venerdì 10 febbraio 2012

I sette contratti che sfruttano i giovani

di Roberto Petrini, da Repubblica, 8 febbraio 2012

Lavorano come possono, o piuttosto si arrangiano. Sono finti soci di negozi, falsi detentori di partite Iva, lavoratori a progetto per un progetto che non c'è. In realtà sono tutti lavoratori subordinati, fanno parte di una struttura organizzata e producono come gli altri. A queste categorie di giovani, che cercano di sbarcare il lunario e di portare a casa un compenso a fine mese, mancano invece le garanzie degli altri, i contributi e le assicurazioni per incidenti e malattie.

E' il mondo del nuovo precariato che è nato sotto i nostri occhi e che spesso è difficile scorgere e catalogare. Ci sono professioni intellettuali, come gli assegnisti di ricerca; attività di formazione come gli stage (si fanno anche nei negozi di abbigliamento) che nascondono spesso mero sfruttamento. Si affacciano alla porta del precariato anche i praticanti professionisti che lavorano gratis con l'obiettivo di entrare in un ordine professionale, ma non scorgono il futuro. Oppure quelli del voucher, un sistema nato per favorire i lavoretti degli studenti, e che rischia di essere l'ultimo gradino del precariato: il datore di lavoro compra i buoni dal tabaccaio e poi ci paga ragazzi sotto i 25 anni che possono lavorare anche il sabato e la domenica. Una radiografia dell'Italia, composta grazie ai dati della Cgil politiche giovanili e della Uil politiche territoriali, che mette i giovani italiani sotto una luce diversa rispetto a quella che si è accesa negli ultimi giorni.

Molto meno «mammoni» di quanto si creda, meno «sfigati» di quanto si pensi: per loro la monotonia di un posto stabile è una chimera che agguanterebbero volentieri. Senza sensi di colpa. Anche per non cambiare lavoro ogni tre mesi. Per costruire una storia previdenziale adeguata e per poter stipulare un mutuo. Ecco i sette casi-tipo del precariato giovanile degli Anni Duemila.

1) Falso Progettista - Lo dice la parola stessa: «a progetto». Ma spesso quello che manca è proprio il progetto. In realtà la formula, definita dalla legge «collaborazione continuativa a progetto» in sigla «co.co.pro», nasconde un lavoro subordinato. Il giovane che l'accetta ha un impegno con tutti i vincoli del dipendente, dalla subordinazione all'orario, ma senza le garanzie: senza liquidazione, ferie e permessi di maternità. In Italia i collaboratori sono circa 900 mila, ma di questi 536 mila sono monocommittenti, ovvero hanno un unico datore di lavoro, spesso nel terziario avanzato, nell'informatica, o nelle cooperative di assistenza. Dunque con molta probabilità ci troviamo di fronte ad un lavoro subordinato. Quanto guadagna? In media secondo i dati della Cgil, 8.023 euro l'anno. Quanto lavora? In media sette mesi su dodici.

2) Pseudopartita Iva - Ha la partita Iva, ma niente a che vedere con quel "popolo delle partite Iva" composto da commercianti e liberi professionisti. Lui invece si mette al telefono dalla mattina alla sera per proporre polizze, enciclopedie o abbonamenti ad una clientela stanca ed irritata. Ma può anche essere un lavoratore edile, un archeologo o un restauratore. E' stato costretto ad aprire una partita Iva per avere un lavoro e dunque è tenuto a sostenere le spese di contabilità e del commercialista. In Italia le partite Iva individuali, quelle con cui si presta un'opera, sono circa 237 mila, molte di queste sono in monocommittenza, cioè con un unico datore di lavoro. E' il segnale che ci si trova di fronte ad un lavoro subordinato mascherato. E tutte le garanzie previste, dalla dettagliata descrizione dell'opera prestata ai tempi di consegna, sono solo una simulazione.

