di Alfredo Morganti
Mio padre e mia madre erano due operai
tessili. Mia madre si licenziò per accudire a una famiglia allargata e
numerosa. Mio padre, dopo una fase di scioperi e occupazioni, fu
licenziato. La lettera di benservito arrivò a Natale. Mio fratello più
piccolo aveva solo tre mesi. Furono licenziati anche mio nonno, che era
nella commissione interna, e tutti gli altri membri della mia famiglia.
Fu un Natale molto triste e molto povero, come quelli degli anni
successivi, d’altronde. Non c’era statuto dei lavoratori, non c’era
articolo 18, non c’era Renzi – c’erano i padroni dalle belle braghe
bianche, come dice Scalfari, che avevano mano libera. E non eravamo in
un periodo di crisi, ma in pieno boom. Non c’era alcuna scusante.
Queste cose le ho già raccontate. Le
ricordo solo per dirvi come mi sono sentito ieri, quando guardavo le
scene di manganellamento a Roma. Ho pensato che tra quegli operai poteva
esserci mio padre, o mia madre, o mio nonno. Poteva esserci la mia
famiglia e solo perché i suoi componenti si trovavano lì a difendere il
posto di lavoro. Non una ricca carriera professionale, non una possibile
carriera politica, né un patrimonio incommensurabile, tanto meno chissà
quali augusti e dorati privilegi. Solo un posto di lavoro, roba da
1000-1300 euro al mese. Spicci per taluni. E stavano lì con la loro
dignità, non avevano il cappello in mano. Perché si può perdere il
lavoro, ma mai la dignità. Non erano provocatori, sabotatori, black
block, facinorosi. Erano in gran parte padri di famiglia, genitori,
giovani, ragazzi che a 20 anni fanno i metalmeccanici, non i blogger, o i
comunicatori, o i consulenti mediali, o i vattelappesca, ma gli operai,
gente che oggi è considerata niente più che uno spettro sociale,
fossili di altre ere, figure ininfluenti, non spendibili né gettonabili
(vuoi mettere a confronto il cosmopolita, il social influencer, il ricco
finanziere, vuoi mettere avere una pagina FB con 5000 amici, vuoi
mettere l’agenzia di comunicazione che ti fa bucare il video, vuoi
mettere?).
[Ecco, mai come in questo caso vale la
memo: “non dimenticheremo”. Perché anche coltivare la memoria è
questione di dignità. E non nascono rami se le radici sono tagliate.
Mentre a un albero i rami rispuntano sempre, e spesso più forti e più
carichi di quelli precedenti. Ci sono anche generazioni che non danno
frutti.]
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