mercoledì 15 febbraio 2012

La fine della crisi? Un fuoco fatuo, Francesco Indovina, Il Manifesto


Tutti sembrano tirare un sospiro di sollievo: la borsa va su, lo spread va giù. La crisi si allontana. Non c’è da meravigliarsi, contenti perché non hanno capito niente, non capiscono e aspettano che tutto riparta come prima. Non si sono accorti, né potevano accorgersi dato gli occhiali che indossano, che c’è una mutazione; il capitalismo finanziario non rappresenta una modernizzazione del vecchio capitale, uno dei tanti vestiti nuovi, ma una modifica delle sue ragioni di essere, aiutata dal prevalere della liberalizzazione del mercato, dalla riduzione di ogni regola, dalla cancellazione di ogni controllo. Il libero mercato sa regolarsi da solo e avrebbe prodotto ricchezza per tutti.
Pensare che gli “attacchi speculativi” fossero il frutto di una mancanza di fiducia e che, (ri)guadagnata questa, sarebbero cessati è sia una illusione sia l’incomprensione di come questa fiducia è stata guadagnata. La fiducia è stata guadagnata rastrellando risorse dalle tasche dei cittadini (i lavoratori, i pensionati, ecc) per trasferirli, direttamente o indirettamente, alla finanza. Questa ci premia con qualche gradino in meno dello spread. Fino a quando è difficile dirlo, ma sicuramente a tempo, quando avanzeranno nuove richieste di sacrifici. Quello che sta avvenendo in Grecia è un caso di scuola: al capitalismo finanziario non interessano i lavoratori, i cittadini, i giovani, o meglio gli interessa per tosarli, è sempre alla ricerca di nuove possibilità di fare soldi con soldi. Pane, scarpe, sigarette, auto, matite non gli interessano, non è con la produzione di merci e servizi che guadagna, ma nel gioco perverso del denaro che compra denaro e che guadagna denaro. I derivati impazzano, si inventano nuovi “strumenti” finanziari, così la Deutsche Bank, ha inventato un nuovo bond con il quale si “scommette”, questo è il termine esatto, sulla durata della vita di cinquecento cittadini americani di età compresa tra 72 e 85 anni. Prima muoiono più guadagnano gli investitori. Pare che sia giudicato un bond non etico, ma era etico scommettere sui mutui?
È il presidente degli Usa, o quello della Repubblica popolare cinese, Merkel o lo stesso Monti che dettano il che cosa fare? Sono i grandi monopoli dell’acciaio, dell’auto, della chimica, del petrolio che indicano la strada? O non sono piuttosto la Banca Mondiale, il Fondo monetario, la Banca europea, la Banca cinese o l’insieme delle banche che dicono ai governo cosa devono fare. Del resto alcune di queste “nobili” istituzioni non hanno scritto lettere, più o meno segrete, al governo italiano, a quello greco e forse a quello portoghese, e chi sa a quanti altri indicando sacrifici, sacrifici, sacrifici. La Merkel quale autonomia politica esprime rispetto alle banche del suo paese? Monti, il presidente del consiglio del governo italiano, quante volte ha affermato che i provvedimenti che andava prendendo erano necessari perché imposti dall’Europa (leggi Banca europea)? La finanza (definizione impersonale) qualche momento di respiro lo concede. Gioca come il gatto con il topo. In Grecia, accordo o fallimento, ci sarà una forte svalutazione dei crediti, ma la finanza internazionale ha avuto tempo per scaricare sui gozzi, un tempo si diceva “parco buoi”, i cattivi titoli greci, (qualcuno si ricorda cosa è avvenuto con i titoli argentini o con quelli della Parmalat?).
Il capitale finanziario è per sua natura instabile, senza terra e senza patria, pronto a cogliere occasioni speculative, ed esso stesso creatore di occasioni. Quelle che sembrano i segnali della fine della crisi, sono solo fuochi fatui, la crisi attanaglia tutto il mondo perché il mondo è finito tutto in potere del capitale finanziario. La letteratura a questo proposito è ampia e documentata: solo i politici non la leggono o non la vogliono capire.
Se si volesse affrontare la questione dell’instabilità del sistema e del suo stato permanete di crisi il nodo da affrontare è quello del capitalismo finanziario. Ma non c’è sa sperare dalle riunioni dei “grandi del mondo” che non riescono a mettersi d’accordo neanche su una modesta imposta sulle transazioni finanziarie. Affrontare il sistema non è questione delegabile, non si tratta infatti di un ritorno al passato, magari con un po’ di politica keynesiana, che sarebbe pur utile ma che non si vede, ma di una trasformazione che superi, inizi a superare il sistema. E se il capitalismo finanziario è mondiale non è detto che non si possa iniziare a combatterlo nel singolo paese (che vogliamo fare del nostro debito?). Ci vuole intelligenza, capacità politica, democrazia e impegno di massa, cioè la politica. Detto così siamo presi da scoramento, la nostra politica al massimo partorisce “governi tecnici”, ma non c’è altra strada.

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