martedì 18 aprile 2017

Per la crescita occorrono investimenti pubblici, non incentivi

Intervista a Vincenzo Visco di Roberto Ciccarelli 13 aprile 2017
Il cuneo fiscale in Italia è di 10 punti superiore a quello che si registra nel resto dell’Ue: il 49% viene prelevato a titolo di contributi e di imposte. Per l’Ocse l’Italia è al quinto posto per peso delle tasse sui salari. A Vincenzo Visco, docente di scienze delle finanze alla Sapienza di Roma e già ministro dell’economia e delle finanze nei governi Prodi e D’Alema, chiediamo come si è creata questa situazione. «Il problema delle tasse sul lavoro e sui salari è oggettivo, ma non è questione rilevante per l’economia italiana in questa fase – risponde – Non c’è domanda e quindi si possono dare tutti gli incentivi che si vogliono, ma investimenti e occupazione non aumenteranno. Questo è il dato rilevante. Sui dati vorrei evitare di drammatizzare.
Non dobbiamo ragionare sulla Slovenia o sulla Lituania, ma su paesi paragonabili al nostro. I dati dicono che siamo sotto, o non molto distanti, rispetto a Francia e Germania». Se escludiamo i contributi sociali che finanziano le pensioni – che non sono tasse vere e proprie, ma una forma di risparmio forzato a beneficio di chi ha pagato – abbiamo un peso fiscale sotto il 30 per cento.
A sinistra si pensa che le tasse servano a finanziare i servizi pubblici che da tempo subiscono tagli. Dove finiscono questi soldi?
Spendiamo fino a sette punti di Pil in sanità, cinque per l’istruzione e paghiamo più di altri gli interessi sul debito pubblico. La mancanza delle risorse è dovuta al fatto che non cresciamo da molti anni. Questo è un problema strutturale dell’economia italiana e non può essere limitato al costo del lavoro. Il problema è l’austerità. Tutti quelli che parlano della necessità di ridurre le tasse vogliono la riduzione del welfare. Questo non accade solo in Italia. Pensi ad esempio a Trump. Le sue posizioni sono chiarissime: tagliare le tasse ai ricchi e alle imprese e allo stesso tempo tagliare la spesa sanitaria e privatizzare l’istruzione. Lo scontro politico di fondo è sulle risorse che vanno a coloro che hanno meno mezzi e a coloro che ne hanno di più. Poi, certo, si devono recuperare le inefficienze della spesa, evitare gli sprechi, migliorare il settore pubblico. Fermo restando che il sistema del nostro Welfare è sviluppato, anche se inferiore ad altri paesi.”
Il governo Renzi ha distribuito a pioggia 21 miliardi di euro in bonus fiscali e sgravi. Perché non ha scelto una misura strutturale per abbassare il cuneo fiscale? 
Perché è stata adottata una politica dell’offerta che non è adeguata alla situazione che stiamo vivendo. Aggiungo che è anche una politica che, retrospettivamente, non sembra avere prodotto molto consenso per chi l’ha proposta. Come centro studi Nens abbiamo presentato un rapporto sulla finanza pubblica dove abbiamo simulato gli effetti degli investimenti delle risorse disponibili sulle opere pubbliche ad alto moltiplicatore e non per sterilizzare le clausole di salvaguardia.”
Qual è stato il risultato?
Avremmo avuto un tasso di crescita doppia, un disavanzo per l’anno passato di 1,6% invece dell’1,4% e una riduzione del debito di due punti e mezzo. E poi, se si affrontasse in modo serio l’evasione fiscale, avremmo le risorse per redistribuire.”
Il governo Gentiloni punta sul recupero dell’evasione fiscale e ha ricordato il record di 19 miliardi di euro raggiunto l’anno scorso…
Sono sciocchezze. Dentro quella cifra ci sono i 4-5 miliardi della voluntary disclosure, si tratta di una normale attività di controllo dell’amministrazione. Finché non avremo ridotto l’enorme ammontare di evasione strutturale, pari ad almeno 140 miliardi, non vedremo mai una soluzione. Questi 140 miliardi sono costanti e, anzi, tendono a aumentare. Sarebbe consigliabile evitare la propaganda per convincere la gente che si stanno facendo interventi risolutivi ed efficaci.”
Nel nuovo documento di economia e finanza il governo Gentiloni ha promesso di ridurre la pressione fiscale e tagliare il cuneo fiscale. In concreto c’è una decontribuzione per i neo-assunti under 35. La ritiene sufficiente?
Non credo che sarà utile. Il fatto che abbiano messo un limite di età significa che quando il lavoratore avrà superato l’età sarà licenziato e, al suo posto, sarà assunto un altro che porterà altri sgravi fiscali. Questo non è il modo di affrontare il problema. Non è con gli incentivi che si recuperano gli investimenti privati. Non funziona così. Le imprese investono se possono vendere. Qui invece si vuole fiscalizzare una parte del costo del lavoro a beneficio delle imprese.”
Nella «manovrina» ci sarà qualcosa di positivo a suo avviso?
Lo split payment. Una proposta che abbiamo avanzato cinque anni fa e permette un recupero dell’evasione.”

venerdì 14 aprile 2017

22 aprile a Pontida.

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Anche Rifondazione Comunista aderisce all’appello lanciato dalle realtà di movimento napoletane e invita compagne e compagni a partecipare e a promuovere la manifestazione a Pontida del 22 aprile. Le adesioni, a una settimana circa dall'evento sono alcune centinaia (qui di seguito la lista).

Intanto, con una ordinanza urgente voluta dal sindaco leghista della cittadina bergamasca Luigi Carozzi Pontida il 22 sarà una città spettrale. Il primo cittadino ha blindato la citta' in vista della 'Giornata antirazzista, migrante e meridionale' organizzata dai militanti dei collettivi partenopei: chiusura delle scuole, dei negozi, degli uffici, del traffico, un giorno di ferie obbligatorie per i dipendenti comunali e addirittura la chiusura del cimitero e dell'isola ecologica. Un coprifuoco per limitare i danni del "vandalismo" dei "possibili atti criminosi". Matteo Salvini, leader della Lega Nord, intervenuto ai microfoni dei cronisti in piazza della Scala, plaude all'iniziativa del primo cittadino, perche' "quando ci sono di mezzo i centri sociali sappiamo che non sempre l'ordine pubblico e' garantito" dice. Dunque, "visti i casini che fanno gli anarchici e i centri sociali quando vanno in giro per l'Italia e per il mondo, fa bene il sindaco di Pontida a cautelarsi- ribadisce in conclusione- mentre io personalmente quel giorno saro' da tutt'altra parte".

Pronta la risposta degli organizzatori: "È davvero curioso, quanto estremamente fastidioso, il modo in cui la giunta leghista del sindaco Carozzi interpreta la propria funzione istituzionale che dovrebbe essere ispirata se non alla civilta' e al buon senso, almeno al dettato costituzionale - aggiungono -. È curioso che un concerto in piazza per promuovere gli ideali della solidarieta' e del rifiuto del razzismo sia bollato con tanto di ordinanza sindacale come invasione quasi terroristica, che mette a repentaglio la sicurezza del territorio. Noi a Pontida stiamo organizzando una grande festa, un evento culturale che non ha precedenti e che e' completamente gratuito: in che senso, ci chiediamo, l'antirazzismo e' una minaccia per l'incolumita' di Pontida?".

"Avevo pensato che fosse uno scherzo". Cosi' Luigi de Magistris commenta l'ordinanza di Carozzi. Il sindaco di Napoli, a margine della cerimonia di deposizione di fiori alla cappella de Curtis, in occasione del 50 esimo anniversario della scomparsa del principe della risata, ha aggiunto: "Teme che arrivino i Lanzichenecchi? O forse un'invasione barbarica?". "Dalle 8.00 alle 24.00 - dice de Magistris - ha chiuso scuole ed isole ecologiche, il cimitero e gli uffici pubblici, come il centro storico. Non so se sorridere piangere. Ma visto che in questi giorni noi ricordiamo Toto', con un'espressione un po' amara, credo la risposta migliore da dare a questo sindaco sia un sorriso".

