lunedì 17 novembre 2014

Giappone in recessione, esempio per l'Europa

Giappone in recessione, esempio per l'Europa
Il Giappone mostra all'Europa la via che porta al declino economico. Da oltre due decenni, infatti, Tokyo è in stagnazione economica, nonostante la politica monetaria “accomodante” - tradotto: tassi di interesse decisi dalla banca centrale a zero – e una capacità di innovazione tecnologica ai massimi livelli (subito dopo gli Usa, alla pari con Germania e Cina).
Poi l'arrivo di Shinzo Abe, liberale ultraconservatore e decisamente guerrafondaio, che ha usato tutte le armi a sua disposizione: politica monetaria espansiva, stimoli fiscali e riforme strutturali. Proprio quello che l'Unione Europea e la Troika “consigliano” a ogni paese del vecchio continente (con forti riserve tedesche sulla politica monetaria espansiva, per di più). Il primo anno di governo Abe era sembrato benedetto da queste innovazioni: crescita di nuovo apprezzabile, ancorché moderatissima (poco più dell'1%), consensi in salita, applausi della comunità finanziaria.
Stamattina la pubblicazione dei dati sull'andamento del Pil nipponico hanno bruciato quasi due anni di ottimismo: nel terzo trimestre c'è stata una caduta dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, che già di suo era andato molto male (-1,9). Su base annuale la previsione diventa per un crollo dell'1,6%, visto che due trimestri consecutivi negativi sono considerati ufficialmente “recessione tecnica”. Immediato il tracollo della borsa di Tokyo, che ha lasciato sul campo il 2,9%, portando scompiglio anche nelle piazze europee, tutte in negativo all'apertura.
Le “attese degli analisti” erano decisamente diverse, almeno moderatamente positive. E su un rialzo del Pil faceva conto lo stesso Abe per poter procedere allo scioglimento della Camera Bassa e quindi rafforzare il suo potere interno.
Cos'è accaduto al “magnifico piano” dei liberisti giapponesi? Si è incagliato sui suoi stessi presupposti. Le “riforme strutturali” hanno tolto ai cittadini diversi benefici del welfare, costringendoli a spendere per beni e servizi che prima erano semigratuiti; le iniezioni di liquidità nel circuito finanziario hanno vanificato ogni tentativo di riduzione del debito pubblico (che viaggia intorno al 200% del Pil, il dato più alto dellOcse); l'aumento dell'Iva dal 5 all'8% (scattato in aprile) ha impattato pesantemente sia i consumi privati (-0,9%) che gli investimenti (-6,7); e senza miglioramenti del deficit il prossimo ottobre l'Iva salirà ancora, al 10%. Insomma: come la manovra del governo Renzi (la “clausola di salvaguardia” fissa già il passaggio al 25,5%). Gli investimenti pubblici, in omaggio alla teoria liberista, sono stati modestissimi, anche se in lieve aumento (+0,3%).
Risultato: la borsa è stata drogata per un paio d'anni, le imprese hanno smesso di investire nella priduzione casalinga preferendo la finanza o le delocalizzazioni; la popolazione ha congelato i consumi in attesa del peggio. Quando l'effetto magico della magiore liquidità è finito il panorama si è mostrato più desoalto di prima.
I margini di manovra a disposizione della banca centrale e del governo (lì non c'è alcuna “indipendenza” rispetto all'esecutivo) sembrano ora decisamente ridotti al minimo. Resta la via dei drastici tagli al welfare e alla spesa pubblica, che è aumentata negli ultimi due anni a causa dei programmi di riarmo in funzione anticinese. Buon divertimento, Abe...

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