mercoledì 20 febbraio 2013

Vola in rete l’appello di Ingroia #NOF35


9788-1Diecimila firme in pochi giorni all’ appello lanciato da Antonio Ingroia contro gli F35, il progetto più costoso della storia dell’aereonautica. «Noi siamo contro l’acquisto degli F35 e in questa campagna elettorale ci siamo schierati apertamente contro le spese militari, facendo del #NOF35 una nostra battaglia – spiega il leader di Rivoluzione civile – è impensabile che 13 miliardi vengano destinati alle commesse per i cacciabombardieri anziché essere dirottati per tutelare il diritto al lavoro, avviare politiche di crescita, rilanciare le piccole e medie imprese e per la tutela dell’ambiente. Come se non bastasse, c’è un altro motivo: la Costituzione italiana ripudia la guerra».
Per giustificare l’acquisto dei caccia F-35, la Difesa e chi ha voluto il programma ha da sempre portato avanti giustificazioni date da ritorni economici ed occupazionali. Ma, secondo la Rete italiana disarmo che ha approntato un dossier, i dati ufficiali sono falsi e imprecisi. La Rete è fra le sigle pacifiste che, con la campagna “Taglia le ali alle armi”, già alcuni mesi fa smascherò la bugia sulla penale che si sarebbe dovuta pagare in caso di rinuncia al progetto, un’altra foglia di fico per i governi che si sono succeduti.
«La Difesa – dice Francesco Vignarca, della Rid – ha sempre cercato di abbassare i costi di acquisto dei caccia, riferendo anche in sedi ufficiali (audizioni presso commissioni parlamentari con documenti annessi) stime non aggiornate o costi di sola produzione base incapaci quindi di dare conto dell’effettivo costo per le casse dello Stato di ogni singolo velivolo. Riteniamo questo un comportamento non accettabile a fronte di un esborso così pesante di fondi pubblici e anche per questo aspetto (così come su quello relativo ai problemi tecnici) chiediamo che si apra un’indagine sia parlamentare che da parte della nostra Corte dei Conti». La stima del costo medio per aereo di si aggira sui 120 milioni di euro ma non tiene conto di successivi prevedibili aumenti e nemmeno considera le esigenze di “retrofit” già emerse sulla base del fatto che i primi aerei ad uscire dalla produzione non avranno una configurazione definitiva. Il costo totale “a piena vita” del programma (quindi con gestione e mantenimento completi) sfiorerà, secondo i pacifisti, i 52 miliardi di euro.
E tutto ciò senza nemmeno i ritorni occupazionali vantati dalla lobby bellicista. A fine 2012 gli occupati a Cameri erano di poche centinaia confermando il sottoutilizzo di una struttura pensata per ben altri ritmi di produzione. La Difesa continua a rilanciare i 10mila posti di lavoro non considerando che la stessa industria (Finmeccanica) è passata da una stima di 3000/4000 addetti ad una più realistica di circa 2000 (vicina a stime sindacali che si attestano poco sopra le mille unità e a precedenti comunicazioni del sottosegretario Crosetto). Anche sul fronte dei ritorni industriali, la Difesa convince solo i giornalisti embedded. Nella realtà le industrie italiane hanno ottenuto circa 800 milioni di dollari di appalti a fronte di una spesa già sostenuta dall’Italia di circa 3 miliardi di euro (ritorno poco sopra il 20% della spesa) il che rende ancora più insensati i 14 miliardi di ritorni “possibili” che la Difesa continua a sbandierare.
Checchino Antonini - Popoff.globalist.it

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