Questo è il testo dell’appello è l’elenco delle prime adesioni.
Pontida, il pratone dello storico raduno antimeridionale e razzista, il “sacro suolo” dove per anni si è tenuto quel grottesco rito di celebrazione di una strana e indefinita razza settentrionale… proprio lì stiamo andando con musica, allegria e tanta cultura terrona per liberare la cittadina padana dallo stigma razzista che da quasi trent’anni le pesa sulla testa!
Tutte e tutti a Pontida per chiarire un concetto semplice: le idee di odio razziale non hanno alcuna casa, non possono avere roccaforti o luoghi simbolici, mentre abitano ovunque le idee di inclusione, solidarietà tra popoli, emancipazione!
È per questo che proprio Pontida sarà il ritrovo, il prossimo 22 aprile, di antirazzisti ed antirazziste di tutta Italia: incontriamoci qui, cittadini di cento città, per celebrare una bellissima e festosa giornata di orgoglio migrante e terrone!
La sfida che rilanciamo con questo appello ha probabilmente una portata storica nel momento di massima recrudescenza dei fenomeni di intolleranza e di così significativa crescita delle destre xenofobe in tutta Europa.
Siamo convinti che le due anime del fenomeno leghista, la pantomima social del leader Salvini da un lato e dall’altro le reali pulsioni di odio e istigazione alla violenza palpabili nel discorso pubblico dei militanti di base del partito, vadano smascherate una volta e per sempre: dove farlo, se non in quel luogo che per anni ha ospitato, accolto e rilanciato insulti e offese nei confronti di quei “terroni parassiti” che sfruttavano le risorse del “nord produttivo”?
Per questo vogliamo andare a Pontida!
Innanzitutto per sfidare le narrazioni di chi prova a contrapporre Nord contro Sud, Italiani contro Migranti, Uomini contro Donne, Eterosessuali contro Omosessuali.
Vogliamo andare a Pontida contro tutti quelli che fomentano, nel nostro paese ed altrove, la guerra tra poveri, provando a convincere la parte più debole della popolazione che il loro nemico non è in alto, non è nei pochissimi che detengono enormi capitali finanziari, che sfruttano i nostri territori, che si godono la propria ricchezza al sicuro nei Paradisi Fiscali, ma invece in chi è ancora più in basso, in chi è ancora più debole.
Vogliamo andare a Pontida perché la libertà di espressione non è un gioco fatto per i social network: essa è invece la libertà di contestare il potere, la libertà di opporsi allo sfruttamento, la libertà di dire che il mondo di povertà e morte che stanno costruendo non è l’unico mondo possibile.
Lanciamo questo appello alle donne e agli uomini che non ci stanno a farsi etichettare come “italiani, dunque razza superiore”. A tutti quelli che tutti i giorni si battono per costruire un mondo più giusto. Alle scuole di italiano per migranti, alle associazioni di base, agli operatori culturali, ai collettivi studenteschi, ai centri sociali, ai fuorisede, alla generazione precaria costretta a lasciare la propria terra, a chi difende i diritti dei lavoratori e non crede che questa difesa passi per la distruzione di diritti di altri, ancora più precari, ancora più affamati, agli artisti.
Alle persone che non pensano che il mondo appartenga ai Salvini, ai Trump, ai Le Pen ed ai Minniti di turno, ma invece a chiunque voglia attraversarlo, viverlo, prendersene cura.
Il 22 aprile deve essere la giornata di festa di quella parte del paese fieramente antirazzista, fieramente multietnica, fieramente migrante.
Dateci una mano, facciamo circolare l’appello, organizziamo quest’evento a partire dai nostri territori e dimostriamo coi fatti che il loro futuro di odio e di barbarie non è già scritto!

Per adesioni: pontida22aprile@gmail.com

Promotori: Agire nella Crisi, Insurgencia

Primi Firmatari: AfroNapoli United, Ambasciata dei diritti (Marche), Antifa bull’s boxe (Milano), ArtLab occupato (Parma), ASC-Assemblea Sociale per la Casa (Venezia), ASD La Paz Antirazzista (Parma), Associazione Noi Genitori di Tutti (Caivano-NA), Ass. Yabasta! (Marche), Associazione Ya Basta! Êdî Bese!, Atletico no borders (Fabriano), Atletico rebelde (Fano-PU), Black Panthers (Milano), Campagna #overthefortress, Casc Lambrate (Milano), Collettivo politico-culturale Città Visibile (Orta di atella-CE), Collettivo sociale Pueblo (Casalnuovo di Napoli), Collettivo universitario L.i.S.C. (Venezia), Collettivo SPAM (Padova), Comitato di lotta per l’ospedale Ascalesi – Napoli, Coordinamento studenti medi San Dona’ di Piave (VE), Coordinamento studenti medi Vicenza, Coordinamento studenti medi Trento, Crabs – basket antirazzista (Venezia), Giovani liberi per Caivano (NA), Kascina Autogestita Popolare (Bergamo), Laboratorio Sociale Millepiani (Caserta), Leoncavallo SPA (Milano), LUME (Milano), Mercato bio mezza canaja (Senigallia-AN), Movimento studentesco Chioggia (VE), Pacì Paciana (Bergamo), Palestra popolare rivolta (Marghera-VE), Polisportiva antirazzista Ackapawa (Jesi-AN), Polisportiva antirazzista Assata Shakur (Ancona), Polisportiva Clandestina (Trento), Polisportiva Indipendente (Vicenza), Polisportiva Sans Papier (Schio-VI), Polisportiva San Precario (Padova), Portici città ribelle (NA), progetto Melting Pot Europa, Progetto Talking Hands (Treviso), Rete Commons, Rete di cittadinanza e comunità – Terra dei fuochi, Scuola di italiano No Border (Milano), Scuola di Italiano LiberaLaParola (Padova), Spazio Itaca (Portici-NA), Zona 8 Solidale (Milano)
Altre adesioni (in aggiornamento): Abareka Nandee (Milano), Alfabeti Union (Milano), Ambrosia (Milano), ANPI sez. Afragola-Casoria (Napoli), ASD RFC Lions Ska (Caserta), Assemblea Popolare Rione Libertà (Benevento), Associazione C.A.R.L (Cittadinanza Attiva Rione Libertà – Benevento), Associazione Dax16marzo2003 Milano,Black Lions (Milano), Brigata Dax F.C. (Milano), Briganti Fuorigioco (Milano), Brigata Prostata (Milano), Carovane Migranti (Torino), Casa delle Culture (Trieste), Circolo ARCI Area Carugate (Milano), Chioggia Accoglie (Venezia), Cobas Napoli, Collettivo Autonomo Studentesco Benevento (BN), Collettivo Autonomo Tenca (Milano), Collettivo Exit (Barletta), Collettivo Porco Rosso (Siena), Comitato Lombardo Antifascista, Commissione audit sul debito pubblico di Parma, Corelli Boys (Milano), Csa Magazzino 47 (Brescia), Internazionale Trash Ribelle, Hopeball No Borders League (Milano), LA Tenda (Milano), Liberacittadinanza (Parma), Link Fisciano (SA), Mamme Vulcaniche (Terzigno-NA), MACAO (Milano), Memoria Antifascista (Milano), MilanoinMovimento, MO Unione Mediterranea – Circolo “Ulisse” (Lombardia) e “Piemonte Orientale”, Movimento di Lotta per la Casa (Benevento), NAGA (Milano), Osservatorio democratico contro le nuove destre, Osservatorio novarese sulle nuove destre, Partito Rifondazione Comunista Milano, Ponte della Ghisolfa (Milano), RadioNoBorder (Milano), Refugees Welcome to Trieste, Rete Studenti Milano, Richiedenti Terra (Trento), Somali Stars (Milano), Soy Mendel (Milano), Spazio Salute Popolare (Padova), Terra Rossa (Lecce), Unione Inquilini Milano, ZAM (Milano)

Adesioni singole: Marco Armiero (Direttore dell’Environmental Humanities Laboratory, KTH Royal Institute of Technology, Svezia), Stefania Barca (ecologia politica, Centre for Social Studies, University of Coimbra), Roberto Cantoni (Sciences Po Paris), Giacomo D’Alisa (Università Autonoma Barcellona), Angelo Genovese (Università degli Studi di Napoli Federico II), Gaia Giuliani (Centre for Social Studies – University of Coimbra), Ilenia Iengo (KTH Royal Institute of Technology – Sweden), Serenella Iovino (Università di Torino), Emanuele Leonardi (Centre for Social Studies – University of Coimbra), Antonello Petrillo (Università degli Studi Suor Orsola Benincasa – Napoli), Ethmecan Turhan (KTH Royal Institute of Technology – Sweden), Daniele Valisena (KTH Royal Institute of Technology – Sweden), Massimo De Angelis (University of East London), Marco Salvatore Engel-Di Mauro (State University of New York at New Paltz, US), Giovanni Bettini (University of Lancaster), Salvatore Paolo De Rosa (Lund University, Sweden)

