Lo ammette una fonte
insospettabile: quella che ne è responsabile. Il rapporto diffuso
dall'Aran conferma la macelleria sociale su lavoratori e servizi
pubblici. Una regressione sociale in piena regola, che può peggiorare. A
meno che....
Lasciamo parlare i fatti. Qui di
seguito il comunicato ufficiale dell'Aran, l'Agenzia per la
Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, organismo
della Presidenza del Consiglio. Di seguito un articolo-commento di
Roberto Ciccarelli. Il quadro che ne emerge conferma la pesantissima
destrutturazione del settore pubblico, sia sul piano di chi vi lavora
sia dal punto di vista dei servizi che eroga. I qualunquisti di ogni
fattezza farebbero bene a leggere prima di adagiarsi e rilanciare luoghi
comuni contro i lavoratori pubblici ormai smentiti dalla realtà.
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Aran: “Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti”
Il Presidente dell’Aran, Sergio Gasparrini, ha
presentato alla stampa il Rapporto sulle retribuzioni dei pubblici
dipendenti, la pubblicazione semestrale dell’Aran che fa il punto
sull’andamento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti.
Alla presentazione, hanno partecipato Antonio Naddeo,
capo dipartimento di Funzione Pubblica, ed Enrico Mingardi, consigliere
Aran.
Il Rapporto presenta ed analizza gli ultimi dati
disponibili sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici e sulla spesa
complessiva per le retribuzioni sostenuta dalle pubbliche
amministrazioni. Si conferma il quadro complessivo, già messo in luce
dai precedenti numeri del Rapporto, caratterizzato da retribuzioni
sostanzialmente ferme e perfino in leggera diminuzione (il 2011 fa
segnare, su tutto il pubblico impiego, -0,8%). Le prime anticipazioni
sui dati 2012 tendono a confermare questo quadro.
Il Rapporto evidenzia inoltre che la spesa
complessiva sostenuta dalla pubblica amministrazione per pagare le
retribuzioni (circa 170 miliardi di Euro, pari a poco meno dell’11% del
PIL), per la prima volta nel 2011, dopo molti anni di crescita
ininterrotta, diminuisce dell’1,6%. Le anticipazioni Istat sul dato 2012
evidenziano un ulteriore significativo calo del 2,3%. La spesa è
prevista in diminuzione anche per l’anno 2013.
La riduzione della spesa complessiva si deve non solo
al blocco delle retribuzioni, ma anche (in misura prevalente) alla
diminuzione del numero di occupati nella PA, passati da circa 3,6
milioni nel 2007 a meno di 3,4 milioni nel 2012 (la diminuzione in
cinque anni è stata di poco più del 6%).
Gli andamenti registrati sono principalmente il frutto delle misure di contenimento varate negli ultimi anni e, in particolare:
• dei vincoli sul turn-over e dei provvedimenti di
riduzione organici, adottati a più riprese nelle manovre di correzione
dei conti pubblici degli ultimi anni e riproposti anche nel più recente
D.L. n. 95/2012 (“spending review”);
• del blocco dei contratti nazionali previsto dal D.L. n. 78/2010;
• delle altre misure sulla spesa di personale,
previste dallo stesso D.L. n. 78/2010, di cui hanno ampiamente dato
conto i precedenti numeri del Rapporto semestrale (ad esempio,
congelamento risorse per pagare le voci di salario accessorio e loro
riduzione proporzionale in base alla diminuzione degli occupati, blocco
degli scatti di anzianità per alcune categorie di personale, blocco
spese per le missioni).
Dai dati presentati viene la conferma che, in termini
macroeconomici, gli aggregati di finanza pubblica hanno potuto
beneficiare di una dinamica negativa.
Questa certezza è importante, sotto il profilo della
tenuta dei conti pubblici, in quanto si tratta della grandezza
statistica che viene osservata in ambito internazionale e che orienta il
giudizio che si forma sui mercati finanziari.
I risultati indubbiamente positivi sul piano
finanziario vanno tuttavia valutati anche alla luce delle possibili
ricadute sull’innovazione organizzativa e sulla modernizzazione del
settore pubblico. Vi è infatti il problema di vincoli troppo rigidi e
circoscritti che rischiano di ostacolare i processi di innovazione
organizzativa, tecnologica e di servizio, necessari per conseguire
livelli più elevati di produttività, nonché l’ulteriore problema di
riduzioni lineari della spesa che “colpiscono alla cieca” e non si
pongono il problema di una migliore allocazione delle risorse.
Il Rapporto non manca di sottolineare come sia
necessario “tenere insieme” l’esigenza di una dinamica compatibile con
gli obiettivi di finanza pubblica con la necessità, sempre più
avvertita, di avviare percorsi di cambiamento organizzativo presso le
amministrazioni pubbliche per migliorare servizi, prestazioni e tempi di
risposta ai cittadini ed alle imprese. Sotto questo profilo, arrivano
dal Rapporto alcune concrete indicazioni, come quella di introdurre
obiettivi differenziati di riduzione del personale, in base a standard
nazionali di utilizzo efficiente delle risorse umane. Su quest’ultimo
punto, in particolare, viene presentata e discussa una possibile
metodologia di determinazione dei “fabbisogni standard di personale”
sugli uffici periferici delle amministrazioni statali. Più in generale,
il Rapporto rilancia l’esigenza di guidare ed accompagnare il
cambiamento organizzativo delle amministrazioni con adeguate politiche
nazionali ed opportuni incentivi.
