Stanno
facendo grande scalpore in Spagna le dimissioni di Juan Carlos Monedero
[a destra nella foto accanto a Pablo Iglesias], ideologo e
cofondatoredi Podemos, dalla direzione politica di questo movimento.
Monedero critica l'andazzo elettoralistico della direzione di Podemos:
"apparire un minuto sulla televisione è diventato più importante della
strategia collettiva e delle attività dei circoli di base". Ad un anno
dalla sua nascita Podemos soffre quindi già di una seria crisi di
direzione.
Torneremo
su questo argomento. Basti sapere che l'altra formazione politica
d'opposizione, Izquierda Unida, attraversa una crisi ancor più grave.
Molti militanti e dirigenti stanno abbandonando Izquierda Unida in
polemica con la posizione del gruppo dirigente che rifiuta ogni
collaborazione con Podemos, ed anzi condanna Podemos come fosse il
risultato di una macchinazione diabolica del regime.
Manolo Monereo,
membro della direzione di Izquierda Unida, noto intellettuale marxista,
è uno degli elementi di punta di questa opposizione. In questo
recentissimo articolo espone il suo pensiero.
Le elezioni locali e regionali che si terranno il 24 maggio stanno diventando molto
dure per il soggetto popolare: divisioni, arroganze, settarismi di ogni genere
... ma questa è solo una parte della verità. In molti altri luoghi, l’unità popolare
avanza e si consolida; centinaia di candidature, a partire da Madrid e
Barcellona, sono state costruite pazientemente, con intelligenza, con sofferenza. Quando i
“partiti-istituzione” non rispondono alle richieste del “partito organico” (le
forze per il cambiamento e la trasformazione), gli accordi diventano difficili
ed i muri sembrano ostacoli insormontabili. Tuttavia, essi possono non solo
possono essere saltati, talvolta
si rompono e si stanno rompendo.
Donne e uomini, attivisti sociali e quadri politici hanno
reso possibile dal basso quello che dall'alto non sembrava possibile: unire le
varie sinistre, organizzare grandi fronti democratici popolari, realizzandolo
nel calore dei movimenti sociali. L'obiettivo è chiaro: per costruire
l'alternativa al bipartitismo e governare per trasformare. Non è poco, è solo
l'inizio e c'è molta, molta di strada da percorrere. L'esperienza sarà molto
importante e darà forza, fiducia e spinta a coloro che hanno lottato con
pazienza e coraggio per l'unità popolare.
Ma che cos’è l'unità popolare? Cerchiamo di definirla,
sempre in via provvisoria, procedendo per approssimazioni successive. Una prima
definizione potrebbe essere: una serie di politiche mirate per costruire una
società di donne e uomini liberi e uguali, liberati dallo sfruttamento, il
dominio e la discriminazione; una res publica.
Si tratta forse di una definizione troppo astratta, che esprime però degli obiettivi
politici che agiscono come principi, come idee regolatrici, che servono a
criticare il presente e prefigurano i contorni del futuro da costruire collettivamente.
L'unità popolare è soprattutto una strategia, cioè, un modo
di fare e di organizzare l'azione politica concepita come azione cosciente
collettivamente perseguita. Per capire questo, è necessario fare una piccola
deviazione sul potere nelle nostre società. Nella società capitalistica, il
potere è capitalista. Non è un gioco di parole; ciò che si intende è che il
capitale, i capitalisti, individualmente e collettivamente, hanno un potere
strutturale e questo si distribuisce
disugualmente e asimmetricamente nelle nostre società. Questo è e sarà
sempre il limite oggettivo di ogni democratizzazione nel capitalismo.
Lo Stato unifica il blocco dominante, assicura la
subordinazione politica e ideologica delle maggioranze sociali e garantisce la
coesione della formazione economica e sociale, anche grazie al suo monopolio
esclusivo della violenza legittima. Lo Stato capitalista è dunque lo spazio
contraddittorio dove si esprimono i conflitti fondamentali, dove si risolvono le
contraddizioni tra le forze politiche e sociali e, questo è decisivo, si
organizzato e riproduce la classe politica dirigente.
Lo Stato non è quindi
neutro dal punto di vista del conflitto base, né è una semplice macchina delle classi
economicamente dominanti; la autonomia di queste ultime è sempre relativa, e cambia
col mutare delle condizioni. Ora, nella crisi attuale l'autonomia è più stretta
e il suo carattere di classe più evidente —ciò che rappresenta un indicatore
della profondità della crisi medesima.
Partendo da questa realtà del potere nelle nostre società,
meglio si comprende l'unità popolare come strategia politica. Governare è molto
importante, porselo come obiettivo dimostra la serietà, la coerenza e il
coraggio di una forza politica, ma dobbiamo anche sottolineare che governare con
un programma trasformatore significa, oggi più di ieri, niente altro che
accedere elettoralmente al potere esecutivo; manca la forza sociale organizzata
per tentare (compito molto difficile e sempre provvisorio) di riequilibrare il
deficit strutturale di potere esistente nelle nostre complesse società — al cui
centro c’è lo Stato e, più in là, una serie di istituzioni formali e informali
che sono state chiamate società civile.