L’Unione Europea della finanza e dei mercati è fallita: Costruire il terzo polo antiliberista di Paolo Ferrero


L’Unione Europea della finanza e dei mercati è fallita: Costruire il terzo polo antiliberista


di Paolo Ferrero – Confronti -

La questione dell’Unione Europea è il punto fondamentale di discussione sul nostro presente e sul nostro futuro. Per poterla impostare correttamente a mio parere occorre in primo luogo evitare di scambiare la rappresentazione mediatica con la realtà stessa. Questo su più versanti.
Per non fare che alcuni esempi, fino a qualche anno fa il teatro della politica appariva diviso tra popolari da un lato e socialdemocratici dall’altra. Oggi larga parte del discorso pubblico è determinato dalla destre populiste, che dettano l’agenda del discorso politico, come se avessero una forza propria, come se interpretassero lo spirito del tempo. Uscendo dal terreno politico e andando su quello economico ci dicono che non ci sono i soldi e l’Europa viene dipinta come un vaso di coccio tra i vasi di ferro della Cina e degli USA, come se l’Europa dovesse adeguarsi alle regole dettate dagli altri e fare di necessità virtù.
Io penso che queste letture sono fuorvianti e vorrei demistificare brevemente alcuni luoghi comuni.
In primo luogo la contrapposizione tra socialdemocratici e popolari negli anni è stata fittizia. Questa Europa è stata costruita insieme da socialisti, popolari e liberali che hanno varato congiuntamente tutti i trattati, da maastricht a lisbona fino al fiscal compact. Per non fare che un esempio, quando è stato fatto il trattato di Maastricht che costituzionalizza il neoliberismo, la maggioranza dei governi europei era a guida socialista. Socialisti, liberali e popolari non sono partiti portatori di ipotesi politiche diverse ma rappresentano sensibilità diverse dello stesso disegno politico, sociale ed ideologico. L’economia sociale di mercato è l’ideologia condivisa da tutte queste famiglie politiche. L’economia sociale di mercato è la formula propagandista con cui viene coperta la politica ordoliberista che è il vero collante del centrismo a geometria variabile che caratterizza il governo di quasi tutti i paesi europei in tutti questi decenni. La prima finzione è quindi la contrapposizione tra centro destra e centro sinistra: lo schema della grande coalizione – da noi del governo Monti – non è un incidente di percorso ma una soluzione fisiologica.
Questo schieramento politico a geometria variabile che ha costruito questa Europa è il responsabile delle politiche liberiste che stanno producendo un netto peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro nel continente. In particolar stanno producendo una aumento esponenziale della paura nel futuro a causa dell’attacco congiunto sul lavoro e sul welfare. In questi anni infatti, per la prima volta nella storia degli ultimi due secoli, stanno distruggendo contemporaneamente i diritti del lavoro e i diritti sociali. Si badi, per aver chiaro cosa intendo dire, che il fascismo distrusse i sindacati, ridusse i salari aumentando gli orari di lavoro, abolì le libertà politiche ma nel contempo costruì elementi di tutela sociale del lavoro sul piano statale e paternalista. Lo stesso fece Bismark nella seconda metà dell’800: mentre metteva fuori legge le organizzazioni operaie e socialiste, introduceva il sistema pensionistico. Oggi invece l’attacco avviene su tutti i livelli trasformando la vita di milioni di persone in una lotteria e questo attacco avviene in nome di una emergenza: “non ci sono i soldi!”
Non ci sono i soldi per la sanità, per l’istruzione, per pagare i lavoratori: tutto deve essere tagliato in nome della competitività tra imprese e tra sistemi.
Dentro questa lotteria, dentro questo “vivere pericolosamente” crescono le destre populiste con una ragionamento molto semplice: “se non ci sono i soldi, prima utilizziamoli per i “nostri” e poi per gli altri.” Questo semplice ragionamento individuai i nostri sulla base della comune appartenenza ad un territorio o ad una nazione, al comune colore della pelle, al comune riferimento religioso. Prima i nostri diventa così prima i padani e poi prima gli italiani. Il nazionalismo e il razzismo che ne deriva sono quindi giustificati non in nome di una gloriosa tradizione ma in nome della “difesa dei nostri poveri”. Non è il nazionalismo borghese o aristocratico quello che sta risorgendo in Europa, è il nazionalismo fascista in cui si aggrediscono gli altri perché siamo minacciati, per difenderci. Ci stanno invadendo e prima i nostri sono le parole d’ordine di queste destre razziste.
E’ del tutto evidente che queste destre razziste non hanno forza propria ma sono il sottoprodotto barbarico della paura prodotto dalle politiche neoliberiste. E’ il neoliberismo cosmopolita che produce il nazionalismo razzista. E’ la politica di Matteo Renzi che produce consenso alla politica di Matteo Salvini. 

Il punto fondamentale è che l’assunto originale e fondativo da tutti accettato – da Renzi come da Salvini – che non ci sono i soldi, è falso. I soldi ci sono e sono tanti, così tanti che sono utilizzati in larga parte nella speculazione finanziaria, cioè in una specie di lotteria per soli ricchi. I soldi ci sono e sono mal distribuiti se è vero che 8 persone nel mondo possiedono una ricchezza pari a quella di 3,5 miliardi di poveri. I soldi ci sono perchè la BCE è in grado di finanziare a gratis le banche private con il Quantitative Easing – decine di miliardi al mese da anni – mentre non ci sono i soldi per la sanità.
Abbiamo quindi un centro destra e un centro sinistra che sono apparentemente contrapposte ma in realtà condividono le stesse politiche economiche e sociali. Adesso abbiamo una contrapposizione tra democratici e razzisti ma è del tutto evidente che i fascisti crescono a partire dai disastri delle politiche liberiste volute dai democratici e che tutti condividono l’idea che i soldi non ci sono e che quindi occorra fare la guerra tra i poveri: dalla concorrenza economica priva di limiti al razzismo il passo è breve…
Mi fermo qui perché a me pare che da queste brevi note emerge con chiarezza quale è la strada da percorrere: “se le politiche neoliberiste producono le paure delle quali si nutrono le destre razziste, per sconfiggere le destre razziste occorre sconfiggere, da sinistra, le forze centriste che praticano il liberismo.”

Il nodo che abbiamo dinnanzi è quindi quello di costruire un terzo polo politico che si ponga l’obiettivo di sconfiggere il neoliberismo e quindi di redistribuire reddito e lavoro, sviluppare il welfare e praticare una riconversione ambientale dell’economia. Per evitare la guerra tra i poveri occorre redistribuire la ricchezza dall’alto in basso e obbligare la BCE a usare il denaro non per il sistema finanziario ma per i popoli, per finanziare il welfare, la riduzione dell’orario di lavoro, la riconversione ambientale dell’economia, il reddito minimo per i disoccupati. In altri termini il problema politico è quello di non farsi abbagliare dallo scontro tra liberisti cosmopoliti e nazionalisti razzisti, tra Merkel e Le Pen, perché solo sconfiggendo da sinistra le Merkel è possibile togliere l’acqua in cui nuota la Le Pen.
Costruire quindi un fronte antiliberista egualitario, che metta al centro il diritto al lavoro e i diritti del lavoro, che coniughi diritti sociali e civili è il nostro compito.
Questo terzo polo occorre costruirlo a livello nazionale ed a livello europeo, perché solo a livello europeo è possibile avere la forza per esercitare sul capitale la sovranità necessaria a piegarlo alla volontà dei popoli. La sovranità popolare può e deve essere ricostruita, non tornando ai sacri confini ma costruendo l’altra Europa.

Alberto Garzón: «Il PCE della transizione si è illuso e ha illuso i militanti»


Alberto Garzón: «Il PCE della transizione si è illuso e ha illuso i militanti»


Pubblichiamo un’intervista uscita nei giorni scorsi al compagno Alberto Garzon, Coordinatore Federale di Izquierda Unida e deputato di Unidos Podemos.


