo e berlusconismo. Saremo irriducibilmente alternativi al neoliberismo seppure pragmatici e inclusivi con quei partiti che hanno fatto l'opposizione dentro e fuori il Parlamento». La società civile dovrà stare «in prima fila», dice Ingroia spiegando che il passo indietro chiesto ai partiti non significa debbano farsi da parte «ma mattersi in seconda fila». Capisce lo scetticismo, maggioritario in sala, sul suo proponimento di dialogare con Pd e grillini ma è un passo che lui intende compiere non foss'altro per verificare pubblicamente l'impossibilità di una convergenza e provare a erodere consensi in quei settori che si sentono in bilico tra questo polo e l'altro. E' più o meno quello che crede De Magistris che pure era parso il più possibilista su quel rapporto.

Prima del sindaco di Napoli interviene Paolo Ferrero, segretario del Prc, gli applausi sulle sue parole spiegano parecchio della composizione della sala. Ferreto è persuaso che la dimensione dell'austerity sia quella europea, che il liberismo distrugge democrazia e sovranità e che in Europa, però «non siamo soli, facciamo parte del partito della sinistra europea come Syriza, la Linke, Front de gauche e Izquierda unida» alla faccia di «provincialismo demente in cui sembra che l'unico problema sia il berlusconismo». Il leader di Rifondazione crede si debba costruire una coalizione «imparando dall'America latina, è sbagliato pensare che i partiti siano autosufficienti e che tutto il buono sia fuori di loro». La lista non sia sommatoria «ma i partiti devono partecipare» in questa operazione per valorizzare il lavoro sociale che, in molti casi è svolto da gente con una tessera in tasca.

Anche De Magistris infiamma la platea quando esordisce così: «Se qualcuno gli può spedire le valige dal Guatemale è meglio, Ingroia dev'essere candidato premier, io non riesco a immaginare una campagna senza di voi. Non riesco a immaginare che si riesca a fare l'accordo col Pd, che il Pd riesca a liberarsi della macelleria sociale ma quell'incontro va chiesto anche se durerà il tempo di un caffé. A Napoli s'è vinto perché c'erano società civile e militanti di partito ma non dev'essere una riverniciatura rosso-arancione di chi vuole ricostruirsi una verginità. Dobbiamo appassionare quel pezzo di Paese che non vuole morire depresso. Le condizioni per stare insieme ci sono». Mentre per stare col Pd non ci sono affato: più chiaro di altri, Franco Turigliatto di Sinistra critica ricorda la ferocia senza pari, il revanchismo delle borghesie contro le conquiste operaie del secondo dopoguerra e che il problema dei rapporti col Pd «sta nel suo voto alle stangate senza precedenti, nel voto alle modifiche costituzionali, i democratici sono avversari feroci che aiutano le classi dominanti nel massacro sociale». Turigliatto cerca una sintonia con i «segnali importanti giunti dalle piazze europee e anche nel nostro paese il 14 novembre. E' indispensabile il rapporto con questi movimenti».

«Ma come si può dialogare con Grillo che ha detto a Pavia di voler essere come la Lega delle origini? - chiede a questo punto Majid, "bresciano", migrante e comunista - oppure con quel Pd che quando era Ds ha costruito i lager con la Turco Napolitano?». Va controcorrente, ma forse fuori tempo massimo, il torinese Ugo Mattei che chiede un passo indietro a Ingroia: «La leadership o è contendibile o non ci deve essere. E poi non me la sento di andare in ValSusa dove un altro pm antimafia perseguita i compagni. Il candidato premier sia qualcuno non catapultato dall'alto e onnipresente in televisione». Col suo intervento termina la sessione dell'assemblea e inizia la discussione sulle regole. Le mozioni che usciranno saranno votate in sala e poi sottoposte alla validazione telematica, tra il 24 e il 26 tra i quasi diecimila aderenti all'appello. Le liste dovranno essere pronte il 10 gennaio e le firme dovranno essere raccolte entro il 20. 

Revelli: «Cambiare si può, straordinaria agorà» 

di Checchino Antonini

Marco Revelli va subito al sodo dal palco del Qurino. Spiega che questa è un'assemblea di lavoro, è un'assemblea di scopo, «dobbiamo discutere e deliberare, bisognerà mettersi sul punto e anche gli invitati (sono attesi Ingroia e De Magistris) porteranno «materiali di lavoro». Non sarà una passerella». Una prima sessione discuterà del progetto, la seconda dovrà darsi regole chiare per la formazione della lista e la scelta delle candidature.

A un mese e mezzo da quel 6 novembre che partì l'appello dei 70, il popolo dei non allineati si rivede a Roma. «In queste settimane a sinistra è cambiato radicalmente lo scenario - ha spiegato Revelli - dalla frammentarietà residuale alla concreta possibilità di una lista capace di parlare a un'ampia porzione del Paese». Revelli ha ricordato le assemblee svolte in 109 città da «un'agorà reale di 15mila persone che hanno discusso concretamente, esempio di cittadinanza attiva e straordinaria». Ovunque da quelle assemblee sono giunte indicazioni di metodo, che dovrà essere davvero innovativo e democratico, «in forma e luogo pubblico, con pubblica convocazione, senza opacità, senza accordi di vertice». Ovunque è stato arricchito e rafforzato il programma con interventi su temi restati un po' sottotraccia: parità di genere e generazione, temi della laicità e della scuola che, come il welfare, è un grande investimento strategico; la questione migranti, la denuncia del fiscal compact, l'indicazione di una battaglia intransigente «netta, chiara, esplicita, alle politiche contro la Bce, il rifiuto delle grandi opere e la lotta contro il tav, il tema «tragico, drammatico delle carceri». In molte di queste assembleee, ha ricordato Revelli, sono confluiti appartenenti a molte realtà associative: «E' stata un'esperienza anche ispida di cooperazione e contaminazione».

E poi è venuto il Movimento arancione di De Magistris e «ci siamo incontrati pur avendo natura diversa, Csp è uno spazio, l'Arancione è uno dei soggetti. A guardarci dall'alto si coglie la nostra dimensione di densa riaggregazione orizzontale» che rovescia la logica verticale della negoziazione tradizionale, «forse è il nuovo ciclo annunciato da Maya e credo che Ingroia ieri nel suo discorso, grande discorso, abbia colto bene l'elemento di novità». Insomma, per Revelli c'è la possibilità di un processo di riconciliazione della società civile con la politica. Le difficoltà ci sono «ma noi ci siamo, dovremo imparare la difficile arte di convivere ma è un'oportunità straordinaria di acquisire pratiche non competitive ma in cui tutti hanno da guadagnare e imparare dall'altro, non è scontato ma se ci riusciremo questo cambiamento di stile riuscirà a contagiare la rozza materia».

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