sabato 30 maggio 2015

Cornuti e contenti di Marco Travaglio


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Per sbeffeggiare l’eterno Tartuffe italiota, Montanelli raccontava la storiella di quel “gentiluomo austriaco che, roso dal sospetto che la moglie lo tradisse, la seguì di nascosto in albergo, la vide dal buco della serratura spogliarsi e coricarsi insieme a un giovanotto. Ma, rimasto al buio perché i due a questo punto spensero la luce, gemette a bassa voce: ‘Non riuscirò dunque mai a liberarmi da questa tormentosa incertezza?’”. 
L’apologo è perfetto per descrivere le reazioni del Pd alla lista dei 16 impresentabili divulgata ieri dall’Antimafia. Che ha fatto di male Rosy Bindi per beccarsi le manganellate del Partito della Fazione, anzi della Dazione? Ha detto ciò che tutti sanno da mesi: una serie di ovvietà men che banali. E cioè che le liste di tutti i partiti (esclusi i 5Stelle, Sel, la Lega e i civatiani in Liguria) sono piene di impresentabili. A cominciare da Vincenzo De Luca, condannato in primo grado per abuso d’ufficio e dunque decaduto e ineleggibile, ma anche imputato in vari processi. E in base al Codice etico che l’Antimafia si è data nel settembre 2014, peraltro ricalcato su quello del 2007, spetta all’Antimafia indicare a ogni elezione (europee, nazionali, regionali, provinciali, comunali, circoscrizionali) i candidati incompatibili con i minimi standard di legalità. Non solo i condannati, ma anche i membri di giunte sciolte per mafia, i soggetti sottoposti a misure di prevenzione e i rinviati a giudizio per una serie di reati gravi: mafie, traffico di droga, delitti contro la PA (tipo la concussione e la truffa contestate a De Luca al processo Ideal Standard), estorsione, usura e riciclaggio. E questo è proprio il minimo sindacale, visto che esistono altri profili di invotabilità: tipo i reati di abuso d’ufficio (per cui De Luca è condannato in primo grado) o quelli a sfondo sessuale, come le molestie su minori (per cui è condannato in primo grado un candidato pro De Luca, che però esula dalla competenza dell’Antimafia); ma anche le contiguità con boss o altri soggetti pericolosi. De Luca, ormai è oltre Crozza, nega persino il suo pedigree penale, che poi è il suo curriculum politico, e vuol denunciare la Bindi per diffamazione e la sfida “a un pubblico dibattito per sbugiardarla”. Forse, non potendo negare di essere imputato per concussione e truffa, è così affezionato ai tribunali che vuole passarci anche le notti, visto che lunedì decadrà appena eletto e avrà molto tempo libero. In realtà l’Antimafia ha applicato una norma approvata quasi all’unanimità dal Parlamento (anche il Pd di Renzi, che era già segretario e premier): se no avrebbe mancato ai suoi doveri.
Gli unici errori sono quelli di aver atteso così a lungo, consentendo ai partiti di bloccare la diffusione della lista già pronta da una settimana e di far filtrare i nomi a rate. L’altroieri Renzi diceva: “Il Pd non ha impresentabili, la lista Antimafia non ci riguarda”, così riconoscendo la legittimità della categoria degli impresentabili e del Codice Antimafia. Ora che invece ha scoperto (buon ultimo) che il Pd di impresentabili ne ha eccome, a cominciare dal candidato alla Regione Campania, si rimangia tutto: “Mi fa molto male che si utilizzi l’Antimafia per regolare dei conti nel Pd”. Nessuno degli ‘impresentabili’ verrà eletto perché tutti sanno che rappresentano piccole liste civiche”. Triplo salto mortale carpiato con avvitamento: prima il Pd recluta liste e personaggi inguardabili per raccattare voti sporchi, poi invita a non votarli, poi finge di non conoscerli, infine dice che non prendono voti. Ma allora perché li ha imbarcati?
Il resto Renzi – ultimo iscritto al partito di chi, se il termometro segna la febbre, spacca col termometro – lo fa dire dai suoi dobermann, dopo avere spalancato il canile. Tal Carbone trova che “la Bindi sta violando la Costituzione: allucinante che si pieghi la commissione antimafia a vendette interne di corrente partitica”. Tal Ermini, nientemeno che “responsabile Giustizia”, farfuglia di “un lavoro fatto male e gestito peggio che entra a piedi uniti nella competizione elettorale”: figurarsi se fosse il responsabile Ingiustizia. Tal Marcucci accusa la Bindi di “uno show inutile e imbarazzante”. Ed ecco il sottosegretario Faraone (ovviamente indagato): “De Luca è presentabile, tanto che lo abbiamo candidato. E i campani l’hanno votato alle primarie. Le sentenze le fanno i giudici” (infatti l’hanno condannato). Quel gran genio di Orfini, presidente Pd, si supera: “In uno stato di diritto le sentenze le emette la magistratura, la candidabilità o meno di qualcuno la decide la legge e si è innocenti fino al terzo grado di giudizio. L’iniziativa della presidente dell’Antimafia è incredibile istituzionalmente, giuridicamente, ma anche culturalmente, perché ci riporta indietro di secoli, quando i processi si facevano nelle piazze aizzando la folla”. Chissà dov’erano questi poveracci nove mesi fa, mentre approvavano in Parlamento il Codice etico che ora contestano solo perché smutanda le loro vergogne, con le stesse parole di B.: i voti cancellano i reati, un delinquente eletto diventa unto del Signore e chi applica la legge è un avversario politico. De Luca invece parla come Dell’Utri e Previti, che a ogni indagine su di loro dicevano: “Il bersaglio è Silvio, non noi”. “È evidente – sostiene don Vincenzo – che c’è un uso strumentale della mia persona, l’aggressione vera è al segretario Renzi per mettere in difficoltà il governo nazionale”. Nel 2012 De Luca diceva ben altro: “Il massimo di rinnovamento politico è affidato a Renzi, che comunque fa politica da 20 anni ed è quindi anche lui dentro la ‘casta’. La sua è un’operazione mediatica costruita a tavolino: è tutto uno sceneggiato, tutta plastica. Le istituzioni sono solo un palcoscenico per avere visibilità e poi puntare a Roma”. Il guaio è che aveva pure ragione.

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