È diventato marxista studiando il capitalismo, ma è entrato in collisione con la cultura politica del ‘partito verticale’ del vecchio PCE. Il giovane leader di Izquierda Unida crede che siano passati gli anni in cui definirsi comunista rappresentava un limite per intervenire in politica.
Nell’ufficio di Alberto Garzón al Congreso non ci sono bandiere rosse né simboli d’ispirazione comunista. Solo una bandiera della Repubblica richiama l’attenzione sulla sua scrivania. Quelli che lo accusano di avere liquidato la memoria del PCE per allearsi con Podemos troveranno coerenti le sue riserve rispetto alla liturgia del vecchio partito, con il passato del quale è molto critico. Ma senza dubbio si sorprenderanno ad ascoltarlo: ecco un comunista di 31 anni che vuole riportare nelle piazze la lotta del marxismo.
Perché è diventato comunista?
Il mio caso è stato tardivo e raro. La maggior parte della gente della mia età ha aderito seguendo le orme dei genitori. I miei votavano Izquierda Unida, ma non militavano nel partito. Durante l’adolescenza ho cominciato a muovermi nello spazio della sinistra progressista e a 17 anni mi sono iscritto a IU. Da quel momento ho fatto un percorso contrario a quello normale e sono passato dal repubblicanesimo democratico al comunismo più radicale. A 20 anni sono entrato nelle Juventudes Comunistas dopo avere letto una biografia di Julio Anguita.
Cosa aveva scoperto?
In Anguita avevo visto un impegno  politico con il quale mi identificavo. Capii che queste idee che anch’io condividevo potevano diventare pratica se la gente si impegnava. Curiosamente, questo mi è successo mentre studiavo Economia all’Università di Malaga. Lì insegnano il funzionamento del capitalismo per ottimizzarlo, ma io scoprii che queste teorie erano fantasie che non corrispondevano alla realtà, che la vita la spiegavano meglio i testi di Marx. Sono diventato comunista studiando il capitalismo. Ma non ho voluto limitarmi ad analizzare il marxismo, ho puntato a lavorare per realizzare queste idee. Per questo mi sono iscritto.
Cosa trovò nel partito?
Una marea di famiglie che interpretavano il comunismo ognuna a modo suo. Avevamo discussioni lunghissime sulla rivoluzione del 1917, la primavera di Praga, la caduta del muro di Berlino, il carrillismo… Io venivo dal movimento libertario e dalla democrazia radicale, così ho contestato il modello verticale e centralista che imperava nel partito. La mia analisi era molto critica perché trovavo discutibili molti momenti della storia del PCE.
Per esempio?
Il suo ruolo nella Transizione. Il PCE ha commesso l’errore di razionalizzare la sua sconfitta. Sapeva di non avere ottenuto quello per cui lottava, ma si illuse e illuse i militanti dicendogli che la Costituzione del ’78 era il cammino per il socialismo. Da quel momento il partito adottò una strategia conservatrice con un accento fortemente istituzionalista e moderò il suo discorso per competere alle elezioni. Rinunciò al leninismo, accettò la bandiera monarchica e firmò i Patti della Moncloa, che furono le prime misure neoliberali assunte nella Spagna democratica.
Carrillo non avrebbe dovuto firmare quei Patti?
Non concordo con quanti dicono che Carrillo fu un traditore del comunismo, ma credo che abbia sbagliato a puntare sulla moderazione. I rapporti di forza erano quelli che erano, c’era un clima di violenza insopportabile e si fece ciò che si poteva, però se chiedi dieci non puoi accontentarti di cinque. Carrillo pensò che se si mostrava responsabile avrebbe potuto cancellare l’immagine che il franchismo aveva creato del comunismo, ma fu una trappola. I militanti non si identificarono in questo discorso e nel giro di due anni passammo da 200.000 iscritti alla metà.
È arrivato a parlare di tutto questo con Carrillo?
Ci siamo ritrovati un paio di volte e l’ho sempre trattato con grande rispetto. Mi sembra ingiusto che la memoria di questo paese l’abbia equiparato a Fraga, mettendo un combattente contro la dittatura sullo stesso piano di qualcuno che giustificava la repressione, ma questa è un’altra conseguenza della cultura della Transizione, che si è basata sull’oblio. Nel giro di poco tutti eravamo fratelli e nessuno parlava di quello che era successo. Non si poteva dire che Suarez era stato un leader falangista né che Fraga era stato il ministro che aveva giustificato la fucilazione di Grimau. La Transizione impose questo silenzio, e Carrillo fu uno dei promotori di questa cultura.
Anguita, il suo punto di riferimento, vedeva i sondaggi e diceva «non amatemi così tanto, piuttosto votatemi di più». Perché il comunismo non ha legato con l’elettorato di questo paese?
Per il potere economico il comunismo è sempre stato un incubo. C’è chi ritiene che con questa paura abbiamo svolto la nostra missione, perché così i capitalisti sono più sensibili alle richieste dei lavoratori. Il potere economico ha promosso una propaganda anticomunista che ci dipinge come diavoli con corna e coda piombati sulla società. Proprio oggi, in una commissione del Congreso (meglio dire parlamento altrimenti qualche italiano pensa che è stato nel congresso del partito), mi hanno chiamato per tre volte “comunista” pensando di offendermi.
Però nemmeno il comunismo è stato in grado di contrastare questa strategia. L’unica forma che c’è per lottare contro la propaganda anticomunista è costruendo un tessuto sociale attraverso la pratica politica. I comunisti italiani l’hanno fatto per anni. Hanno creato associazioni di quartiere, di ateneo (ateneo è qualcosa di analogo alla casa del popolo, soprattutto nella tradizione anarchica, ndt), circoli sportivi e perfino bar comunisti che dimostravano che la società poteva organizzarsi in un altro modo. Anche il PCE l’ha fatto durante la dittatura, ma all’arrivo della democrazia ha rinunciato a questa strategia e ha dedicato tutti i suoi sforzi alla competizione elettorale. Come risultato, il partito e le piazze si sono allontanate, e le classi popolari hanno smesso di votare per i partiti che dicono di rappresentarle.
Non è paradossale?
Sì. Secondo tutti gli studi l’elettore maggioritario di IU, PSOE e Podemos viene dal ceto medio illuminato. Dove stanno quelli a cui è stato tolto tutto? La sfida per la sinistra di questo paese è risolvere questo dilemma se non vogliamo trovarci come in Francia, dove i figli dei lavoratori comunisti degli anni ’70 che hanno sofferto la deindustrializzazione liberista degli anni ’80 e ’90 si vedono senza industrie in cui lavorare e abbracciano il discorso fascista di Le Pen. Essere comunista oggi non consiste nel votare per un partito che chiede di nazionalizzare le grandi imprese, consiste nel costruire una rete sociale, vuol dire attivismo.
Cosa ne pensa del fatto che la vecchia guardia del PCE la accusa di avere seppellito il comunismo per allearsi con Podemos?
Curiosamente i più anziani capiscono il concetto di Unidad Popular meglio di quelli cresciuti durante la Transizione. Il vecchio movimento operaio pensava alla classe sociale, non al partito. Quelli che si sono formati nella cultura della Transizione hanno avuto l’ossessione dello strumento, si chiamasse esso PCE o IU, e hanno cominciato a vederlo con un’ottica imprenditoriale. Il loro unico obiettivo era massimizzare i risultati elettorali. Precisamente questi sono i più critici verso Unidos Podemos.
Per realizzare il suo obiettivo politico crede che sia un vantaggio o uno svantaggio presentarsi come comunista? Abbiamo sostenuto per lungo tempo che dire di essere comunisti fosse uno svantaggio. Ai tempi di Carrillo la si pensava così, per questo provavano a non sembrarlo e hanno perso la battaglia culturale. Essere comunista equivaleva ad essere difensore della democrazia e nulla di più. Ho la sensazione che questa idea stia cambiando. Poco tempo fa ad una  conferenza sul marxismo all’Universidad Complutense sono venuti 1300 giovani ad ascoltarmi. I vecchi dicevano di non avere mai visto niente di simile dall’inizio della democrazia. Questo recupero si sta dimostrando possibile perché oggi rivendichiamo il fatto di essere comunisti, perché non ci nascondiamo più.
Celebreremo il cinquantesimo anniversario della legalizzazione del PCE o nel giro di dieci anni parleremo di altre sigle?
Il comunismo continuerà ad avere significato finché non supereremo il capitalismo. L’ultimo dei problemi è lo strumento per raggiungerlo, si chiami esso PCE, IU, Podemos o Unidad Popular. Il Partito Comunista, per come lo concepisco io, dovrebbe incaricarsi di costruire questa nuova società, ma deve farlo dal basso, cominciando dalla strada. Parlo di un progetto a lungo termine. E di una battaglia politica, perché dentro il partito non tutti la pensano in questo modo.
traduzione di Mauro Azzolini – brigata traduttori

giovedì 13 aprile 2017

I muri sopra, le crepe in basso…Un intervento zapatista dalle montagne del sud-est messicano


