Che cosa accomuna i presunti protagonisti annunciati del “nuovo che
avanza” Beppe Grillo e Matteo Renzi, se non l’essere stati totalmente
relegati ai margini dell’insignificanza nella vicenda terminale del
ventennio berlusconiano?
Di più, nel non aver avuto il benché minimo ruolo in quello che è
probabilmente il passaggio decisivo dalla Seconda alla Terza Repubblica:
il braccio di ferro tra il premier Enrico Letta e il suo vice Angelino
Alfano – da una parte – e Silvio Berlusconi dal’altra, sulla liceità o
meno di mantenere l’ipoteca capricciosa di quest’ultimo sul sistema
politico italiano; per cui impunità e privilegi ad personam vari
(all’insegna del singolare principio lungamente accettato che “la legge
NON è uguale per tutti) hanno improvvisamente smesso di essere la norma
imperativa caratterizzante la costituzione materiale dell’attuale
Repubblica al lumicino.
Sicché – triste a dirsi – non sono stati né i “vaffatori” e neppure i
“rottamatori” a guidare la campagna di liberazione dall’orrido
sporcaccione compulsivo di Arcore, quanto il nipote prediletto
(l’Enrico) del consigliori principe (il Gianni Letta) dell’attuale
epurato, in stretto concerto (combutta?) con il suo primo valletto di
stanza (vulgo “cameriere”: l’Angelino).
Qui di seguito, che cosa hanno in comune Beppe Grillo e Matteo Renzi
con la buonanima di Silvio Berlusconi, oltre ad essere già tutti finiti
nello scorticatoio imitativo di Maurizio Crozza, il migliore analista
politico oggi su piazza? Facile a dirsi: sono tutti e tre espressione di
quello star-system applicato alla politica (tecnicamente
“politainment”) che ebbe in Marco Giacinto Pannella il suo precursore:
la trasformazione del discorso pubblico nel set di un reality in cui il
leader favorisce processi di identificazione ad innamoramento nei propri
confronti da parte dei fans (erroneamente definiti militanti, sebbene
vengano indotti a credersi tali).
Una trasformazione che i politologi definiscono “democrazia del
pubblico”, segnalandoci la contestuale trasformazione dei cittadini in
spettatori, legittimati esclusivamente ad esprimersi attraverso
l’applauso.
Nella crisi della forma-partito tradizionale questi partiti personali
o aziendali o “di plastica” ci sono stati raccontati come il massimo
del postmoderno. In effetti hanno rappresentato la regressione a
modalità di accaparramento del consenso tipiche di realtà arcaiche,
tendenti al rurale: il foro boario, la rappresentazione in piazza…
Ritorni al passato indotti dalle grandi semplificazioni proprie della
comunicazione mass-mediale; che riduce il discorso allo slogan, alla
sintesi banalizzante del tweet.
Una stagione virtuale conclusa sotto le repliche impietose di una
crisi materiale che suona la campanella della fine ricreazione.
Purtroppo, anche per la natura sovrastrutturale delle alternative
disponibili di cui si diceva (la chiacchiera ovvia di Renzi, la
ribellione senza strategia di Grillo), il passaggio in atto si realizza
all’insegna della restaurazione; mentre tramontano sul nascere gli
orizzonti di una democrazia presa sul serio, le promesse di una politica
veramente dalla parte della deliberazione partecipata.
Questo avviene perché, nel vuoto di proposte costruttive, il ceto
politico trova l’ennesima scappatoia per tutelare la sua presa sulla
società. Difatti il giovane Letta sta mantenendo con una certa abilità
la barra sulla rotta di questo ritorno al passato, in viaggio verso una
Terza Repubblica con molti tratti di somiglianza con la Prima:
dall’accantonamento delle distinzioni tra Destra e Sinistra (contenti,
grillini?) per il ripristino di un Centro onnivoro, alle pratiche
mediatorie che congelino ogni problema, facendo marcire – al tempo
stesso – le insorgenze sociali. Insomma, dopo le star di una politica
pochade, ecco ritornare in auge i chierichetti mannari in abito grigio e
voci flautate da cantori gregoriani.
Prima che le narrazioni catechistiche con funzione
consolatoria/mistificatoria (la ripresa dietro l’angolo, la buona
amministrazione, le riforme come una giaculatoria…) abbiano
definitivamente occultato nei loro fumi d’incenso la percezione del
reale, sarebbe bene che la residua rabbia trovasse il modo di
individuare nuovi campi e strategie rinnovate per la ripresa della
lotta. Nel mondo vero, non su facebook.
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