E la risorsa del suo mestiere con la donnetta, col cavaliere
di EUGENIO SCALFARI,
La Repubblica
MOLTE cose sono accadute nella settimana che oggi si chiude. In Italia, in Europa e nel mondo intero. Non starò ad elencarle, giornali e televisioni ne sono pieni. Mi occuperò soltanto dei fatti italiani, che possono essere guardati da quattro diversi punti di vista: le manifestazioni - belle ma anche molto brutte - connesse con l'apertura dell'Expo e con il Primo maggio, festa del lavoro; l'economia italiana; il tema del Mare nostrum e gli immigrati; la legge elettorale approvata con quattro voti di fiducia ai quali seguirà il voto definitivo sull'intera legge domani e quanto sta accadendo all'interno del Pd.
Come esergo che tocca un punto assai delicato per la democrazia italiana e per il principale partito che la guida, citerò la vignetta di Altan che apre l'Espresso di questa settimana.
Si vede una giovane donna come quelle tipiche di questo grande artista, che legge il seguente comunicato: "Il popolo potrà visitare la sua sinistra ogni secondo week-end del mese". Con queste dieci parole Altan descrive perfettamente lo stato della politica italiana.
Come esergo che tocca un punto assai delicato per la democrazia italiana e per il principale partito che la guida, citerò la vignetta di Altan che apre l'Espresso di questa settimana.
Si vede una giovane donna come quelle tipiche di questo grande artista, che legge il seguente comunicato: "Il popolo potrà visitare la sua sinistra ogni secondo week-end del mese". Con queste dieci parole Altan descrive perfettamente lo stato della politica italiana.
***
Comincio dal tema del lavoro. Le cifre diramate dall'Istat tre giorni fa danno un aumento della disoccupazione e in particolare di quella giovanile; una diminuzione dei consumi, una modifica in peggio delle aspettative che erano invece segnalate in aumento il mese scorso. Le cifre sono anche negative per quanto riguarda il fabbisogno del bilancio, a causa della recente sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni al di sopra dei 1400 euro mensili, che dovranno essere rimborsate con il calcolo degli interessi.
Si tratta di cinque miliardi di euro per l'esercizio in corso, che saliranno a undici nell'anno prossimo. In queste condizioni, l'erogazione di 1,7 miliardi destinati ai ceti più poveri non è più fattibile ed è rinviata "sine die". La donna di Altan ha perfettamente ragione. Ma chi ha commesso l'errore? Non la Fornero, che con quel taglio definito oggi incostituzionale salvò nel 2011 l'Italia dal default, Ma il governo attuale che ha dissipato 10 miliardi l'anno e per i prossimi due anni con la regalia elettoralistica degli 80 euro mensili ai redditi superiori agli ottomila euro annui. Avrebbe dovuto destinare quella cifra al taglio del cuneo fiscale (Irap) e oggi - pur dopo la sentenza della Consulta - avrebbe ancora le risorse finanziarie per aiutare i non capienti e continuare ancora ad intervenire sull'Irap.
Queste vicende mettono anche in evidenza che il Jobs Act, come ho già scritto più volte, è un prezioso oggetto esposto in vetrina ma con nessuna incidenza sull'occupazione. Non crea nuovi posti di lavoro. Li creerà quando finalmente una vera legge sul lavoro sarà presentata dal governo e votata dal Parlamento come chiede Draghi da mesi. Ma il governo è in tutt'altre faccende affaccendato: legge elettorale, riforma del Senato, Mare nostrum, regolamento di conti con i gufi della minoranza del Pd. "Figaro qua, Figaro là, sono barbiere di qualità". Altan dovrebbe fare su quel barbiere la sua prossima vignetta.