I muri sopra, le crepe in basso…Un intervento zapatista dalle montagne del sud-est messicano       
La tormenta sul nostro cammino.
Per noi, popoli originari zapatisti, la tormenta, la guerra, c’è da secoli. Arrivò nelle nostre terre con la menzogna della civilizzazione e della religione dominanti. Allora, la spada e la croce dissanguarono la nostra gente.
Col passare del tempo, la spada si è modernizzata, e la croce è stata detronizzata dalla religione del capitale, ma si è continuato a chiedere il nostro sangue come offerta al nuovo dio: il denaro.
Abbiamo resistito, abbiamo sempre resistito. Le nostre ribellioni sono state soppiantate dalla disputa di uni contro altri per il Potere. Alcuni ed altri, sempre da sopra, ci hanno chiesto di lottare e morire per servirli, da noi hanno voluto obbedienza e sottomissione con la bugia di liberarci. Come quelli ai quali dicevano e dicono di combattere, sono venuti e vengono a comandare. Ci sono state così indipendenze e false rivoluzioni, quelle passate e da venire. Quelli di sopra si sono alternati e si alternano, da allora, per mal governare o per aspirare a farlo. E in calendari passati e presenti, la loro proposta continua ad essere la stessa: che noi, ci mettiamo il sangue; mentre loro dirigono o fingono di dirigere.
E allora ed ora, dimenticano coloro che non dimenticano.
E la donna sempre in basso, ieri ed oggi. Incluso nel collettivo che siamo stati e che siamo.
Ma i calendari non hanno portato solo dolore e morte tra i nostri popoli. Espandendo il suo dominio, il Potere ha creato nuove fratellanze nella disgrazia. Abbiamo quindi visto l’operaio e il contadino diventare tutt’uno con il nostro dolore, e giacere sotto le quattro ruote del mortale carrozzone del Capitale.
Come il Potere avanzava nel suo cammino nel tempo, sempre di più cresceva il basso, allargando la base sulla quale il Potere è Potere. Abbiamo visto allora unirsi maestri, studenti, artigiani, piccoli commercianti, professionisti, gli eccetera con nomi differenti ma identiche pene.
Non è bastato. Il Potere è uno spazio esclusivo, discriminatorio, selezionato. Quindi, anche le differenze sono state perseguite apertamente. Il colore, la razza, il credo, la preferenza sessuale, sono stati espulsi dal paradiso promesso, essendo l’inferno la loro casa permanente.
Sono seguite poi la gioventù, l’infanzia, la vecchiaia. Il Potere ha così trasformato i calendari in materia di persecuzione. Tutto il basso è colpevole: per essere donna, per essere bambin@, per essere giovane, per essere adulto, per essere anzian@, per essere uman@.
Ma, espandendo lo sfruttamento, la predazione, la repressione e la discriminazione, il Potere ha anche ampliato le resistenze… e le ribellioni.
Abbiamo visto allora, ed ora, alzarsi lo sguardo di molte, molti, muchoas. Differenti ma simili nella rabbia e l’insubordinazione.
Il Potere sa che è quello che è, solo su coloro che lavorano. Ha bisogno di loro.
Ad ogni ribellione ha risposto e risponde comprando o ingannando i meno, imprigionando ed assassinando i più. Non teme le loro istanze, è il loro esempio che gli fa orrore.
Non è bastato. Dominando nazioni, il Potere del Capitale ha voluto mettere l’umanità intera sotto il suo pesante giogo.
Neanche questo è stato sufficiente. Il Capitale ora vuole gestire la natura, domarla, addomesticarla, sfruttarla. Cioè, distruggerla.
Sempre con la guerra, nel suo avanzare distruttore, il Capitale, il Potere, ha prima demolito feudi e regni. E sulle loro rovine ha innalzato nazioni.
Poi, ha devastato nazioni, e sulle loro macerie ha eretto il nuovo ordine mondiale: un grande mercato.
Il mondo intero si è trasformato in un immenso magazzino di merci. Tutto si vende e si compra: le acque, i venti, la terra, le piante e gli animali, i governi, la conoscenza, il divertimento, il desiderio, l’amore, l’odio, la gente.
Ma nel grande mercato del Capitale non si scambiano solo merci. La “libertà economica” è solo un miraggio che simula mutuo accordo tra chi vende e chi compra. In realtà, il mercato si basa sulla depredazione e lo sfruttamento. Lo scambio è dunque di impunità. La giustizia si è trasformata in una grottesca caricatura e sulla sua bilancia pesa sempre di più il denaro che la verità. E la stabilità di questa tragedia chiamata Capitalismo dipende dalla repressione ed il disprezzo.
Ma neanche questo è bastato. Dominare nel mondo materiale non è possibile se non si dominano le idee. L’imposizione religiosa si è approfondita ed ha raggiunto le arti e le scienze. Come delle mode, sono nate e nascono filosofie e credenze. Le scienze e le arti hanno smesso di essere ciò che distingue l’umano e si sono collocate su uno scaffale del supermercato mondiale. La conoscenza è diventata proprietà privata, così come la ricreazione ed il piacere.
Il Capitale, così, si è consolidato come un grande tritacarne, usando non più solo l’umanità intera come materia prima per produrre merci, ma anche le conoscenze, le arti,… e la natura.
La distruzione del pianeta, i milioni di profughi, l’auge del crimine, la disoccupazione, la miseria, la debolezza dei governi, le guerre a venire, non sono il prodotto degli eccessi del Capitale, o di una conduzione erronea di un sistema che prometteva ordine, progresso, pace e prosperità.
No, tutte le disgrazie sono l’essenza del sistema. Di queste si alimenta, cresce a loro costo.
La distruzione e la morte sono il combustibile della macchina del Capitale.
E sono stati, sono e saranno inutili gli sforzi per “razionalizzare” il suo funzionamento, per “umanizzarlo”. L’irrazionale e l’inumano sono i suoi pezzi chiave. Non c’è aggiustamento possibile. Non c’era prima. Ed ora non si può più nemmeno attenuare il suo passo criminale.
L’unico modo di fermare la macchina è distruggerla.
Nell’attuale guerra mondiale, la contesa è tra il sistema e l’umanità.
Per questo la lotta anticapitalista è la lotta per l’umanità.
Chi ancora vuole “sistemare” o “salvare” il sistema, in realtà ci propone il suicidio di massa, globale, come sacrificio postumo al Potere.
Nel sistema non c’è soluzione.
E non bastano né l’orrore, né la condanna, né la rassegnazione, né la speranza che il peggio è passato e le cose non potranno che migliorare.
No. La cosa certa è che sarà sempre peggio.
Per queste ragioni, più quelle che ognuno aggiunga dai suoi particolari calendari e geografie, bisogna resistere, bisogna ribellarsi, bisogna dire “NO”, bisogna lottare, bisogna organizzarsi.
Per questo bisogna sollevare il vento del basso con resistenza e ribellione, con organizzazione.
Solo così potremo sopravvivere. Solo così sarà possibile vivere.
E solo allora, come fu la nostra parola 25 anni fa, potremo vedere che…
“Quando cesserà la tormenta,
quando pioggia e fuoco lasceranno un’altra volta in pace la terra,
il mondo non sarà più il mondo, ma qualcosa di meglio.”
La guerra e i muri di fuori e di dentro.
Se prima la sofferenza causata dalla guerra era patrimonio esclusivo del basso mondiale, ora diffonde le sue calamità.
In ogni angolo del pianeta, l’odio e il disprezzo distruggono famiglie, comunità intere, nazioni, continenti. Non è più necessario aver commesso un reato o essere un presunto criminale, basta essere sospettato di essere umano.
Provocato dall’avidità del denaro, l’incubo attuale vuole essere pagato da chi lo subisce. Le frontiere non sono più solo linee punteggiate sulle mappe e guardiole doganali, ora sono muraglie di eserciti e poliziotti, di cemento e mattoni, di leggi e persecuzioni. In tutto il mondo di sopra, la caccia all’essere umano si incrementa e si affanna in sporca concorrenza: guadagna chi più espelle, imprigiona, confina, assassina.
