Sul linguaggio, i meccanismi della politica, le sue spericolate
alchimie e i sorprendenti paraculismi, i tuffi carpiati, le discese
ardite e le risalite (cit) e tutto il campionario, si direbbe che non
c’è nulla da aggiungere. O forse no: c’è sempre da imparare e da
stupire. Ed ecco infatti che si assiste in questi giorni di “stallo
messicano” a un sublime perfezionamento del concetto di alibi, giunto ormai a vette di raffinatezza che nemmeno un ragazzino delle medie saprebbe escogitare.
Non
parlo di scuse: dopo “uveite” e “il cane mi ha mangiato i compiti” in
quel campo non c’è più molto da innovare. Parlo invece di una costante
relativizzazione dei comportamenti. Esempio classico, uno picchia la
moglie e, davanti al giudice che lo interroga, sbotta: “E il mostro di
Firenze, allora?”. Ecco, il concetto è chiaro: c’è sempre qualcuno peggiore
a cui rifarsi, da cui trarre benzina per alimentare il motore sempre
acceso dell’autoassoluzione, legna per il sacro fuoco del
giustificazionismo. La comparsa in Parlamento di alcuni volonterosi absolute beginners come i parlamentari del Movimento 5 Stelle
– sostenuti in rete da una folta pattuglia di ultras più realisti del
re – sembra fatta apposta per affinare tecniche ed elaborare varianti.
Se ne era avuto un vago sentore fin da subito: non appena si
rimproverava ai nuovi arrivati qualche gaffe, o inesperienza, o qualche
incidente di percorso (roba veniale , intendiamoci), la risposta
arrivava rapida come la torsione di un crotalo: “Preferivi Scilipoti?”.
Ora, a parte che Scilipoti in Parlamento c’è (dettaglio che molti
preferirebbero scordarsi), non è che prendere ad esempio il peggio sia
di gran conforto. L’altro giorno il deputato grillino Massimo De Rosa
rendeva al Corriere una benemerita dichiarazione sull’uso dello
streaming: “…altre questioni è meglio non metterle in video per ovvi
motivi di strategia politica”. Chi faceva notare che una simile
notazione tattica confinava con antiche furbizie politichesi, veniva
travolto da un’onda anomala di relativismo: e l’istituto Aspen, allora? E
la Trilateral? C’è forse lo streaming delle riunioni di Mediobanca?
Insomma, siamo lì: “E il mostro di Firenze?”.
Sia chiaro che si
tratta di notazioni in margine, nulla di determinante nell’attuale
situazione di diroccamento del paese. E però il segnale esiste, e ci
interroga soprattutto su una cosa: le promesse, da qualunque parte
vengano, sono fatte della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Il
realismo non piace, specie in campagna elettorale: è grigio, stantio,
non fa sognare. Certi mirabolanti giuramenti, invece, fanno presa,
affascinano. Tutto trasparente! Tutto online! E il
fremito rivoluzionario si impossessa di noi. Fin quando, all’apparir del
vero, tutto si ridimensiona un po’, torna coi piedi per terra, si
annacqua – persino giustamente, verrebbe da dire. E allora ecco la
rincorsa a un peggio con cui confrontarsi. È vero, ho preso cinque nel
tema. Ma Giggetto, allora, che ha preso quattro? Trucco vecchio, anche
un po’ infantile, ma che funziona sempre, e da cui nessuno è immune.
Bizzarro, perdipiù, in un paese che a ogni passo si crogiola nell’uso
improprio della parola “merito”, che ci si rifaccia sempre al peggio per sembrare meno-peggio e autoassolversi.
Di questo passo la vecchia politica, le riunioni supersegrete del
potere economico, Scilipoti caricatura di se stesso, Giggetto che prende
quattro nel tema, dovremo tenerceli stretti: ci servono come il pane
per sembrare migliori.
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