Impazza sul web un video girato l’altro giorno all’Università di Catania, dove la ministra Maria Elena Boschi ha fatto tappa per propagandare la sua controriforma costituzionale.
Il format era l’unico accettabile per la molto democratica ministra
che, non avendo argomenti al di fuori del suo sorriso da spot del
dentifricio, non regge i pareri contrari: il monologo. Al suo fianco,
nel prestigioso ruolo di tappezzeria, le sagome cartonate del Magnifico
Rettore e del Presidente della Scuola Superiore. Tutto, nel soliloquio
compiaciuto della Madre Costituente – che si è trovata molto d’accordo
con le sue proprie tesi e ha concluso, dopo ampio dibattito interiore,
che la sua è la migliore delle riforme possibili – è filato liscio fino a
quando ha sventuratamente preso la parola uno studente di 22 anni, Alessio Grancagnolo.
Il giovanotto ha premesso che gli amici gli avevano caldamente
consigliato di smussare il suo intervento, purgandolo di ogni accenno
polemico verso la ministra e la sua “riforma”: lui però aveva deciso di
esporlo così come l’aveva pensato, perché in una democrazia non bisogna
avere paura di esprimere le proprie idee. La Boschi ha sfoderato il
consueto sorriso di ordinanza, facendo buon viso a cattiva sorte e
complimentandosi molto (“ti ringrazio per questo”): forse non sospettava
che l’impunito padroneggiasse così bene l’argomento.
In otto minuti fulminanti, Alessio le ha squadernato una per una tutte le forzature antidemocratiche del metodo seguito dal governo per imporre al Parlamento la nuova Costituzione e poi tutte le ragioni di merito che rendono l’Italicum incostituzionale
come il Porcellum e la “riforma” della Carta indigeribile, pericolosa,
pasticciata, dunque invotabile. Anche perché, checché se ne dica, finge
di non toccare la prima parte della Costituzione,
quella sulla forma di Stato e di governo, ma in realtà stravolge la
nostra Repubblica parlamentare in premierato assoluto e senza
contrappesi. Tutto quello che nei talk show, dov’è solita sorridere e
parlarsi addosso, nessun sostenitore del No ha mai avuto il privilegio
di dirle in faccia. A un certo punto, sopraffatta dall’analisi che
demoliva pezzo per pezzo il suo capolavoro, scritto a quattro piedi con Verdini,
la Boschi ha tentato di interromperlo (“Ho altri impegni, dopo”), ma lo
studente ha continuato imperterrito. E, sul finale, s’è scusato
ironicamente per aver disturbato il “tour promozionale” della madonna
pellegrina renziana. Allora il Magnifico Rettore gli ha tolto la parola.
Gli ha spiegato che già gli aveva fatto un favore a dargliela (“qui
non è previsto il contraddittorio e chi non gradisce il format può anche
non partecipare”) e soprattutto che nessuno deve permettersi di
chiamare “tour promozionale” un tour promozionale. Per
questo oggi abbiamo deciso di intervistare Alessio Grancagnolo e di
tributargli il piccolo onore della nostra prima pagina. Non sappiamo per
chi voti né come la pensi né quali giornali legga, ma sappiamo che è un
ragazzo in gamba che ha osato sfidare il Potere con l’arma più efficace
e temibile: la cultura. Alessio ha studiato (frequenta Giurisprudenza),
si è informato e poi ha detto ciò che pensa in faccia alla ministra,
senza timori reverenziali, libero dall’incultura autoritaria
dell’ipse dixit che frena molti cittadini, soprattutto giovani,
dall’uscire allo scoperto nel timore di chissà quali conseguenze,
facendo dell’Italia un paese democraticamente immaturo e
del popolo italiano un gregge di pecore anziché una comunità di
cittadini. Averne, di Alessio. Parliamo di lui perché speriamo che altri
seguano il suo esempio: che, insomma, di qui a ottobre, ovunque i
piazzisti del Sì alla controriforma tenteranno di imbonire la gente, si
ritrovino di fronte un Alessio che si alza in piedi, chiede educatamente
la parola e poi smonta con la forza delle idee le loro balle.
Il discorso di Alessio ricorda la fiaba del bambino che, al passaggio del sovrano in mutande, osa urlare “il re è nudo!”.
Ma pure un altro video, divenuto anch’esso virale: quello di una
giovane (anche se meno di lui) e timida (anche se meno di lui) dirigente
periferica del Pd che il 21 marzo 2009 scosse la pallosa e sonnacchiosa
assemblea nazionale dei Circoli del Partito. Anche lei si alzò in piedi
e, dando del “lei” all’allora segretario Dario Franceschini,
prima sorprese e poi conquistò la platea con un intervento iniziato fra
il distratto brusio generale e finito in una standing ovation. La
giovane donna impertinente contestò a una a una le magagne, gli inciuci,
le ambiguità e le doppiezze del suo partito con un linguaggio fresco,
diretto, sincero, senza lasciarsi intimidire dalle smorfie sempre più
nervose e imbarazzate del politburo pidino assiso ai piedi del palco.
Disse basta ai compromessi con B. che “hanno costretto molti nostri
elettori a votare Di Pietro per disperazione, perché gli abbiamo fatto fare da solo l’opposizione su temi che ci appartengono, come il conflitto d’interessi
e la questione morale”. Invocò una legge sul testamento biologico
contro le resistenze interne sui diritti civili e la laicità, perché “la
Costituzione è chiara, basta quella”. Chiese che le candidature non
calassero dall’alto, ma salissero dalla base. Aggiunse che “non possiamo
non tassare i ricchi solo perché sono troppo pochi”. Dodici minuti di
intervento interrotti da 35 applausi a scena aperta. Quella giovane
donna si chiamava Debora Serracchiani e oggi, vicesegretario del Pd
e governatore del Friuli-Venezia Giulia, dice e fa l’esatto contrario
di ciò che diceva allora. Auguriamo di cuore ad Alessio di non fare la
stessa fine.
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