Come diciamo da più di 20 anni, la globalizzazione neoliberale non ha portato alla nascita del villaggio globale, ma alla frammentazione e dissoluzione del cosiddetto “Stato-nazione”. Chiamammo allora, ed ora, quel processo col nome che lo descrive al meglio: “guerra mondiale” (la quarta, secondo noi).
L’unica cosa che si è mondializzata, è stato il mercato e, con lui, la guerra.
Per chi fa funzionare le macchine e fa nascere la terra, le frontiere hanno continuato ad essere e sono quello che sono sempre state: prigioni.
Allora, la nostra affermazione, due decenni fa, provocò i sorrisi ironici dell’intellighenzia internazionale incatenata a dogmi vecchi e caduchi. Ed oggi quegli stessi balbettano davanti ad una realtà frenetica e, o suggeriscono vecchie ricette, o si adattano all’idea di moda che, dietro una complessa elaborazione teorica, nasconde l’unica cosa vera: non hanno la più remota idea di quello che sta succedendo, né di quello che seguirà, né di quello che ha preceduto l’incubo attuale.
Si lamentano. Il pensiero di sopra gli aveva promesso un mondo senza frontiere, ed il risultato è un pianeta colmo di trincee scioviniste.
Il mondo non si è trasformato in una gigantesca megalopoli senza frontiere, ma in un grande mare scosso da una tempesta che non ha precedenti di uguale grandezza. In esso, milioni di profughi (che i media vergognosamente unificano con il nome di “migranti”) naufragano su piccole barche, nella speranza di essere riscattati dal gigantesco vascello del grande Capitale.
Ma non solo non lo farà; lui, il grande Capitale, è il principale responsabile della tormenta che ormai minaccia l’esistenza dell’umanità intera.
Con la turpe maschera del nazionalismo fascista, tornano i tempi dell’oscurantismo più retrogrado che reclama privilegi ed attenzioni. Stanco di governare dalle ombre, il grande Capitale smonta le bugie della “cittadinanza” e della “uguaglianza” di fronte alla legge ed al mercato.
La bandiera di “libertà, uguaglianza e fraternità” con cui il capitalismo vestì il suo passaggio a sistema dominante nel mondo, è ormai solo uno straccio sporco e gettato nella spazzatura della storia di sopra.
Alla fine il sistema si scopre e mostra il suo vero volto e vocazione. “Guerra sempre, guerra ovunque”, recita l’emblema della superba nave che naviga in un mare di sangue e merda. È il denaro e non l’intelligenza artificiale quella che combatte l’umanità nella battaglia decisiva: quella della sopravvivenza.
Nessuno è in salvo. Né l’ingenuo capitalista nazionale che sognava la prosperità che i mercati mondiali aperti gli offrivano, né la classe media conservatrice che sopravvive tra il sogno di essere potente e la realtà di essere il gregge del pastore di turno.
Senza parlare della classe lavoratrice della campagna e della città, in condizioni ancora più difficili se ancora fosse possibile.
E, per completare l’immagine apocalittica, milioni di profughi e migranti che si accalcano alle frontiere che, all’improvviso, sono diventate reali come i muri che, ad ogni passo, interpongono governi e criminali. Nella geografia mondiale dei mezzi di comunicazione e delle reti sociali, i profughi, fantasmi erranti senza nome né volto, sono solo un numero statistico che muta la loro ubicazione.
Il calendario? Appena un giorno dopo la promessa della fine della storia, della solenne dichiarazione della supremazia di un sistema che avrebbe concesso benessere a chi lavorava, della vittoria sul “nemico comunista” che voleva coartare la libertà, imporre dittature e generare povertà, della promessa eternità che annullava tutte le genealogie. Lo stesso calendario che solo ieri annunciava che la storia mondiale era appena cominciata. Ma risulta che tutto questo non era altro che il preludio al più spaventoso incubo.
Il capitalismo come sistema mondiale collassa e, disperati, i grandi capitani non sanno dove andare. Per questo ripiegano nelle loro tane di origine.
Offrono l’impossibile: la salvazione locale contro la catastrofe mondiale. E la scemenza si vende bene tra una classe media che economicamente si fonde con quelli in basso, ma pretende di supplire alle sue carenze economiche con legittimazioni di razza, credo, colore e sesso. La salvazione di sopra è anglosassone, bianca, credente e maschile.
Ed ora coloro che vivevano delle briciole che cadevano dai tavoli dei grandi capitali, sono disperati poiché i muri si alzano anche contro di loro. E, per colmo, pretendono di essere alla testa dell’opposizione a questa politica guerriera. Così, tra la destra intellettuale vediamo fare gesti di contrarietà e tentare timide e ridicole proteste. Perché la globalizzazione non è stata il trionfo della libertà. È stata ed è la tappa attuale della tirannia e della schiavitù.
Le Nazioni non lo sono più, benché i loro rispettivi governi ancora non se ne siano accorti. Le loro bandiere ed emblemi nazionali sventolano logori e scoloriti. Distrutti dalla globalizzazione di sopra, malati dal parassita del Capitale e con la corruzione come unico segno di identità, con ridicolo affanno i governi nazionali vogliono proteggere se stessi e tentare la ricostruzione impossibile di quello che una volta sono stati.
Nel compartimento stagno delle sue muraglie e dogane, il sistema droga la mediocrità sociale con l’oppio di un nazionalismo reazionario e nostalgico, con la xenofobia, il razzismo, il sessismo e l’omofobia come piano di salvazione.
Le frontiere si moltiplicano dentro ogni territorio, non solo quelle che disegnano le mappe. Anche e, soprattutto, quelle che innalzano la corruzione ed il crimine fatto governo.
La prosperità postmoderna non era altro che un palloncino gonfiato dal capitale finanziario. Ed è arrivata la realtà a farlo scoppiare: milioni di profughi dalla gran guerra riempiono le terre e le acque, si ammucchiano alle dogane e continuano a fare crepe nei muri fatti e da fare. Animati prima dal gran Capitale, i fondamentalismi trovano terreno fertile per le loro proposte di unificazione: “dal terrore nascerà un solo pensiero, il nostro”. Dopo essere stata alimentata con i dollari, la bestia del terrorismo minaccia la casa del suo creatore.
E, sia nell’Unione Americana, che in Europa Occidentale o nella Russia neo zarista, la bestia si contorce e cerca di proteggere se stessa. Innalza lì (e non solo lì) la stupidità e l’ignoranza più grossolane e, nelle sue figure di governo, sintetizza la sua proposta: “torniamo al passato”.
No, l’America non tornerà ad essere di nuovo grande. Mai più. Né l’intero sistema nel suo insieme. Non importa che cosa facciano quelli di sopra. Il sistema è arrivato ormai al punto di non ritorno.
-*-
Contro il Capitale ed i suoi muri: tutte le crepe.
L’offensiva internazionale del Capitale contro le differenze razziali e nazionali, che promuove la costruzione di muri culturali, giuridici e di cemento e acciaio, vuole restringere ancora di più il pianeta. Vogliono creare così un mondo dove ci stiano solo quelli che sopra sono uguali tra loro.
Suonerà ridicolo, ma è così: per affrontare la tormenta il sistema non vuole costruire tetti per ripararsi, ma muri dietro i quali nascondersi.
Questa nuova tappa della guerra del Capitale contro l’Umanità deve essere affrontata con resistenza e ribellione organizzate, ma anche con la solidarietà e l’appoggio verso chi vede attaccate le proprie vite, libertà e beni.
Per questo:
Considerando che il sistema è incapace di frenare la distruzione.
Considerando che, in basso e a sinistra, non ci deve essere posto per il conformismo e la rassegnazione.
Considerando che è il momento di organizzarsi per lottare ed è tempo di dire “NO” all’incubo che ci impongono da sopra.
 
