Governi della Troika, governi incostituzionali. Non solo o
non tanto nel meccanismo formale della loro formazione, quanto proprio
nella “testa”. Ovvero nel modo di concepire l'azione di governo come
finalizzata al raggiungimento di obiettivi estranei e “nemici” del patto
costituzionale vigente dentro un paese.
La sentenza con cui oggi la Corte Costituzionale ha bocciato il blocco
della “perequazione delle pensioni” - deciso dal governo Monti-Fornero
pochi giorni dopo il proprio insediamento, a dicembre 2011, con il
famoso “decreto Salva-Italia – è una plastica dimostrazione di questa
estraneità.
La storia aveva suscitato opposizione sociale ma, com'è ormai regola dei governi
decisi a Bruxelles e imposti da Giorgio Napolitano, se ne sono fottuti
allegramente. In pratica, tutti coloro che ricevono un assegno
pensionistico di un importo “tre volte superiore al minimo” (da 1.217
euro netti in su) si sono visti fermare per un periodo indefinito
l'adeguamento all'inflazione. Le esigenze del bilancio pubblico, di
fatto, sono state considerate in quel caso prevalenti su ogni diritti
acquisito, ovvero su ogni altra legge dello Stato.
Peccato, veramente un peccato, che la Costituzione nata dalla Resistenza non
contemplasse i criteri ragionieristi come prevalenti. Così l'art. 24
del decreto legge 201/2011 da oggi non esiste più. E si apre un
clamoroso buco di bilancio per il governo che giurava di aver messo da
parte un “tesoretto” con cui fare un po' di spot “di sinistra”. Tutti i
pensionati – tranne quelli che nel frattempo sono morti - che in questi
quattro anni si sono visti azzerare ogni rivalutazione dovranno infatti
essere risarciti con la restituzione del maltolto. L'unica fortuna del
governo è insomma nel fatto che l'inflazione nel frattempo si è
praticamente azzerata, anzi in questi ultimi mesi è scesa sottozero.
Quindi le cifre pro capite da pagare non saranno poi un granché.
L'impatto sui conti pubblici, stimato dall'Avvocatura dello Stato al
momento dell'udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012
e circa 3 miliardi per il 2013. Ci vanno perciò aggiunti almeno altri
tre miliardi, portando così il “buco” ad almeno otto miliardi.
In quel governo c'era il “dissidente” Stefano Fassina, in qualità addirittura
di viceministro dell'economia. Che naturalmente approvò la decisone per
“causa di forza maggiore”, così come tutti gli altri piddini di punta e
di coda.
Addirittura oggi Elsa Fornero ha provato ad allontanare da sé la responsabilità
di quella decisione oggi bocciata, sostenendo in modo penoso che “fu
una sceta del governo, non mia”. Come se invece che per fare il ministro
del lavoro si trovasse lì per caso...
Nella sentenza depositata oggi c'è scritto che «l'interesse dei pensionati, in
particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso
alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui
deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione
previdenziale adeguata». Tale diritto, «costituzionalmente fondato,
risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie
non illustrate in dettaglio».
Ricordiamo infatti ai colleghi della stampa mainstream che 1.217 euro al mese
non sono un “privilegio”, ma un livello quasi minimo di sopravvivenza.
Neanche paragonabile, del resto, con quello che percepiranno o
percepiscono loro (si può scrivere tranquillamente anche oltre i 70
anni, cumulando pensione e collaborazioni, al contrario dei mestieri
fatti da quasi tutti coloro che prendono 1.200 euro ).
La
Consulta, nell'argomentare la bocciatura, bacchetta anche lo stile
ragioniseristico frettoloso del governo onti (confermato poi da quelli
Letta e Renzi). Quando decidono di tagliare, infatti, portano nei decreti
motivazioni generiche, mentre l'esito per chi viene “tagliato” (in
questo casi i pensionati) la conseguenza è pesante. «Deve rammentarsi
che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione,
ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se
limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive
rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale
originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato
adeguamento è già stato intaccato».
Peggio ancora per quanto riguarda la misura del taglio deciso. «La censura relativa
al comma 25 dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata
sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento
pensionistico induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con
irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite
dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria
attività».
Un decreto insomma che è stato scritto da analfabeti o da consapevoli golpisti contro i diritti costituzionali dei cittadini. «Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38).
Ci voleva la Corte Costituzionale per ricordare a tutti che le pensioni non sono un “regalo dello Stato”, ma retribuzione differita.
Ossia soldi guadagnati con il lavoro e accantonati per riaverli poi, a
rate e secondo un criterio di solidarietà complessiva, quando le forze
per lavorare inevitabilmente finiscono.
I parametri della Costituzione confliggono con quelli di Maastricht o del Fiscal Compact. Per questo tutti i governi della Troika vogliono smontarla.
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