La realtà ha la testa più dura dell'ideologia. Persino di
quella ordoliberista di matrice tedesca che domina ai piani alti
dell'Unione Europea e solo lì. Nella defatigante trattativa tra la Troika
(Ue, Bce, Fmi) e la Grecia, fin qui condotta a colipi di diktat e
strangolamento finanziario da una parte e proposte alternative, spesso
al limite della provocazione intelligente, dall'altra, alla fine è stato
addirittura il Fondo Monetario Internazionale ad alzare bandiera bianca
e rasegnarsi a "consigliare" una ristrutturazione del debito pubblico
di Atene.
Sia detto per inciso: è la proposta che fin dall'inizio aveva fatto
Yanis Varoufakis per conto del governo ellenico e per cui si era
meritato l'epiteto di "dilettante" da parte del boero destrorso Jeroen
Dijsselbloem, capo dell'Eurogruppo e vicepresidente del Consiglio
europeo. "Ristrutturazione" è il termine tecnico, alquanto eufemistico,
che sta per "cancellazione parziale" del debito. Del resto, come
ripetono tutti gli analisti (oltre che il governo greco), Atene non
potrà mai ripagare un debito salito dal 125 al 180% grazie agli "aiuti" e
ai "fraterni consigli" della Troika, che aveva trovato due obbedienti
complici nel "socialista" papandreou e nel consevatore Antonis Samaras.
E' bastato che una coalizione riformista, ma seria, come Syriza
puntasse anche un poco i piedi per far scattare prima la ritorsione
finanziaria (è bloccata da tre mesi l'ultima tranche di "aiuti" per un
valore di 7,2 miliardi di euro), poi il "consiglio" di cambiare governo,
seguito dalla richiesta minima di cambiare almeno il ministro delle
finanze più popolare d'Europa. Ma la resistenza di Atene, sempre in
bilico tra cedimenti parziali e irrigidimenti doverosi (Syriza ha un
mandato elettorale per rimanere dentro la Ue e l'euro, ma mettedo fine
alle politiche di austerità), ha provocato la spaccatura tra i suoi
aguzzini.
Non c'è ideologia neanche in questo caso. Il Fondo Monetario
Internazionale ha una quota minima di crediti da esigere ei confronti di
Atene, mentre la gran pare dell'esposizione debitoria grava sulle
spalle dei governi dell'Unione. Che raccolgono così quanto meritano: la
soluzione scelta al tempo del primo "salvataggio" della Grecia era stata
infatti particolarmente indicativa. Il debito greco era per alcune
decine di miliardi (ma c'è chi calcola fossero soltanto 10) nei
confronti delle principali banche del Vecchio Continente, soprattutto
tedesche e francesi; il "salvataggio" è consistito nel dare soldi
pubblici europei (degli Stati nazionali) ad Atene con l'obbligo di
girarli alle banche private. Così un credito privato diventato
inesigibile è stato fatto diventare un credito pubblico, a carico dei
contribuenti europei, ad altissimo rischio. Nell'operazione, in ogni
caso, la cifra del debito è levitata enormemente, fino a diventare di
240 miliardi. Una cifra impossibile da restituire, anche a rate, per un
paese nel frattempo distrutto a colpi di privatizzazioni,
liberalizzazioni, taglio della spesa pubblica e dei salari, che ha visto
crollare di oltre il 25% il proprio Pil in soli cinque anni di "aiuti".
La decisione del Fmi, ancora da confermare ufficialmente, ma già
"scontata" sui mercati internazionali con una caduta generalizzata delle
borse (oltre i due punti percentuali in pochi minuti), è arrivata
completamente inattesa. Avrebbe infatti minacciato di non versare la
propria quota dei 7,2 miliardi in attesa da tre mesi se non si fosse
contemporaneamente proceduto a mettere in piedi un serio piano di
"ristrutturazione" del debito. In altri termini, è come se avessero
detto: "è inutile continuare a versare aiuti in un pozzo da cui non
torneranno mai indietro; diamoci un taglio, radicale, riportiamo quel
debito a un livello credibile, e allora si può continuare a tenere la
Grecia dentro l'Unione".
Con buona pace di quei criminali che, tra Berlino e Francoforte,
hanno continuato a tirare il cappio intorno al collo di Atene nella
convizione che si potesse davvero spremere sangue dalle rape.
E'
così passata improvvisamente in secondo piano tutta la trattativa, in
corso da giorni senza limiti di durata, sul "pacchetto di riforme
strutturali" che il governo Tsipras avrebbe dovuto accettare smentendo
se stesso nel rapporto con gli elettori e le speranze di una popolazione
intera.
A
conferma che l'ironia della storia è veramente feroce, a fare la
proposta , nel corso dell'Eurogruppo a Riga, è stato quel Poul Thomsen,
capo del dipartimento europeo del Fmi, che aveva guidato la delegazione
della Troika ad Atene per cinque tragici anni.
In ogni caso la trattativa non finisce qui e non sembra che possa
dare grandi risultati da qui a una settimana. Lo stesso Varoufakis ha
spiegato che «L'11 maggio ci saranno sicuramente discussioni proficue
che confermeranno i grandi progressi fatti e verrà fatto un ulteriore
passo verso un accordo finale».
Adesso tutti hanno smesso improvvisamente di sorridere sardonici. Lo
spettro di un'uscita della Grecia dalla Ue e dall'euro sui fa molto più
concreto; e i "paesi carogna" (quei Piigs che hanno fatto fin qui
quadrato insieme a Berlino contro Atene, a cominciare dall'Italia
renziana) sentono il brivido del terrore lungo la schiena. La
speculazione finanziaria globale, infatti, ha già fiutato la tempesta
sui mercati europei; e non mancherà di rivolgere i propri artigli prima
di tutto contro quei paesi deboli che si sono comportati come kapò.
Chiaramente per noi è una notizia che dimostra una verità ormai sotto
gli occhi di tutti: l'Unione Europea è un mostriciattolo irriformabile,
che fin qui è servito soltanto a rendere più forti le filiere produttive
e le banche dei paesi forti (Germania in testa). Romperla e stracciare i
trattati che la costituiscono è ora un obiettivo decisamente meno
"eccentrico". A Napoli, il 23 e 24 di questo mese, avremo modo di
discueterne con esponenti di mezza Europa: quella che soffre.
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