LA COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN E LE BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE CONVOCANO:
 
I.- La campagna mondiale:
Di fronte ai muri del Capitale: la resistenza, la ribellione, la solidarietà e l’appoggio dal basso e a sinistra.
Con l’obiettivo di chiamare all’organizzazione e alla resistenza mondiale di fronte all’aggressività dei grandi capitali e dei loro rispettivi capoccia sul pianeta, che ormai terrorizzano milioni di persone in tutto il mondo:
Invitiamo ad organizzarsi con autonomia, a resistere e ribellarsi contro le persecuzioni, detenzioni e deportazioni. Se qualcuno se ne deve andare, che siano loro, quelli di sopra. Ogni essere umano ha diritto ad un’esistenza libera e degna nel luogo che ritiene migliore, ed ha il diritto di lottare per restarci. La resistenza alle detenzioni, sgomberi ed espulsioni sono un dovere, come un dovere è appoggiare chi si ribella contro questi arbitri SENZA CHE IMPORTINO LE FRONTIERE.
Bisogna far sapere a tutta quella gente che non è sola, che il suo dolore e la sua rabbia è visibile anche a distanza, che la sua resistenza non è solo benvenuta, ma è anche appoggiata anche se con le nostre piccole possibilità.
Bisogna organizzarsi. Bisogna resistere. Bisogna dire “NO” alle persecuzioni, alle espulsioni, alle prigioni, ai muri, alle frontiere. E bisogna dire “NO” ai malgoverni nazionali che sono stati e sono complici di questa politica di terrore, distruzione e morte. Da sopra non verranno le soluzioni, perché lì sono nati i problemi.
Per questo sollecitiamo la Sexta nel suo insieme ad organizzarsi, secondo il suo tempo, modo e geografia, per appoggiare anche con attività, chi resiste e si ribella contro le espulsioni. Sia sostenendoli affinché ritornino alle proprie case, sia creando “santuari” o appoggiando quelli già esistenti, sia con consulenze ed aiuti legali, sia con soldi, sia con le arti e le scienze, sia con festival e mobilitazioni, sia con boicottaggi commerciali e mediatici, sia nello spazio cibernetico, sia dove sia e come sia. In tutti gli spazi dove ci muoviamo, è nostro dovere appoggiare e solidarizzare.
È arrivato il momento di creare comitati di solidarietà con l’umanità criminalizzata e perseguitata. Oggi, più che mai prima, la loro casa è anche la nostra casa.
Come zapatisti, la nostra forza è piccola e, benché il nostro calendario sia ampio e profondo, la nostra geografia è limitata.
Per questo e per appoggiare chi resiste alle detenzioni e deportazioni, da molte settimane la Commissione Sexta dell’EZLN ha avviato contatti con singol@, gruppi, collettivi ed organizzazioni aderenti alla Sexta nel mondo, per vedere il modo di fargli arrivare un piccolo aiuto in modo che gli possa servire come base per lanciare o continuare ogni forma di attività ed azioni a favore de@ perseguitat@.
Per iniziare, invieremo loro le opere artistiche create dalle/dagli indigeni zapatisti per il CompArte dell’anno scorso, così come caffè organico prodotto dalle comunità indigene zapatiste nelle montagne del sudest messicano, affinché, con la loro vendita, realizzino attività artistiche e culturali per concretizzare l’appoggio e la solidarietà con i migranti ed i profughi che, in tutto il mondo, vedono minacciate la loro vita, libertà e beni a causa delle campagne xenofobe promosse dai governi e dall’ultra destra nel mondo.
Questo per il momento. Continueremo ad ideare nuove forme di appoggio e solidarietà. Noi, donne, uomini, bambini ed anziani zapatisti non li lasceremo soli.
 
II.- Invitiamo inoltre tutta la Sexta e chi sia interessato, al seminario di riflessione critica “I MURI DEL CAPITALE, LE CREPE DELLA SINISTRA” che si terrà dal 12 al 15 aprile 2017 nelle installazioni del CIDECI-UniTierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Partecipano:
Don Pablo González Casanova.María de Jesús Patricio Martínez (CNI). 
Paulina Fernández C.
Alicia Castellanos.
Magdalena Gómez.
Gilberto López y Rivas.
Luis Hernández Navarro.
Carlos Aguirre Rojas.Arturo Anguiano. 
Sergio Rodríguez Lascano.
Christian Chávez (CNI).
Carlos González (CNI).
Comisión Sexta del EZLN.
Prossimamente forniremo ulteriori dettagli.
 
III.- Invitiamo tutt@ gli artisti alla seconda edizione del “CompArte per l’Umanità” dal tema: “Contro il Capitale ed i suoi muri: tutte le arti”, da tenersi in tutto il mondo e nello spazio cibernetico. La parte “reale” sarà dal 23 al 29 luglio 2017 nel caracol di Oventik ed il CIDECI-UniTierra. L’edizione virtuale sarà dal 1 al 12 agosto 2017 nella rete. Prossimamente forniremo ulteriori dettagli.
 
IV.- Vi chiediamo anche di prestare attenzione alle attività alle quali convocherà il Congresso Nazionale Indigeno, come parte del proprio processo di formazione del Consiglio Indigeno di Governo.
 
V.- Invitiamo le/gli scienziat@ del mondo alla seconda edizione del “CoScienze per l’Umanità” dal tema: “Le scienze di fronte al muro”. Da tenersi dal 26 al 30 dicembre 2017 nel CIDECI-UniTierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, e nello spazio cibernetico Prossimamente forniremo ulteriori dettagli
Non è tutto. Bisogna resistere, bisogna ribellarsi, bisogna lottare, bisogna organizzarsi.
Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Moisés.        Subcomandante Insurgente Galeano.
Messico, 14 febbraio (anche il giorno de@ nostr@ mort@) 2017
 
Traduzione “Maribel” – Bergamo
 
Fonte: Comune Info

venerdì 7 aprile 2017

Le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche

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Parla l’inviato speciale del Sole24ore che ha vissuto in prima persona le guerre degli ultimi 35 anni: “Le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche”. Oltre a condannare il regime di Assad inchioda l’Occidente alle sue responsabilità: “Quella che era iniziata come una guerra civile tra il regime e l’opposizione si è trasformata in una guerra per procura”. Infine, non crede che Assad possa fare la fine di Gheddafi (“dietro ha Putin e l’Iran”), più possibile uno scontro regionale armato tra Israele e gli Hezbollah libanesi.

intervista a Alberto Negri di Giacomo Russo Spena

“Non sarà certamente questo lancio di missili Tomahawk americani a sbalzare dal potere Assad e a cambiare le sorti della guerra”. Alberto Negri, inviato speciale del Sole24ore è uno dei massimi esperti di Medioriente e di Siria. Reporter di guerra, ha raccontato dal fronte i conflitti bellici nei Balcani, in Asia e in Africa. “Ho vissuto in prima persona le guerre degli ultimi 35 anni e sono arrivato ad una conclusione: le guerre pulite non esistono, sono tutte sporche”, ci dice. Nella notte il lancio di 59 missili americani contro il regime di Bashar Assad fa presagire scenari di una guerra globale, anche se Negri tende a rimanere più cauto: “Difficilmente Donald Trump butterà giù il regime senza avere alternative. O fai guerra ad Assad o all’Isis, a tutti e due contemporaneamente è impossibile farlo”. Per poi aggiungere: “Da sempre nel mondo ha regnato il double standard: i crimini dei dittatori sono considerati più efferati dei crimini commessi dall’Occidente, che sono stati tanti, troppi, in questi anni”.

Dopo l’attacco chimico del regime nella provincia di Idlib – 72 morti tra cui molti bambini – ha scritto sul Sole24ore un articolo che si focalizza proprio sulle responsabilità dell’Occidente. “È giusto indignarsi per le vittime della provincia di Idlib – si legge – ma una parte di questa indignazione riserviamola anche ai nostri leader occidentali incapaci di uscire da un ginepraio di calcoli sbagliati e interessi che dura ormai da oltre tre decenni. Ora si attende il secondo capitolo, quello della spartizione della Siria: a questo servono i morti di Idlib”.

Sei stato innumerevoli volte in Siria, ci aiuti a comprendere il quadro? Qual è la partita in gioco?

