domenica 9 settembre 2012

I primi licenziamenti made in Fornero sono iscritti alla Fiom di Marco Zerbino, Pubblicogiornale

Lo ha ripetuto per mesi, Elsa Fornero, che bisogna fidarsi della buona fede degli imprenditori italiani e non essere pessimisti circa eventuali usi impropri della legge che porta il suo nome. Perché un datore di lavoro dovrebbe mai ricorrere allo strumento del licenziamento economico, che in virtù della recente riforma del’articolo 18 dello statuto dei lavoratori non è più coperto dalla possibilità del reintegro, per togliersi di torno un dipendente scomodo, magari uno che, in qualità di rappresentante sindacale, ha semplicemente fatto il suo dovere denunciando dei rischi per la salute dei propri colleghi? A quanto pare, tuttavia, da quando, a fine giugno, le proposte dell’attuale ministro del lavoro sono diventate legge, un caso di questo tipo si è già verificato.
È successo ieri alla Lagor, un’azienda della provincia di Asti che produce nuclei per trasformatori elettrici. Verso mezzogiorno, a Vittorio Gaffodio, Mirko Passalacqua e Yuri Cravanzola è stato notificato il licenziamento, ufficialmente ricorrendo ad una «motivazione oggettiva». Gaffodio, in particolare, è stato ritenuto non più utile alla società perché incompatibile con il lavoro notturno e non in grado di utilizzare un macchinario al quale il piano aziendale lo destinerebbe. Ma Vittorio, che ha più di quarant’anni e una moglie a carico, per far funzionare quella macchina non ha mai ricevuto alcuna formazione da parte dell’azienda, a differenza di altri suoi colleghi di pari livello che hanno mantenuto il posto. Quanto al suo essere impossibilitato a lavorare la notte, si tratta di una diagnosi che è risultata da una visita cui Gaffodio si è dovuto sottoporre a Torino su indicazione di un medico competente per l’azienda. Secondo Giuseppe Morabito, ex segretario generale della Fiom di Asti, «in tutta questa vicenda ci sono fin troppe coincidenze, e abbiamo il fondato sospetto che queste motivazioni oggettive di fatto insussistenti mascherino una discriminazione bella e buona».
Ma andiamo con ordine. Innanzitutto va detto che tanto Gaffodio quanto Cravanzola sono iscritti alla Fiom, mentre Passalacqua lo è stato in passato. Ma c’è di più: Vittorio è stato anni addietro ben più di un semplice iscritto, ricoprendo tanto il ruolo di Rsu aziendale quanto quello di segretario dei metalmeccanici della Cgil di Asti. «Si trattava di una figura riconosciuta», spiega Morabito «all’interno di una fabbrica in cui per anni la Fiom è stata il sindacato maggioritario». Poi succede qualcosa. «Circa un anno e mezzo fa, quando ero ancora Rsu», racconta lo stesso Gaffodio «io e il collega che all’epoca era rappresentante dei lavoratori per la sicurezza abbiamo fatto una segnalazione al servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro della Asl». L’esigenza di far fare una serie di accertamenti alle autorità preposte era nata dai timori manifestati ai due rappresentanti da alcuni lavoratori del reparto cesoie. «Personalmente», prosegue Gaffodio «non ero toccato dal problema, perché all’epoca lavoravo alla tranciatura, con il prodotto quasi finito. Ma i colleghi delle cesoie mi avevano chiesto di fare qualcosa perché temevano per la loro salute, e pertanto ho fatto partire la segnalazione».
In effetti, la Asl rileva in azienda delle tracce di cromo esavalente e di silicio, e chiede un’ulteriore verifica all’Arpa di Grugliasco. Da quel momento in poi, tuttavia, per Vittorio e per molti altri iscritti alla Fiom in fabbrica comincia il calvario. «La direzione aziendale ha cominciato ad attaccarmi in continuazione, tanto che nel giro di sei mesi ho preso 10 provvedimenti disciplinari per motivi sempre pretestuosi e futili». «Più in generale», sostiene Morabito «nel periodo successivo alla chiamata della Asl riscontriamo in quella fabbrica una serie di azioni programmate dalla direzione e specificamente dirette contro la Fiom». L’azienda si serve di alcuni lavoratori vicini alla direzione per raccogliere le firme (almeno il 50% del totale dei dipendenti, secondo il regolamento) che servono a far dimettere le Rsu in carica. Alle nuove elezioni, risulta che la Fiom non ha più in mano la rappresentanza dei lavoratori. «È a questo punto», prosegue Morabito «che cominciamo a riscontrare una coincidenza che non può non colpirci: di fatto, nello stabilire chi deve andare in cassa integrazione, l’azienda finisce quasi sempre per scegliere, col consenso delle nuove Rsu, operai iscritti alla Fiom». Gaffodio è fra questi, per più di un anno. «A quel punto, abbiamo iniziato a pensare ad una vertenza legale contro la discriminazione degli aderenti alla nostra organizzazione e, nel caso specifico di Vittorio, a una causa per mobbing».
Ieri, con la comunicazione del licenziamento, l’epilogo della vicenda. «Le motivazioni addotte dalla Lagor sono pretestuose: come si può dire che non si ha più bisogno di un lavoratore che non sa usare una macchina per l’utilizzo della quale l’azienda non gli ha offerto alcuna formazione?». Più in generale, sostiene Morabito, «qui si tratta di tirare le fila: c’è un lavoratore, della Fiom, licenziato insieme ad altri due lavoratori, anch’essi iscritti o ex iscritti alla Fiom. Poi c’è la cassa integrazione che colpisce quasi solo operai Fiom. E, guarda caso, tutto ciò avviene dopo una segnalazione alla Asl, fatta da operai della Fiom, fra i quali figura uno dei licenziati, e dopo il colpo di mano che costringe alle dimissioni le Rsu Fiom». La cosa è tanto più sospetta perché, in casi simili, qualora cioè le esigenze economiche e produttive dell’azienda richiedessero effettivamente tre lavoratori in meno, bisognerebbe avviare una procedura di mobilità. In tal caso i tre licenziati avrebbero diritto agli ammortizzatori sociali. Stanti così le cose, invece, il loro è un semplice licenziamento per motivo oggettivo che, secondo la riforma Fornero, può essere sì impugnato davanti al giudice ma, qualora quest’ultimo ne stabilisca l’illeggittimità, non può portare al reintegro. «Ora», conclude Morabito «siamo decisi a far causa, ma dovremo provare che si è trattato di un licenziamento discriminatorio, non economico. Non sarà facile, ma è importante farlo soprattutto per un motivo: non vorremmo che passasse l’idea che con la nuova legge ti possono licenziare se dai fastidio alla direzione aziendale. Sarebbe catastrofico, perché indurrebbe i lavoratori a stare zitti e ad accettare condizioni sempre peggiori e rischi per la propria salute, pur di mantenere il posto».

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