Comincio dal tema del lavoro. Le cifre diramate dall'Istat tre giorni fa danno un aumento della disoccupazione e in particolare di quella giovanile; una diminuzione dei consumi, una modifica in peggio delle aspettative che erano invece segnalate in aumento il mese scorso. Le cifre sono anche negative per quanto riguarda il fabbisogno del bilancio, a causa della recente sentenza della Corte costituzionale sulle pensioni al di sopra dei 1400 euro mensili, che dovranno essere rimborsate con il calcolo degli interessi.
Si tratta di cinque miliardi di euro per l'esercizio in corso, che saliranno a undici nell'anno prossimo. In queste condizioni, l'erogazione di 1,7 miliardi destinati ai ceti più poveri non è più fattibile ed è rinviata "sine die". La donna di Altan ha perfettamente ragione. Ma chi ha commesso l'errore? Non la Fornero, che con quel taglio definito oggi incostituzionale salvò nel 2011 l'Italia dal default, Ma il governo attuale che ha dissipato 10 miliardi l'anno e per i prossimi due anni con la regalia elettoralistica degli 80 euro mensili ai redditi superiori agli ottomila euro annui. Avrebbe dovuto destinare quella cifra al taglio del cuneo fiscale (Irap) e oggi - pur dopo la sentenza della Consulta - avrebbe ancora le risorse finanziarie per aiutare i non capienti e continuare ancora ad intervenire sull'Irap.
Queste vicende mettono anche in evidenza che il Jobs Act, come ho già scritto più volte, è un prezioso oggetto esposto in vetrina ma con nessuna incidenza sull'occupazione. Non crea nuovi posti di lavoro. Li creerà quando finalmente una vera legge sul lavoro sarà presentata dal governo e votata dal Parlamento come chiede Draghi da mesi. Ma il governo è in tutt'altre faccende affaccendato: legge elettorale, riforma del Senato, Mare nostrum, regolamento di conti con i gufi della minoranza del Pd. "Figaro qua, Figaro là, sono barbiere di qualità". Altan dovrebbe fare su quel barbiere la sua prossima vignetta.
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Speravamo tutti che il nostro Renzi ottenesse dall'Europa un aiuto sostanziale sulla questione della Libia e degli immigranti, fermo restando che quelle centinaia di migliaia di poveretti che affrontano la morte in mare dovrebbero esser portati in Europa tramite l'Italia. Lo speravamo molto perché Renzi si era pubblicamente impegnato a "metterci la faccia" e a battere decisamente il pugno sul tavolo di Bruxelles.
Non ha battuto nessun pugno ed ha ottenuto soltanto l'aumento dell'aiuto finanziario europeo da tre a nove milioni al mese come rimborso spese del "Triton". Cioè niente e abbiamo anche dovuto ringraziarli.
Le conseguenze sono di chi dovrà salvarli se prendono il mare, ma se cercheremo di non farli partire e resteranno in Libia da chi saranno soccorsi e da chi saranno protetti? Da noi naturalmente perché in quel Paese non esiste un governo ma tribù che si combattono a vicenda e terroristi del Califfato.
La conclusione è che manterremo i nostri soldati in Afghanistan per ingraziarci gli Usa e dovremo anche mandarne altri, con le relative intendenze e medici, sulla costa libica. Se sbaglio, qualcuno mi corregga e ne sarei felice, però temo di no perché non si tratta di congetture ma di fatti preannunciati. A meno che si respingano gli immigrati in Libia e lì si lascino nelle mani degli scafisti-schiavisti. Spero che non si arrivi a tanto perché se ci si arriva la Lega di Salvini avrà vinto la sua battaglia e il popolo di Altan non andrà a trovare la sua sinistra neppure una volta al mese.
Speravamo tutti che il nostro Renzi ottenesse dall'Europa un aiuto sostanziale sulla questione della Libia e degli immigranti, fermo restando che quelle centinaia di migliaia di poveretti che affrontano la morte in mare dovrebbero esser portati in Europa tramite l'Italia. Lo speravamo molto perché Renzi si era pubblicamente impegnato a "metterci la faccia" e a battere decisamente il pugno sul tavolo di Bruxelles.
