Un grazie sentito a Enrico Marro, de IlSole24Ore (soltanto un'omonimia con quello del Corriere),
per l'eccellente analisi che qui sotto riproponiamo. Non siamo mai
larghi di complimenti con la stampa mainstream, ma quando ci vuole, ci
vuole.
Viene infatti illustrato il meccanismo che ha
consentito a Wall Street di restare sui livelli massimi degli ultimi
anni, anzi di salire ancora un po', anche dopo la chiusura del lungo
periodo di quantitative easing da parte
delle Federal Reserve, la banca centrale Usa. Un giochino semplice, in
fondo, consistente nel riacquisto – e successiva eliminazione – di
azioni parte delle stesse aziende che le hanno emesse.
Un giochino che crea scarsità di azioni, ne fa levitare il prezzo e
garantisce quindi “premi di produzione” da favola per i consigli di
amministrazione.
Il problema sistemico è che si tratta di un giochino
costoso: le aziende che lo praticano devono spendere cifre rilevanti, a
volte addirittura indebitandosi, per non produrre assolutamente nulla. Solo un effetto prezzo necessariamente temporaneo.
Giustamente Marro, appoggiandosi sull'analisi di
Roberto Fugnoli di Kairos (ne abbiamo pubblicato anche noi delle
analisi, a volte), sottolinea come chi fa questo giochino
di fatto stia confessando di non aver più molto da vendere sul mercato
(e consideriamo che si sta parlando di leader assoluti del mercato
mondiale come Apple!). Ed anche il fatto che prima o poi, ma senza alcun
dubbio, questo gioco finirà travolgendo sia le aziende coinvolte che
tutti quanti vivono di mercato. Compresi i lavoratori dipendenti, le
popolazioni nel loro complesso, ecc.
Naturalmente, questo è un segnale
inequivocabile di crisi sistemica – vuole dire pressappoco “decisiva”,
se non definitiva – del capitalismo attuale. Perché il profitto si trae
con sempre minore margine dalle attività produttive e sempre di più
viene sostituito con i "rendimenti" garantiti dall'ingegneria
finanziaria più sofisticata. Purtroppo, le prime ha senso “fisico”
(indipendentemente dalla fisicità delle singole merci), mentre la
seconda è matematica pura. Che, com'è noto, “non si mangia” (non si guida, non si indossa, ecc), quindi è altamente "volatile". Un soufflé.
Cosa dobbiamo dunque attenderci?
Non certo “la ripresa” (sta per chiudersi l'ottavo anno di crisi e sta
per iniziare il nono; ogni trimestre rinviano “la luce in fondo al
tunnel” alla fine dell'anno in corso....). Ma il “botto”. E più gonfiano
la bolla, più sarà grande.
Non è l'unica anomalia che sta
salendo dalle viscere dei mercati globali (basta guardare la
“dissociazione” del Fmi dal resto della Troika sulla vicenda greca), ma
possiede molte delle caratteristiche tipiche dei “casus belli”. Proprio
come lo “schema Ponzi” del 1929 o i mutui subprime del 2007.
*****
La nuova droga di Wall Street si chiama buyback. Ecco come funziona «e perché rischia di farci male»
di Enrico Marro, Il Sole 24 Ore
La nuova droga finanziaria che
va di moda a Wall Street si chiama buyback. Roba potente, in cui si
scivola quando ci si cerca di disintossicare dai vecchi stupefacenti,
come l'ormai archiviato Quantitative Easing della Federal Reserve.
Ma che cosa sono i buyback?
Sono semplicemente il riacquisto delle proprie azioni da parte della società che le ha emesse. E visto che una compagnia non può essere azionista di se stessa, i titoli riacquistati vengono assorbiti e quindi cancellati. Il valore delle azioni circolanti finisce così per incrementarsi: essendocene meno sul mercato, ciascuna dà il diritto al possesso di un pezzo più grande dell'azienda. Compro le mie azioni e così facendo le faccio salire, assieme ai dividendi e – guarda caso - ai bonus dei top manager. Un giochetto sempre più di moda, come mostrano i dati degli ultimi anni. Vediamoli.
Ma che cosa sono i buyback?
