Non
capita sovente che in pochi giorni. a fronte di una legge elettorale di
dubbia costituzionalità, una parte significativa delle borghesia
riflessiva italiana si interroghi sulla tenuta del sistema democratico
italiano e sul futuro di una proposta elettorale di sinistra. E lo
faccia non in base alla collocazione topografica del singolo dirigente
politico, in un centrosinistra immaginario, ma in base a poche parole
d’ordine e a un testo normativo: la Costituzione repubblicana.
Lo storico dell’arte moderna Tommaso Montanari e la giuspubblicista
Anna Falcone sono due intellettuali militanti che hanno contribuito con
la loro mobilitazione volontaria a sconfiggere il disegno di
stravolgimento dei poteri e dei diritti avanzato da Renzi e Boschi.
Rappresentano una generazione che fuori e oltre, ma non contro, le
soggettività politiche, sindacali e l’associazionismo classico (ANPI e
ARCI) hanno fatto prevalere e, persino, reso egemone la difesa della
Costituzione antifascista su un’ideologia della modernizzazione
decisionista. Sono consapevoli del fatto che sul sì e sul no il 4
dicembre si è definitivamente strappata la foto dell’album di famiglia
che ritraeva il gruppo dirigente della sinistra apparentata – salvo
qualche defezione – dagli anni settanta ai giorni nostri.
Forti, dunque, di questa consapevolezza hanno scritto per il
manifesto un appello di grande semplicità che getta le basi per una
aggregazione politica a sinistra sans phrase: senza aggettivi né
paletti, senza quarti di nobiltà né rendite di posizione.
Un’aggregazione fondata sul dovere di rimuovere gli ostacoli alla
libertà e all’uguaglianza tra i cittadini e di far partecipare le
lavoratrici e i lavoratori all’organizzazione del Paese che abbia
l’ambizione di compendiare la dottrina sociale della chiesa, ribadita a
sfinimento dal papa, e il pensiero di Lelio Basso e di Massimo Severo
Giannini sintetizzato nell’art. 3, comma 2, della Costituzione. Una
lista da costruire affinché non accada più che la sinistra vada al
governo per fare la destra, non perché è alleata alla destra, ma perché è
diventata essa stessa destra liberale, in qualche caso, persino
illiberale, così trasformando il suo elettorato e la sua base in una
tifoseria.
Un approccio opposto a quello di Giuliano Pisapia – il quale, non a
caso, è stato a favore delle principali scelte di Renzi – secondo il
quale il problema del PD non si iscrive nella sua natura, ma
nell’alleanza con Alfano oggi e, domani, con Berlusconi. Un’ambizione
opposta a Pisapia federatore del centrosinistra cioè estensore o
facilitatore di un patto d’acciaio tra gruppi dirigenti del PD e di
altre forze più modeste volto a governare l’Italia attuale ristretta nel
perimetro dei vincoli e dei trattati europei e transnazionali che hanno
contribuito a ferire o disapplicare la Costituzione.
Il centrosinistra di Pisapia è la riedizione dell’accordo strategico
tra la sinistra sconfitta di Benoît Hamon a la postsinistra liberale di
Emmanuel Macron. Nell’appello per un’alleanza popolare per la democrazia
e l’uguaglianza e, seppur in maniera più sfumata, anche nell’appello di
Libertà e Giustizia si riscontra un punto di vista più affine a quello
del repubblicanesimo progressista di Jean Luc Mélenchon.
L’alleanza sperata da Falcone e Montanari non esclude nessuna forza
politica, culturale, di autorganizzazione sociale, a differenza di
quanto pare fare Giuliano Pisapia il quale, secondo i retroscena dei
principali quotidiani, esclude dal suo percorso finanche le forze
parlamentari Sinistra Italiana e Possibile.
L’aggregazione elettorale di sinistra costituzionale, per essere
appetibile, deve avere una soglia di accesso bassa, a prescindere dalle
divergenze passate. Tutti i soggetti politici che vi parteciperanno
devono mettersi a disposizione e cedere sovranità avendo l’ambizione di
governare per cambiare l’esistente e, quindi, senza alleanze con le
forze che approveranno la legge elettorale.
Solo se l’assemblea del 18 giugno darà seguito all’appello e produrrà
una lista unitaria di sinistra può cominciare ad esaurirsi il ciclo di
crescita del Movimento 5 Stelle: perché le esigenze popolari hanno
cominciato a trovare una diversa e nuova risposta e, al contempo, perché
è emerso, non dal casting della Casaleggio associati, una nuova leva di
rappresentanti istituzionali delle vittime della precarietà e
dell’autosfruttamento.
La rappresentanza al progetto di sinistra senza aggettivi non
esaurisce, evidentemente, la necessità di ribaltamento del rapporto di
classe tra il capitale e la forza a lui antagonista, né di
ricomposizione dei soggetti sociali che compongono questa forza. Le basi
per concorrere al progetto non paiono, tuttavia, incompatibili alla
costruzione anche in Italia di un soggetto che abbia l’ambizione di
rifondare il pensiero e l’organizzazione della trasformazione e del
superamento del capitalismo.
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