Non ha battuto nessun pugno ed ha ottenuto soltanto l'aumento dell'aiuto finanziario europeo da tre a nove milioni al mese come rimborso spese del "Triton". Cioè niente e abbiamo anche dovuto ringraziarli.
Le conseguenze sono di chi dovrà salvarli se prendono il mare, ma se cercheremo di non farli partire e resteranno in Libia da chi saranno soccorsi e da chi saranno protetti? Da noi naturalmente perché in quel Paese non esiste un governo ma tribù che si combattono a vicenda e terroristi del Califfato.
La conclusione è che manterremo i nostri soldati in Afghanistan per ingraziarci gli Usa e dovremo anche mandarne altri, con le relative intendenze e medici, sulla costa libica. Se sbaglio, qualcuno mi corregga e ne sarei felice, però temo di no perché non si tratta di congetture ma di fatti preannunciati. A meno che si respingano gli immigrati in Libia e lì si lascino nelle mani degli scafisti-schiavisti. Spero che non si arrivi a tanto perché se ci si arriva la Lega di Salvini avrà vinto la sua battaglia e il popolo di Altan non andrà a trovare la sua sinistra neppure una volta al mese.
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Ed ora parliamo delle leggi in corso di approvazione in Parlamento: quella elettorale e quella del Senato. Qui lascerei la parola ad alcuni autorevoli interventi di personalità della cultura politica e giuridica, quattro per l'occasione: Michele Salvati sul Corriere della Sera del 29 aprile, Valerio Onida sul Sole 2-4 Ore del 1 maggio, Michele Ainis sul "Corsera" del 30 aprile e infine, "last but not least", Alcide De Gasperi nel suo discorso alla Camera del 17 gennaio 1953. Comincerò appunto da quest'ultimo, unico esempio di un voto di fiducia su una legge elettorale che nonostante quella protezione fu battuta in Parlamento e chiamata "legge truffa", mentre non lo era affatto. A quell'epoca facevo parte del gruppo dei collaboratori del Mondo di Mario Pannunzio. Noi, laici e nient'affatto conservatori, fummo favorevoli a quella legge che avrebbe consentito ai partitini laici alleati con la Dc di prendere più voti di quanto avveniva con il sistema elettorale vigente. E infatti così sarebbe avvenuto.
Ma passiamo al discorso di De Gasperi, che ho già ricordato in un altro mio articolo.
Il presidente del Consiglio sottolineò che non avrebbe proposto mai una riforma elettorale che trasformasse una minoranza in maggioranza.
Ed ora parliamo delle leggi in corso di approvazione in Parlamento: quella elettorale e quella del Senato. Qui lascerei la parola ad alcuni autorevoli interventi di personalità della cultura politica e giuridica, quattro per l'occasione: Michele Salvati sul Corriere della Sera del 29 aprile, Valerio Onida sul Sole 2-4 Ore del 1 maggio, Michele Ainis sul "Corsera" del 30 aprile e infine, "last but not least", Alcide De Gasperi nel suo discorso alla Camera del 17 gennaio 1953. Comincerò appunto da quest'ultimo, unico esempio di un voto di fiducia su una legge elettorale che nonostante quella protezione fu battuta in Parlamento e chiamata "legge truffa", mentre non lo era affatto. A quell'epoca facevo parte del gruppo dei collaboratori del Mondo di Mario Pannunzio. Noi, laici e nient'affatto conservatori, fummo favorevoli a quella legge che avrebbe consentito ai partitini laici alleati con la Dc di prendere più voti di quanto avveniva con il sistema elettorale vigente. E infatti così sarebbe avvenuto.
Ma passiamo al discorso di De Gasperi, che ho già ricordato in un altro mio articolo.
Il presidente del Consiglio sottolineò che non avrebbe proposto mai una riforma elettorale che trasformasse una minoranza in maggioranza.