L'obiettivo è quello di coniugare, nel lungo e nel breve
periodo, la democratizzazione delle istituzioni statali con l'articolazione e
lo sviluppo di poteri sociali dal basso. Entrambi, lavoro istituzionale e creazione
di poteri di base delle nostre concrete società, sono fattori prioritari ai
livelli territoriali e locali. Si potrebbe parlare di “territorialità del
potere”, vale a dire il radicarsi solidamente nello spazio, il creare
solidarietà e legami sociali altruistici, l’ampliare le forme alternative di
produzione e di scambio per assicurare alle persone il buen vivir, nuove e
rispettose relazioni sociali e in
pace con l'ambiente, proiettate sul futuro, unendo dignità e autogoverno delle
persone con l'appropriazione collettiva del territorio.
Per non perdere il filo: “democratizzazione la democrazia”
(come insegnato per anni da Boaventura de Sousa Santos) implica la combinazione
di un lavoro serio e sistematico nelle istituzioni (amministrare in forma
alternativa è fondamentale), con la creazione paziente, tenace, controcorrente
—la normalità è quasi sempre passività, subordinazione e lasciare fare al
mercato, agli imprenditori, al capitale— di varie forme di auto-organizzazione
sociale, di pratiche sociali e
istituzionali alternative. La chiave: una gestione istituzionale che
generi conflitto e non pace
sociale, che promuova l'auto-organizzazione di forti soggetti sociali; poteri
sociali che aiutino a democratizzare le istituzioni, che socializzino la
politica e cambino la società dal basso.
Il nazional-popolare è l'altra faccia della medaglia, il
contenuto che consente la trasformazione sociale. Essere parte della gente, essere
gente, impegnarsi e apprendere insegnando. Dietro c’è una vecchia questione che
ha a che fare con la vita quotidiana delle persone. La società emancipata,
quello che noi chiamiamo socialismo, implica una democratizzazione sostanziale
della politica, del potere, della cultura, dell’economia. E la democrazia della
vita quotidiana, cioè, nuovi rapporti sociali tra uomini e donne, tra imprese e
lavoratori, tra i servizi pubblici e cittadini, tra gli esseri umani e la
natura di cui facciamo irreversibilmente parte. In breve, riassorbire la storia
delle grandi parole e degli eventi storici in una quotidianità liberata.
La cosa peggiore è l'elitarismo di una parte significativa degli
intellettuali, talvolta travestito di culturalismo, altre di marxismo fatto in
casa (anzi, nei palazzi) al massimo per arrivare comodamente alla fine del
mese. Gli intellettuali tradizionali devono essere superati da altri che siano
in grado di partire dai bisogni della gente, difendendo e trasformando il
“senso comune”, la costruzione di una nuova alleanza con le classi subalterne.
L'obiettivo è preciso: una nuova cultura che dia vita a un nuovo potere, un
nuovo Stato, una nuova Repubblica di cui chi sta in basso sia protagonista, appoggiata
sulla egemonia politica delle classi lavoratrici, delle classi popolari.
L'unità popolare, dobbiamo insistere ancora una volta, è
oggi obbligatoria. Se qualcosa mostra chiaramente la Grecia di Syriza (sempre
da sola, è necessario segnalarlo), è che il potere dei governi è notevolmente
diminuito e che qualsiasi progetto democratico sociale richiede più autonomia,
più sovranità, più potere. Senza una maggioranza sociale organizzata senza un
popolo convinto e mobilitato, senza forze politiche e sociali unite, non ci
sarà alcuna possibile trasformazione e saremo, ancora una volta, sconfitti, il tutto
per la maggior gloria dell'Europa tedesca, dell'euro e del capitale monopolistico
finanziario. Alla fine, sarà importante un gruppo dirigente coraggioso,
intelligente e radicale.
Ci rispondono che tutto questo è troppo generico e che le
persone normali non lo capiscono. Penso che si sbagliano. I sondaggi servono
per quello che servono e con alcune restrizioni. Ci sono due possibili
atteggiamenti: accodarsi alle opinioni della gente oppure partire da quello che
pensano per andare oltre. Per quello
che sappiamo, che con modestia diciamo, la nostra gente ha le idee chiare e
nemici in carne e ossa: i banchieri, i grandi imprenditori, il blocco dei
padroni ... Essa sa abbastanza precisamente che i potenti hanno catturato lo
Stato e che lo hanno posto al loro servizio, e che i responsabili di questo
immensa involuzione sociale e politica sono i due partiti dominanti, sempre
sostenuti dalle borghesie nazionaliste basca e catalana.
La cosa da fare ora è far sì che l’indignazione politica
diventi progetto alternativo di paese. La differenza tra trasformazione e trasformismo
è spesso una linea sottile. L'unità popolare servirà anche a questo, affinché essa
non sia superata.
*Fonte: Quarto Poder
*Fonte: Quarto Poder
Nessun commento:
Posta un commento