martedì 9 giugno 2015

i taglio la pensione, ma “lo faccio per il tuo bene” di Claudio Conti


Ti taglio la pensione, ma “lo faccio per il tuo bene”

Chiunque voglia discutere seriamente dell'evoluzione del sistema pensionistico italiano deve ammettere che – dalla riforma Dini del 1996 ad oggi – c'è stata una perdita monetaria drastica per chi nel frattemp è uscito dal lavoro; inoltre c'è stato un allungamento altrettanto drastico dell'età pensionabile (da 57 a 66 anni e sette mesi; praticamente 10 anni in più).
Gli argomenti usati erano falsi, in buona parte, e persino in contraddizione tra loro. Si diceva; il sistema non può tenere perché ci sarà una 'gobba', ossia un picco di ritiri dal lavoro coincidente con la 'maturità della boom generation, i nati negli anni tra il 1950 e il 1965. L'argomento falso era: i giovani che subentreranno al loro posto sono molti di meno (per fattori demografici), quindi i loro contributi non saranno sufficienti a pagare le loro pensioni. Falso perché le pensioni sono un “salario differito”, quindi te la sei già pagata lavorando; non c'è nessun altro che te la deve pagare (a parte i casi delle “minime” e delle “sociali” erogate a persone che non hanno mai lavorato, in genere donne e casalinghe).
Per questo motivo si allungava l'età del ritiro “in rapporto all'aumento delle aspettative di vita” e si modificava il sistema di calcolo dell'assegno finale (ed anche delle liquidazioni, in parte), spostandolo progressivamente dal retributivo al contributivo.

La legalizzazione della precarietà e gli incentivi alle imprese (decontribuzione, ecc) hanno ridotto fortemente i flussi di entrata per l'Inps. E ancor peggio andrà nei prossimi ani, quando anche i “vecchietti” ancora inchiodati al lavoro con le vecchie regole (e i relativi contributi previdenziali “pesanti”) se ne andranno a riposo. Anche perché di giovani al lavoro ne sono entrati veramente pochi, complici la crisi e soprattutto l'allungamento dell'età pensionabile, che ha interrotto e rimandato di dieci anni, mediamente, il turnover.
Nonostante i mille pasticci incostituzionali del duo Fornero-Monti, dunque, abbiamo una situazione paradossale di lavoratori anziani che le aziende vorrebbero mandare a casa – specie per le mansioni a bassa qualifica e alta intensità di impegno fisico – e masse di giovani (anche quarantenni) che non possono sostituirli; sia per l'alta età pensionabile ora vigente, sia per l'inesperienza lavorativa.

Un governo fetido come questo, per risolvere il problema dell'ulteriore taglio della spesa pensionistica (imposto dalla Troika) senza sollevare una rivolta sociale di dimensioni greche, sta meditando soluzioni da presentare come un “vi vogliamo dare una mano e mandarvi in pensione un po' prima”.
Ha qualche possibilità di pensarlo perché esiste una massa considerevole di lavoratori anziani che non vedono l'ora di lasciare. E che quindi sarebbero disposti a rinunciare a qualche spicciolo sull'assegno pensionistico futuro pur di finirla qui, o comunque presto.
Come sempre il punto centrale diventa: a quanto bisognerebbe rinunciare per di andarsene?
Qui si sta esercitando il cinismo dei tecnici messi al lavoro per trovare ipotesi di soluzione del rebus, fermo restando – ovviamente – che deve sembrare un “ti sto dando una mano”.
Bisogna dunque guardare al ventaglio di ipotesi pubblicato da IlSole24Ore online per farsi un'idea di quel che sta bollendo in pentola. Dalle stanze del governo, infatti, arriva la solita fuffa di dichiarazioni che non entrano mai nel merito. Mentre negli ambienti di Confindustria – l'editore de IlSole – ci si scambiano con l'esecutivo sia pareri, sia tecnici, sia soluzioni.
Vi diamo il relativo link alla fine di questo nostro articolo. Il linuaggio è molto tecnico, ostico per i non addetti ai lavori; ma qualcosa si capisce lo stesso.
Nell'ipotesi A (“anticipo con taglio”), si potrebbe scegliere di ritirarsi a 62 anni di età (invece che a 66 e 7 mesi, mediamente) perdendo però un 2-3% per ogni anno di anticipo. Diciamo tra il 9 e il 13% dell'assegno. Non poco, ma si può fare di peggio.
L'ipotesi B (“La staffetta generazionale”) è tecnicamente complessa – e quindi poco attrente per le imprese - in quanto prevede un mix tra riduzione d'orario e stipendio, coperto però da un'erogazione pensionistica anch'essa ridotta. Per i lavoratori anziani – almeno per come la presenta IlSole, ma bisogna vedere cosa deciderà il governo – la perdita salariale-pensionistica sarebbe ridotta, quasi accettabile; per i giovani, invece, sarebbe comunque un periodo a salario bassissimo e poco “pesante” anche sulla carriera contributiva.
L'ipotesi C (“Il ritorno delle quote”) sembra un passo indietro rispetto alla Fornero, me è un passo indietro doppio. Perché – grazie a un'idea del “Pd sinistro” Cesare Damiano – la quota minima per andare in pensione sarebbe posta a 100, sommando età anagrafica e anzianità contributiva. Prima della Fornero la quota era a 96, fatevi due conti...
L'ipotesi D (ricalcolo con il contributivo”) è da considerare come l'ipotesi “fine di mondo” per i lavoratori e di festa grande per la Troika. In pratica verrebbero cancellati i periodi di lavoro antecendenti al 1996, calcolati con il retributivo, e le pensioni future (ma forse anche quelle in essere, una volta che si sia imposto questo altro principio incostituzionale) vennebbero computate integralmente con il contributivo. La perdita sezza sull'assegno sarebbe qui davvero micidiale: -32%. Spaventa persino il redattore de IlSole, forse direttamente interessato...
L'ipotesi E (“le opzioni per le donne”) non è in realtà alternativa alla altre, ma aggiuntiva. E risulterebbe davvero difficile presentarla come un “venire incontro alle esigenze delle donne”. Nell'esempio fatto – una donna di 58 anni con 35 anni di contributi – la decisione di andare in pensione subito (dal 2016 l'”opzione” non sarà più esercitabile) comporterà infatti una perdita in assegno pari al 25-30%.
Ma “per il vostro bene”, naturalmente...

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