3) Stagista o praticante - Giovane e con la speranza di avere un futuro professionale di alto livello. Ma spesso è solo uno sfruttato. Gli stagisti come lui in Italia sono 300 mila, ma dietro questa realtà non ci sono grandi holding della finanza o dell'industria, ma spesso semplici catene commerciali che utilizzano gli stage nei periodi di punta come i saldi o le festività natalizie. Lo stage non prevede paga, contributi o assicurazione: se l'azienda è generosa al massimo si prendono dai 300 ai 400 euro al mese. Sorte simile per il praticante professionista: due o tre anni gratis dall'avvocato o dal commercialista per poter accedere all'esame professionale. In Italia sono 400 mila: la manovra d'estate aveva previsto per questa categoria un «equo compenso» ma il decreto liberalizzazioni, su pressione delle lobby, l'ha cancellato. Vita dura e futuro incerto.

4) Socio simulato - La parola è grossa: «socio». Fa pensare ad assemblee di azionisti e a felpati consigli di amministrazione. In realtà al giovane in cerca di lavoro viene proposto dall'impresa un contratto di «associazione in partecipazione». Tutto regolare, perché il contratto è stabilito dalla legge e prevede un apporto di lavoro contro una partecipazione agli utili. Secondo i dati della Uil politiche territoriali in Italia sono 52.459. Veri soci? In realtà spesso si tratta di commesse, una o due, che vengono messe a gestire un negozio in francising di grande catene. Piccoli punti vendita con nessuna autonomia. Così dietro la «vetrina» del socio c'è un lavoratore dipendente che riscuote gli utili, se ci sono, e guadagna (erogati come anticipo sugli utili) meno di 1.000 euro al mese. In compenso ha il diritto di vedere i bilanci.

5) Voucherista - Rischia di essere il gradino più basso della scala dei lavoratori precari. In Italia dal 2008 al 2011 sono stati venduti 28 milioni di voucher , si calcola che abbiano alimentato circa 5.000 posizioni del cosiddetto lavoro accessorio. Il datore di lavoro compra un voucher o buono lavoro anche dal tabaccaio, il costo comprende anche la copertura previdenziale e assicurativa. Se il compenso non supera i 5.000 euro annui può utilizzarlo per pagare alcune categorie di lavoratori che possono incassarlo alle poste. In prima linea proprio gli studenti sotto i 25 anni, che possono lavorare anche il sabato o la domenica. Le attività? Giardinaggio, turismo e servizi, collaborazioni domestiche, insegnamento privato, consegna porta a porta. Strumento nato per favorire i lavoretti degli studenti rischia di diventare una nuova forma di lavoro. Non tra i migliori.

6) Assegnista - La strada, a prima vista, sembrerebbe quella di una carriera di alto livello, nella ricerca o nello sviluppo del capitale umano. Per accedevi bisogna essere laureati o dottori di ricerca, con buoni voti ed un ottimo curriculum. Si trova posto in una università, in molti enti pubblici, all'Asi o all'Enea. Ma dalla libera ricerca al lavoro subordinato il passo è breve. L'attività dovrebbe essere continuativa, condizionata ad un progetto di studio, svolgersi in piena autonomia e senza orario di lavoro. Ma spesso accade che gli assegnisti vengano inseriti nella didattica o nella organizzazione produttiva. Così questi 40 mila (tanti sono in Italia) lavorano per i quattro anni previsti dal contratto, possono contare di essere rinnovati per altri quattro. Ma il futuro è assai incerto e non bastano a renderlo più roseo i 16 mila euro lordi annui che guadagnano.

7) "Panchinaro" - Aspetta che arrivi sul cellulare l'sms dell'agenzia di lavoro interinale. Sta in panchina. Se è fortunato sarà ingaggiato per tre o sei mesi, prenderà contributi e coperture previdenziali (sempre troppo poche per precostituirsi un futuro) e poi tornerà a casa ad attendere che vibri nuovamente il cellulare come fanno i suoi 449 mila colleghi che in Italia condividono la sua stessa condizione. Sta un po' meglio il suo collega assunto a tempo indeterminato dall'agenzia di lavoro interinale: lo stipendio è garantito, anche i contributi e le assicurazioni. Ma il suo è uno stato di nomade: tornitore, saldatore, carpentiere, esperto informatico. Nessuna azienda dove radicarsi, e dove vivere la monotonia del posto fisso. Un modello che non ha neanche un grande successo: in Italia i lavoratori a chiamata sono circa 100 mila.

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