domenica 3 febbraio 2013

Tutte le colpe dell’eurofinanza di Luciano Gallino



Tutte le colpe dell’eurofinanza


LA VICENDA del Monte dei Paschi si può così riassumere: la banca senese ha messo in pratica un modello di affari identico a quello delle maggiori banche europee. È un modello dissennato, che è all’origine della crisi economica in corso dal 2007 e ha portato al dissesto decine di banche in quasi tutti i paesi. Mps ha potuto applicarlo fino a ieri perché una seria riforma della finanza Ue non ha compiuto finora alcun passo avanti.
Ma parlare dei guai di Mps non dovrebbe condurre a ignorare, come sta accadendo, che all’origine di essi vi sono le storture dell’intero sistema finanziario europeo.
 Un posto di riguardo in esso occupa il sistema bancario ombra. È formato da enti finanziari che non sono banche ma operano come banche: prestano denaro, emettono titoli e li negoziano, accolgono depositi. Si tratta di fondi monetari, fondi speculativi, veicoli di investimento speciale o strutturato (Siv). Nel 2007 gli attivi del sistema ombra europeo valevano circa 20 trilioni di euro, più o meno quanto gli attivi in bilancio. Stando a un recente rapporto del Financial Stability Board, nel 2011 essi erano saliti a 25 trilioni. Come si legge in un rapporto presentato al Congresso Usa fin dal giugno 2008, il carattere che giustifica l’espressione “sistema ombra” è l’assenza di regolazione e di sorveglianza. Quando Mps acquistò anni fa da un Siv della Dresdner Bank un derivato per 400 milioni non fece altro che avvalersi del sistema bancario ombra per finanziarsi. Si dirà: ma li ha pur presi da una banca. Errore: un Siv è creato da una banca come una società di scopo giuridicamente autonoma. In quasi tutti i casi non ha una sede fisica né personale; però ha facoltà di trasformare i crediti della banca sponsor in titoli negoziabili, pagandoli con il ricavato di titoli a breve termine che esso emette. È il processo chiamato da noi cartolarizzazione. Tra il 2000 e il 2008, tramite i loro veicoli – che possono essere decine per ciascuna banca – le banche europee hanno effettuato un volume di cartolarizzazioni pari a 3,7 trilioni di euro. Italia e Germania effettuano ciascuna circa il 10 per cento delle transazioni, corrispondenti a 347 miliardi di euro per la prima, 326 per la seconda. Il tutto all’ombra, cioè al di fuori della portata dei regolatori e dei sorveglianti.
 Una riforma finanziaria della Ue dovrebbe quindi mettere in primo piano una drastica riduzione del sistema bancario ombra e un severo controllo di quel che resta, mentre governi ed esperti dovrebbero battersi per avviare la riforma stessa, piuttosto che cercare ogni volta in vicende locali la chiave del dissesto di questa o quella banca. Se qualcuno, per dire, si mettesse a studiare le origini locali del dissesto di gran parte delle banche regionali tedesche, alcune grandi come Mps, dovrebbe lavorare decenni. Mentre la causa è nuda e cruda, come nel caso Mps: hanno fatto ciò che le leggi permettevano di fare, grazie a trent’anni di deregolazione della finanza.
Il caso Mps offre altre due utili indicazioni per una riforma efficace del sistema finanziario. In primo luogo va notato che il titolo che ha comprato e utilizzato per operazioni di rifinanziamento è il peggio che l’ingegneria finanziaria abbia inventato. Si è trattato infatti, a quanto si legge, di una obbligazione avente per collaterale un debito (acronimo Cdo), ma al quadrato. Una Cdo, anche semplice, è di per sé un oggetto pericoloso. Infatti può contenere fino a un centinaio di altri titoli obbligazionari sostenuti da un’ipoteca, ciascuno dei quali può contenere, a sua volta, gran numero di titoli di debito. Ciò spiega sia il costo di una Cdo, in genere superiore al miliardo (per cui viene venduta quasi soltanto a fette), sia l’impossibilità di stabilire il rischio che contiene se non mediante complicatissimi modelli matematici, che quasi nessuno è in grado di capire: inclusi, parrebbe, i dirigenti di Mps. Ora, si noti bene, una Cdo al quadrato è formata da fette o trance di altre Cdo. Il che significa, al confronto, che tenere un barile di nitroglicerina in tinello non è più pericoloso di una bottiglia di minerale.
Ci sono poi i guai in cui si è cacciata Mps con l’acquisizione di Antonveneta nel 2007. Sembra siano stati, i suoi dirigenti, piuttosto sprovveduti. Ma fin dagli anni ’90 la corsa all’ingigantimento delle banche è stata favorita ed esaltata come un segno di modernizzazione dalle organizzazioni internazionali, dagli esperti, dai governi di tutta la Ue. Come risultato il numero delle banche europee è assai diminuito, mentre è aumentato il peso economico delle più grandi, senza che ciò abbia minimamente giovato all’econo-mia reale. Se nel 2007 erano troppo grandi per lasciarle fallire, oggi sono troppo grandi per evitare che la Bce presti loro 1.100 miliardi all’1 per cento di interesse – di cui oltre un quarto sono andati a banche italiane – come ha fatto tra il novembre 2011 e il febbraio 2012. Un monte di denaro che in misura minima è affluito all’economia reale sotto forma di crediti delle piccole e medie imprese: per la massima parte è stato utilizzato dalle banche per rifinanziarsi e ricapitalizzarsi. Un segno, ve ne fosse mai bisogno, che una riforma del sistema finanziario europeo dovrebbe pure imporre un limite alla grandezza delle banche.
In sostanza, la vicenda Mps, nata dall’applicazione letterale di un modello d’affari comune a tutte le banche europee, che ne ha già condotte decine di altre al dissesto, sembra un’ottima occasione per evitare non solo di prendere posizione, ma perfino di parlare di riforma dell’eurofinanza. Eppure c’è un testo da cui si potrebbe partire per discutere di quella che anche sul piano politico, non solo su quello economico, è la più importante riforma di cui l’Italia e la Ue avrebbero bisogno. Magari per criticarlo. Mi rifersico al Liikanen Report – dal nome del presidente del gruppo che l’ha redatto – relativo alla riforma della struttura del sistema bancario Ue trasmesso alla Commissione a ottobre 2012, è nato male. Infatti undici su dodici membri del gruppo erano dirigenti di istituzioni finanziarie. Sarebbe come nominare un gruppo di architetti per giudicare i progetti di ciascuno di loro. Tuttavia qualcosa di solido su cui discutere nel rapporto c’è. Tra i problemi del sistema bancario europeo esso indica infatti l’eccessiva assunzione di rischio; l’aumento di complessità, volume e portata che rende difficile il controllo da parte dei dirigenti; l’aumento eccessivo dell’effetto di leva finanziaria e la limitata capacità di assorbire le perdite; l’eccessiva fiducia riposta sui modelli interni di gestione del rischio e sulla “disciplina dei mercati”. È da un confronto risoluto e ravvicinato con simili questioni che dipende l’avvio a soluzione della crisi europea, dinanzi ai costi sociali e umani che essa infligge a milioni di persone. Ed è questo che l’Italia dovrebbe pretendere da Bruxelles. In alternativa, possiamo continuare a discutere se il portone della Mps debba essere restaurato o no.
La Repubblica 2 febbraio 2013

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