Stiamo assistendo alla più importante partita geopolitica degli ultimi anni in Medioriente e nel Mediterraneo. Quella che era iniziata come una guerra civile tra Assad e l’opposizione si è trasformata in una guerra per procura. C’è anche una data precisa per indicare tale passaggio: il 6 luglio 2011 quando l’ambasciatore americano Ford, mandato dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, andò a farsi riprendere dalle telecamere in mezzo ai ribelli armati di Hama. Un evidente segnale dell’amministrazione Obama: Assad era diventato un bersaglio da colpire. Un regime da destituire. L’idea della Clinton era il leading from behind, guidare da dietro i mutamenti in Medio Oriente.

Una guerra per procura che ha coinvolto poi Russia, Turchia, Israele, Francia... Riesci a farci luce sulle scelte di campo?

Questa guerra deriva da una lunga destabilizzazione del Medioriente dove si intrecciano diversi fattori, molti dei quali si trascinano dagli anni ‘80, dal conflitto tra Iran e Iraq. Dopo il 6 luglio 2011 Turchia, Arabia Saudita, Qatar e le altre monarchie del Golfo scelgono di opporsi ad Assad perché alleato storico dell’Iran sciita. Si trattava per i sunniti di una rivincita della caduta di Saddam Hussein nel 2003 e che aveva consegnato l’Iraq a maggioranza sunnita in mano alla minoranza sciita. Il caso degli alawiti è sintomatico in Siria: non appartengono né allo sciismo né al sunnismo, anche se tendevano a nasconderlo, non praticano i cinque pilastri dell’Islam, non pregano in moschea e sono considerati dei miscredenti. Gli alawiti rappresentano il 12% della popolazione siriana, eppure sono riusciti a salire al potere con Assad, strappandolo di mano ai sunniti dopo mille anni come racconto nel mio ultimo libro “Il musulmano errante” (Rosenberg & Sellier -2017). Questo è stato negli anni ‘70 il vero, primissimo, shock della Siria. Nel giugno 2011 le monarchie del Golfo chiedono al regime di rompere l’alleanza con Teheran. Assad si rifiuta.

E così entrano le potenze occidentali schierate con il fronte sunnita, visti anche gli interessi economici con le monarchie del Golfo?

In Siria nel 2011 si acuisce la crisi economica e sociale a causa di una forte siccità e per il conseguente abbandono delle campagne verso le principali città, come Damasco. Un processo che ha ulteriormente sfaldato il Paese e in quell’anno si è manifestata una legittima protesta contro il regime brutale di Assad. Ma Stati Uniti, Francia e Gb hanno sostenuto per mesi la tesi di un’opposizione moderata in Siria che in realtà era stata, ben presto, sostituita da milizie armate violente e jihadiste. Il passaggio dei combattenti islamici viene favorito dalla Turchia che permette l’ingresso in Siria di migliaia di miliziani: questa era l’autostrada della Jihad. E’ così che si forma, pian piano, il Califfato dell’Isis nato da una costola di Al Qaida in Iraq. Un giocattolo scappato di mano.

Con Assad, invece, si schiera la Russia di Putin?

Non solo. Prima si erano schierati con il regime sia i pasdaran iraniani che gli Hezbollah libanesi, forze sciite. Il 30 settembre 2015 la Russia di Putin fa pendere la bilancia dalla parte di Assad e inizia a fornire un aiuto concreto e militare contro i ribelli.

L’europarlamentare del M5S, Massimo Castaldo (e molti altri filoputiani) dubita che l’attacco chimico di Idlib sia frutto di Assad. Le sue parole sono state: “Militarmente, con questo attacco, Assad non ottiene nulla. Politicamente, solo l’odio del mondo intero. Metto un grosso punto interrogativo perché queste, spesso, sono anche guerre di propaganda. E non bisogna dare giudizi affrettati”. Siamo alla fantapolitica complottista?

Beh, i dubbi ci sono sempre. E finché non ho notizie da fonti indipendenti non mi azzardo a dare giudizi e ad asserire verità. In guerra ho imparato a credere solo a ciò che vedo coi miei occhi. Pensiamo al caso del 21 agosto 2013 a Ghouta, a est di Damasco, dove armi chimiche provocarono la morte di un numero altissimo di persone, tra cui molti bambini. In quel caso, il rapporto dell’Onu sulla strage non ha mai identificato i responsabili. Anzi si dice che probabilmente le armi chimiche siano state utilizzate da entrambi i fronti.

Però l’Osservatorio Siriano sui Diritti umani ha stilato un duro rapporto contro il regime di Assad....

Non è una fonte attendibile, come quasi tutte le fonti manovrate dagli inglesi. Tra l’altro noi potremmo avere le informazioni dal fronte: nelle basi americane, a Mosul come in Siria, ci sono centinaia di militari. Se gli americani volessero tramite droni e altri mezzi, potrebbero documentarci meglio ma scelgono di non farlo. Io, nel mio piccolo, prendo informazioni da ong come Medici Senza Frontiere o da alcuni gruppi dell’opposizione non manovrati dall’esterno.

Sì, però è plausibile l’accusa nei confronti di Assad. Non trovi che parliamo comunque di un regime sanguinario?

Assad non è Saddam Hussein quindi sarei più cauto nell’utilizzare il termine “sanguinario”. Di certo, parliamo di un regime che utilizza metodi brutali e sicuramente da condannare, non c’è dubbio. Quando è esplosa la prima rivolta ha reagito con la repressione.

E se altre fonti dimostrassero le responsabilità di Assad negli attacchi chimici?

Significherebbe che il regime sta punendo quelle popolazioni che ormai non reputa più fedeli ad Assad. Mentre ad Aleppo l’esercito governativo ha ripreso in mano la situazione, in altre zone il regime sceglie la via della punizione di massa: cosa che in Medioriente è purtroppo tratto comune degli autocrati. Pensiamo al massacro in Libano di Sabra e Chatila.

Torniamo ai futuri scenari in Siria. Quali sono? E’ ipotizzabile una guerra “umanitaria”, simile a quella avvenuta in Libia con Gheddafi?

L’Occidente non mi pare intenzionato a muovere guerra ad Assad. A differenza della Libia, dietro Assad ci sono Iran e Putin. Nessuno ha vero interesse a stabilizzare la Regione, non ce l’hanno i turchi che ora hanno il problema dei curdi siriani, non ce l’hanno le potenze sunnite con l’Arabia Saudita che ha un fronte aperto in Yemen. Nessuna delle potenze internazionali ha interesse.

Non spaventa nemmeno l’intervento armato voluto da Donald Trump questa notte?

L’idea di Washington è stata quella di colpire Assad e allo stesso tempo lanciare un avvertimento a coloro che non obbediscono alla superpotenza americana, tra l’altro l’operazione militare è avvenuta mentre Trump riceveva il presidente cinese, Paese protettore della Corea Nord. Un secondo elemento da sottolineare: i lanci dei missili hanno colpito basi aeree ma non istallazioni vitali o il palazzo presidenziale di Damasco. Infine, Trump per aprire veramente il fronte più vasto contro la Siria ha bisogno dell’approvazione del Congresso Usa.

E’ possibile che si apra uno scenario di guerra tra Israele e gli Hezbollah libanesi?

Il lancio di missili americani contro la Siria è interpretato da Israele, che dal 1967 occupa il Golan siriano, come una sorta di via libera americano alle sue incursioni aeree sulla Siria ritenuta la retrovia degli Hezbollah libanesi. Non è uno scenario improbabile quello di una guerra regionale. Forse il più plausibile.

Intanto assistiamo alla morte di migliaia di persone. I civili sono stretti da una morsa: da un lato il regime di Assad, dall’altra le responsabilità dell’Occidente?

Sul campo di battaglia c’è il Califfato, lo Stato Islamico o Isis, che ha rappresentato un forte inasprimento, in termini di violenza, del conflitto contro le popolazioni civili. Assad non ha avuto freni in questi mesi, pensiamo ai bombardamenti congiunti con la Russia. Tutti se ne sono fregati della popolazione civile che è diventata ostaggio del regime siriano e dei gruppi jihadisti. Ogni giorno assistiamo ad una strage in questo Paese. Una violenza a livelli massimi, anche per il Medioriente. Ma soprattutto non si vede come pacificare una vasta area a cavallo tra il Mediterraneo e la Mesopotamia dove sono crollati in questi 14 anni, dall’invasione Usa dell’Iraq nel 2003, interi Stati mentre la violenza, le stragi, i massacri, l’esodo di milioni di persone, hanno visto esasperare le divisioni etniche e settarie.