Sono semplicemente il riacquisto delle proprie azioni da parte della società che le ha emesse. E visto che una compagnia non può essere azionista di se stessa, i titoli riacquistati vengono assorbiti e quindi cancellati. Il valore delle azioni circolanti finisce così per incrementarsi: essendocene meno sul mercato, ciascuna dà il diritto al possesso di un pezzo più grande dell'azienda. Compro le mie azioni e così facendo le faccio salire, assieme ai dividendi e – guarda caso - ai bonus dei top manager. Un giochetto sempre più di moda, come mostrano i dati degli ultimi anni. Vediamoli.
E' un giochetto sempre più di moda, nell'era dei tassi
a zero: mi indebito spendendo poco o nulla e guadagno perché le azioni
della mia società salgono. C'è anche questo dietro all'impressionante
rally di Wall Street degli ultimi anni, come dimostra l'indicatore che
misura le “dosi” di questa inebriante droga. Lo
S&P500 Buyback Index segue i 100 titoli più attivi sul fronte
riacquisti: se osserviamo il grafico di questo indice (vedi l'immagine
qui sopra) vediamo che dal 2012 inizia a impennarsi per arrivare a
raddoppiare in appena tre anni. E se sovrapponiamo il “Buyback Index”
all'indice S&P500 vero e proprio, vediamo che il primo batte
regolarmente il secondo in 17 degli ultimi 20 anni, con una progressione
incredibile negli ultimi tre anni. Tanto che ora sono spuntati anche
ETF proprio su quest'indice (in Europa il primo è quello lanciato da
Amundi pochi giorni fa), per investire sul boom dei riacquisti. Che
piace a tutti, a partire dalla società più grande del mondo, quella con
una Mela come simbolo. La campionessa del buyback.
Tra i campioni del giochetto del buyback c'è Apple, il
cui programma di riacquisto di azioni proprie ha toccato quota 140
miliardi di dollari. C'è anche questa magia dietro al volo delle azioni
della Mela (+40% nel 2014). Ma il fenomeno è diffuso in società di ogni
ordine e grado: Bloomberg l'anno scorso calcolava
che le 500 maggiori società di Wall Street hanno investito nei buyback
circa mille miliardi di dollari, pari al 95% dei loro profitti. Secondo
Morgan Stanley dal 2012 più del 50% della crescita degli utili per
azione si deve ai buyback: senza i riacquisti, gli utili per azione
dello S&P 500 sarebbero aumentati di appena il 3,3% annualizzato. In
un mondo di bassa crescita e ritorni fiacchi, la droga dei buyback
sembra l'unica strada per remunerare gli azionisti.
Per continuare a
sognare, insomma. Ma il sogno potrebbe presto trasformarsi in incubo.
Vediamo perché.
I buyback sono una droga piacevole e remunerativa, già
nota durante le bolle del 2000 e del 2007, ma alla lunga pericolosa.
Per tante ragioni, come spiega tra gli altri
Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos.
Primo: sono il modo meno
produttivo di investire i profitti aziendali. «Le società ammettono,
usando il cash per acquistare azioni proprie, di non avere molte idee
per un uso produttivo della liquidità o, peggio ancora, di non avere
fiducia nel futuro del loro settore», spiega Fugnoli. Secondo: alla
prossima crisi ci troveremo con un mercato azionario «che cadrà da un
livello gonfiato dai buyback e con società con uno stato patrimoniale
meno solido di quello che avrebbero avuto restando ferme», sottolinea lo
strategist di Kairos.
E quelle che lo stesso Warren Buffett definisce
quotazioni “gonfiate” potrebbero esplodere all'improvviso, precipitando.
Senza contare il debito. Il gioco del buyback prevede infatti che si
prendano soldi in prestito a tassi infimi. Così, come ha ricordato ieri
il Wall Street Journal, in marzo il margin debt della Borsa di New York
ha superato di slancio quota 476 miliardi, il livello più alto degli
ultimi cinquant'anni. Tutto bello? Sì, finché la musica continua. Ma
quando improvvisamente si fermerà, nel fuggi fuggi generale la liquidità
sul mercato secondario rischia di prosciugarsi tutta d'un colpo. E
allora sì che ne vedremo delle belle.
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