sabato 13 aprile 2013

Confindustria scende in piazza. E il sindacato? di Dino Greco, Liberazione.it

Confindustria ha scatenato una vera e propria campagna affinché il parlamento vari finalmente un governo.
Squinzi ha detto ieri che la “vacanza” è finora costata un punto di pil (che vale, all’incirca, 16 miliardi di euro), con le aziende che chiudono a grappoli e un pezzo dell’apparato industriale del paese perso per sempre. Oggi il suo vice, Aurelio Regina, snocciola altre cifre che danno le proporzioni del collasso: in cinque anni, dal 2007 al 2012, sono chiuse 70 mila aziende, in media il 25% dell’intero comparto manufatturiero, e con i prossimi bilanci in rosso si prospettano una nuova stretta creditizia e nuovi abbandoni, soprattutto nella piccola e media impresa. In più, il deficit è vicino alla soglia del fatidico 3% e il rapporto debito/pil è al 130%, mentre l’Ue ci mette sopra il suo carico da novanta ammonendo che la fragilità del sistema bancario italiano espone l’Italia ad una nuova aggressione speculativa. 
I padroni alzano la voce. E i lavoratori, e i pensionati che pagano per tutti? 
Tre milioni di disoccupati, quattro di precari, 500 mila cassaintegrati “a perdere”, salari bloccati, pensioni da fame, ammortizzatori sociali al lumicino, un welfare che non regge più i colpi della crisi, un fisco ingiusto che imperversa sul lavoro e protegge rendite e grandi ricchezze. Ce n’è abbastanza per rovesciare il tavolo e pretendere davvero che il paese si dia una guida! Che non sia, però, al carro degli interessi che sino ad ora hanno menato la danza. E’ data questa possibilità? No, non è data. Il pallino lo hanno in mano gli altri. Pensate un pò: padroni a manifestare e lavoratori annichiliti, consegnati ad un silenzio tombale, privi di voce e di proposta.
Talmente disorientati e orbi di riferimenti che nel voto esprimono in massa il loro consenso di gran lunga prevalente alla destra e ai populismi. Ma le “riforme” che la borghesia, i “mercati”, Bruxelles, il Fmi chiedono ai governi sono un distillato della ricetta greca. Solo che i lavoratori di quel paese e Syriza che ne rappresenta l’espressione politica sono in campo. E per il primo maggio è proclamato un nuovo sciopero generale. E noi? No, noi no.

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