lunedì 27 luglio 2015

Pompei, il governo e la propaganda


Pompei, il governo e la propaganda
di Tomaso Montanari
 
«Franceschini sta facendo un buon lavoro e la cultura è la chiave del nostro futuro. Anche per questo mi viene una rabbia incontenibile quando vedo le scene di ieri a Pompei»: così il compagno segretario e presidente Matteo Renzi annota (sotto l’eloquente titolo Il nostro petrolio culturale e la rabbia per Pompei) nella fluviale rubrica riservatagli dalla neosovietica Unità diretta dal suo ex sottosegretario Erasmo De Angelis (tanto fedele alla linea da aver scritto che lo Sblocca Italia è di sinistra: anche se forse voleva dire ‘sinistro’).
È la ciliegina su una colossale torta di disinformazione e propaganda che merita di essere tagliata a fette e analizzata per quello che è.
Venerdì mattina un gruppo di lavoratori di Pompei indice un’assemblea senza preavviso e lascia i visitatori fuori dalla porta. Condotta inqualificabile, giustissimo censurarli: cosa che Cgil e Uil fanno immediatamente. Grazie all’encomiabile sollecitudine del soprintendente Massimo Osanna la cosa si traduce nel ritardo di un’ora e un quarto nell’apertura dei cancelli. Grave, certo. Ma forse non il «danno incalcolabile» di cui parla il ministro Dario Franceschini, che trasforma così un evento secondario in un dramma nazionale capace di tenere banco per ore come prima notizia dei siti dei quotidiani, e di stare all’indomani in prima pagina: producendo articoli che descrivono, per ignoranza e forza d’inerzia, una Pompei allo sfascio che non esiste più da due anni.
E cosa si dovrebbe dire del fatto che – giusto per rimanere in Campania – il supermuseo di Capodimonte, uno di quelli in attesa del superdirettore, ha due piani (quelli dove si trovano Caravaggio e Tiziano) chiusi da settimane per un guasto all’aria condizionata: che non dipende da sindacati selvaggi, ma dalle scelte irresponsabili del Ministero guidato da Franceschini? Questo non è forse «un danno incalcolabile»? E questo è solo uno fra decine di esempi possibili.
Domanda: perché Franceschini coglie la palla al balzo e alza un polverone che (oggettivamente) danneggia la reputazione del Paese e di Pompei molto più della stessa assemblea sindacale? Ecco una possibile risposta.
Quel polverone ha completamente coperto, sui media, la concomitante manifestazione nazionale indetta dai sindacati confederali a livello nazionale, con sit in davanti alle sedi del ministero dell’Economia, per protestare contro il mancato pagamento del salario accessorio maturato da novembre scorso per le prestazioni che i lavoratori svolgono a tutela del patrimonio, e contro i tagli pesanti che il governo sta programmando sul salario di produttività: quello che consente le aperture prolungate tanto citate nella propaganda di Franceschini.
Così una accorta regia ha pensato bene di buttare i sindacati in pasto all’opinione pubblica, approfittando di un gesto sconsiderato a cui il 99,9% dei lavoratori del Mibact era estraneo. Una regia che soffia su pregiudizi di classe (i custodi fannulloni, quintessenza del dipendente pubblico fancazzista) e su pregiudizi antimeridionali (nascondendo il fatto che i problemi di Pompei si potrebbero, anzi si dovrebbero, risolvere a Roma).
Incontrando ieri i sindacati, Franceschini ha detto che è inutile mantenere le aperture di 11 ore in tutti i siti, e che quindi saranno diminuite le aperture nei siti ‘minori’: quelli affossati dalla spettacolarizzazione che punta tutto su Pompei, Uffizi e Colosseo. E ha detto anche che potrà assumere solo tramite la società in house del Ministero: che diventerebbe il vero serbatoio occupazionale, aggirando (e non contestando e superando, come si dovrebbe fare) i blocchi del turn over. Con costi maggiorati, ma nascosti nelle pieghe del bilancio e applicando il contratto del commercio: invece di fare i concorsi pubblici che vorrebbe la Costituzione.
Perché, invece di arrabbiarsi incontenibilmente per quel che avviene a Pompei (un posto dove, fino a qualche mese fa, egli non era mai stato), il compagno segretario e presidente non prende atto del fatto che se il patrimonio culturale è una priorità (economica, come direbbe lui), allora bisogna assumere i lavoratori necessari a farlo funzionare?
Infine: tutto il Mibact e il mondo della cultura si stanno sollevando contro la norma della ‘riforma’ Madia che prevede di far confluire le soprintendenze nelle prefetture (comportando con ciò la fine pianificata della tutela del paesaggio e del patrimonio disposta dall’articolo 9 della Costitituzione) e Franceschini grida che il danno incalcolabile al patrimonio è l’ora e un quarto di ritardo nell’apertura dei cancelli di Pompei?!? Spiace dirlo, ma davvero di questo passo rischiamo di ridurci a rimpiangere Sandro Bondi.
La Repubblica

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