"Il premio viene concesso soltanto nel caso che un partito o un gruppo di partiti conquisti la maggioranza assoluta dei voti, 50 per cento più uno. Nel caso invece che questa ipotesi non si verifichi ci si servirà della legge elettorale vigente, basata sul sistema proporzionale puro. Considererei un tradimento della democrazia trasformare in maggioranza una minoranza, fosse pure del 49 per cento. La legge attuale rafforza solo una maggioranza esistente nel Paese ed espressa con libero voto. Per questa ragione il governo chiede la fiducia al Parlamento".
Dico subito che se l'attuale governo avesse adottato la legge del '53, immagino che il Parlamento l'avrebbe votata all'unanimità. Invece non è stato così. Il premio scatta col 40 per cento dei voti. Se sono di meno i primi due partiti (non coalizioni, che sono vietate) vanno al ballottaggio dove molto probabilmente i voti saranno in cifra assoluta molto minori del primo turno. Sarà quindi una piccola minoranza del popolo sovrano a consegnare il potere al partito vincente tenendo conto che probabilmente gli astenuti saranno il 40 per cento e anche di più.
Dico subito che se l'attuale governo avesse adottato la legge del '53, immagino che il Parlamento l'avrebbe votata all'unanimità. Invece non è stato così. Il premio scatta col 40 per cento dei voti. Se sono di meno i primi due partiti (non coalizioni, che sono vietate) vanno al ballottaggio dove molto probabilmente i voti saranno in cifra assoluta molto minori del primo turno. Sarà quindi una piccola minoranza del popolo sovrano a consegnare il potere al partito vincente tenendo conto che probabilmente gli astenuti saranno il 40 per cento e anche di più.
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Michele Salvati però non la pensa così. Salvati non è persona culturalmente da poco. Avrà dunque le sue ben motivate ragioni alle quali mi sembra doveroso dare voce.
"Il dissenso della minoranza del Pd arriva a riassumere il vecchio slogan di minaccia alla democrazia già usato al tempo di Berlusconi. Ma quali tabù ha toccato Renzi per suscitare questa reazione? Si tratta del passaggio da un partito di notabili in servizio permanente effettivo ad un partito del leader il quale giudica quando il tempo delle mediazioni è finito. Il governo del leader non è una minaccia della democrazia ma il tentativo di conciliare la democrazia con la decisione nella consapevolezza che la vera minaccia per la democrazia è la sua incapacità di decidere ".
Caro Salvati, è un po' forte affermare che la democrazia è incapace di decisioni. La conseguenza logica è dunque di abolirla. È questo che tu vuoi? Allora è vero che la minaccia c'è e del resto lo si vedrà.La risposta viene da Ainis: "La riforma del Senato toglie un contrappeso e rafforza il sovrappeso dell'Esecutivo, mentre fa dimagrire l'opposizione con la soglia del 3 per cento. Così in Parlamento si fronteggeranno un polo e una poltiglia. Non basta trasformare i deputati in soldatini; la governabilità ottenuta con i numeri è una formula rozza e fallace".
Ancora più netto è Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, che la vede in questo modo: "La mia valutazione su quella legge è decisamente negativa. C'è un allontanamento da un genuino sistema parlamentare in favore del potere personale di colui che conquista la carica di primo ministro. Pretende che un solo partito occupi la maggioranza assoluta dei seggi anche se non rappresenta la maggioranza degli elettori e dei votanti. Un vero premio di maggioranza dovrebbe spettare ad una vera maggioranza che abbia ottenuto più del 50 per cento dei voti (De Gasperi). Questa invece è una legge che trasforma in maggioranza dei seggi la minoranza più forte. Il ballottaggio a sua volta dà la vittoria ad uno dei due competitori qualunque sia il livello del suo consenso e che sia minore degli elettori al secondo turno. Il problema è dunque la creazione di una maggioranza che può non essere tale e che per di più dà luogo ad un governo monocolore".