Comunicato stampa ufficiale dell'Aran del 9 aprile 2013
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Qui di seguito l'interessante articolo uscito mercoledi 10 aprile su Il Manifesto
PUBBLICO IMPIEGO - I dati del rapporto Aran «svelano» il massacro di welfare, scuola e sanità. Lo stato è tornato al 1979
di Roberto Ciccarelli
La cura neo-thatcheriana ai costi dello stato inizia a
produrre i suoi effetti: dal 2006 al 2011 i dipendenti pubblici sono
passati da 3.627.139 a 3.396.810. Oltre 230mila persone hanno smesso di
lavorare per lo stato negli ultimi cinque anni. Questi dati sono
contenuti nel rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici
dipendenti, presentato ieri dall'Aran, l'agenzia che rappresenta la
pubblica amministrazione nella contrattazione collettiva nazionale.
Contrariamente a una delle leggende diffuse dai
sostenitori dello «stato minimo», questi numeri dimostrano che l'Italia è
sotto la media Ocse per numero di occupati nella pubblica
amministrazione. Sono meno di quelli francesi, e lo si può capire,
considerata le tradizioni dei nostri vicini d'Oltralpe. Ma, sorpresa,
l'Italia si classifica sotto i paesi presi ad esempio dai sostenitori
del neo-liberismo scatenato: gli Stati Uniti e la patria dell'Iron Lady
Margaret Thatcher. Sotto di noi ci sono solo i «Pigs» Spagna e
Portogallo e il nuovo «faro» della Germania.
Nessun problema, l'Italia la raggiungerà presto,
anche grazie al rinvio dei pensionamenti voluti dalla riforma Fornero,
il blocco delle nuove assunzioni e al mancato rinnovo degli interinali,
tempi determinati e flessibili, già in atto da tempo. Secondo la
Ragioneria generale dello Stato sono diminuiti di oltre il 26% negli
ultimi 5 anni. Per l'Aran nel 2012 il calo sarà del 2,3% e continuerà
nel 2013. Il risparmio sugli stipendi sarà notevole: nel 2011 la spesa è
stata di 170 miliardi (-1,6% sul 2010). Nel 2012 è calata a 165,36
miliardi (-2,3%). Anche nelle retribuzioni lo stato italiano viaggia a
ritroso nel tempo. Oggi è tornato al 1979. E, purtroppo, non si fermerà.
I settori dove i tagli si sono fatti sentire di più
sono quelli che garantiscono il Welfare, scuola e sanità, e poi gli enti
locali e i ministeri. Il processo è iniziato con l'ultimo governo
Prodi, ma l'onda si è ingrossata rovesciando qualsiasi cosa davanti a sé
quando Giulio Tremonti è tornato ad occupare la scrivania di Quinto
Sella al ministero dell'Economia, spalleggiato da Renato Brunetta alla
funzione pubblica e da Maria Stella Gelmini all'istruzione. Un concerto
che ha posto le basi per i tagli del futuro che colpiranno in Lombardia
(dove lavora il 25% dei dipendenti pubblici), il Trentino e il Lazio con
il 19% e il 18% di dipendenti in eccesso. In Calabria gli uffici sono
invece sotto organico del 23%.
Una controprova che l'austerità di Stato continuerà
la offre il «rapporto Giarda» sulla spending review (ne abbiamo parlato
su il manifesto del 20 marzo). Ci attendono nuovi tagli da 135,6
miliardi di euro sui beni e i servizi, 122,1 miliardi di retribuzioni
nel pubblico, e un altro 5,2% a scuola e università che dal 2009 hanno
già perso quasi 10 miliardi di euro. Sono previsti tagli del 33,1% alla
spesa sanitaria, oltre a un'altra sforbiciata del 24,1% agli enti
locali, già taglieggiati dal patto di stabilità interno.
Che fine fanno queste risorse finanziarie? Dovrebbero
ripianare il debito, che però è aumentato nell'ultimo anno di 19
miliardi. È probabile che anche i prossimi tagli sulla pubblica
amministrazione avranno lo stesso effetto. Questa è la regola
dell'austerità: più tagli il debito (Monti l'ha fatto per 21 miliardi in
400 giorni), più il debito cresce a causa degli interessi pagati dallo
Stato, mentre l'«efficienza» della spesa pubblica tagliata non migliora,
deprimendo gli stipendi dei dipendenti (fermi al 2000 e in diminuzione
dello 0,8% rispetto al 2011 e di un altro 0,5 e l'1% nel 2012). Nel
privato, invece, sono aumentate del 2,1% negli ultimi 11 anni dove però
l'Aran registra un calo dell'occupazione.
Siamo in un circolo vizioso, ma c'è chi ancora pensa
di reinvestire i «risparmi» fatti sui ministeri e gli enti locali per
finanziare il debito che la P.A. ha con le imprese (l'ha sostenuto
l'inarrestabile Gelmini a Piazza Pulita l'altra sera).
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