A me pare che non ci sia altro da aggiungere. Ricorderò soltanto, per fare sfoggio d'una modesta cultura in questi argomenti, che ai primi dell'Ottocento uno dei maggiori filosofi e pensatori di quella epoca, Wilhelm von Humboldt, sostenne la diminuzione dei poteri del Cancelliere in Prussia e riaffermò che la libertà era il solo vero valore da perseguire. Lo Stato doveva aver un compito puramente negativo: impedire tutto ciò che può indebolire la libertà del singolo. Questa è la base d'ogni liberalismo che sia veramente tale.
Michele Salvati però non la pensa così. Salvati non è persona culturalmente da poco. Avrà dunque le sue ben motivate ragioni alle quali mi sembra doveroso dare voce.
"Il dissenso della minoranza del Pd arriva a riassumere il vecchio slogan di minaccia alla democrazia già usato al tempo di Berlusconi. Ma quali tabù ha toccato Renzi per suscitare questa reazione? Si tratta del passaggio da un partito di notabili in servizio permanente effettivo ad un partito del leader il quale giudica quando il tempo delle mediazioni è finito. Il governo del leader non è una minaccia della democrazia ma il tentativo di conciliare la democrazia con la decisione nella consapevolezza che la vera minaccia per la democrazia è la sua incapacità di decidere ".
Caro Salvati, è un po' forte affermare che la democrazia è incapace di decisioni. La conseguenza logica è dunque di abolirla. È questo che tu vuoi? Allora è vero che la minaccia c'è e del resto lo si vedrà.La risposta viene da Ainis: "La riforma del Senato toglie un contrappeso e rafforza il sovrappeso dell'Esecutivo, mentre fa dimagrire l'opposizione con la soglia del 3 per cento. Così in Parlamento si fronteggeranno un polo e una poltiglia. Non basta trasformare i deputati in soldatini; la governabilità ottenuta con i numeri è una formula rozza e fallace".
Ancora più netto è Valerio Onida, presidente emerito della Consulta, che la vede in questo modo: "La mia valutazione su quella legge è decisamente negativa. C'è un allontanamento da un genuino sistema parlamentare in favore del potere personale di colui che conquista la carica di primo ministro. Pretende che un solo partito occupi la maggioranza assoluta dei seggi anche se non rappresenta la maggioranza degli elettori e dei votanti. Un vero premio di maggioranza dovrebbe spettare ad una vera maggioranza che abbia ottenuto più del 50 per cento dei voti (De Gasperi). Questa invece è una legge che trasforma in maggioranza dei seggi la minoranza più forte. Il ballottaggio a sua volta dà la vittoria ad uno dei due competitori qualunque sia il livello del suo consenso e che sia minore degli elettori al secondo turno. Il problema è dunque la creazione di una maggioranza che può non essere tale e che per di più dà luogo ad un governo monocolore".
A me pare che non ci sia altro da aggiungere. Ricorderò soltanto, per fare sfoggio d'una modesta cultura in questi argomenti, che ai primi dell'Ottocento uno dei maggiori filosofi e pensatori di quella epoca, Wilhelm von Humboldt, sostenne la diminuzione dei poteri del Cancelliere in Prussia e riaffermò che la libertà era il solo vero valore da perseguire. Lo Stato doveva aver un compito puramente negativo: impedire tutto ciò che può indebolire la libertà del singolo. Questa è la base d'ogni liberalismo che sia veramente tale.
Un'ultima osservazione credo si debba fare sulla funzione politica dei sindacati dei lavoratori. Molti sostengono che la politica del sindacato si esercita solo attraverso i contratti, ma non è così. I grandi sindacalisti
di questo Paese stipulavano i contratti con la controparte ma avevano anche un'attività politica di estrema importanza. Faccio i nomi di Di Vittorio, Lama, Trentin, ma altri ancora potrei farne. Il sindacato visita la sinistra tutti i giorni del calendario. Bisognerebbe ricordarselo.
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