giovedì 9 luglio 2015

La nuova Unità – faccio cose, vedo gente di Alfredo Morganti



 unita-addio

Da giovane era abitudine comprare ‘il manifesto’ o ‘Lotta continua’ assieme al ‘Corriere della Sera’. Era per capire, si diceva, anche la posizione della ‘borghesia’. Voleva dire che da ‘Lotta continua’ e dal ‘manifesto’ poco si sapeva delle vicende del mondo, trattandosi di giornali militanti, più impegnati a fare politica che a informare come un qualsiasi altro quotidiano. Quando sono passato all’ ‘Unità’, 40 anni fa, non fu più necessario acquistare un altro quotidiano, perché sul giornale del PCI (sul mio giornale) c’erano anche le notizie, c’erano gli inviati, c’era il lavoro di inchiesta, la cronaca, non solo il dibattito politico. Oggi chi compra ‘l’Unità’ di Renzi deve per forza tornare a quella vecchia abitudine: se affidasse a lei sola la propria conoscenza dei fatti del mondo ne resterebbe quasi ignorante. Con la differenza che ‘Lotta continua’ e ‘il manifesto’ erano comunque fogli critici, e almeno in questo spirito critico facevano giornalismo militante di qualità (Sofri e Pintor testimoniano quanto sto dicendo).
La nuova ‘Unità’ è, invece, una specie di ‘depliantone’, dove si fanno cose e si vede gente. Un tweet prolungato e stiracchiato agli estremi delle 24 pagine. Come ha detto il direttore De Angelis, lì non troverete l’Italia che non funziona (ergo le critiche e gli aspetti problematici ma reali della vita) ma quella positiva, che dà speranze (i grandi successi del governo e di Matteo Renzi). Un giornale che serve a costruire consenso, non ad aprire ferite, dibattiti, controversie, confronti, e insomma a essere tribuna anche di chi dice ‘no’. 
La nuova ‘Unità’ è un caso quasi di scuola di come non si dovrebbe fare giornalismo, l’antitesi del ‘cane da guardia’ anglosassone, ma anche del quotidiano politico alla europea. Mi chiedo se sia stato rimesso in rotativa per ‘informare’ davvero, per aprire finestre sul mondo, sulle cose italiane, sul dibattito pubblico (finestre che mostrino tutto quel che c’è da mostrare, non solo i successi, o presunti tali, del governo), o solo perché andava fatto, solo perché ci serve un depliantone. Parafrasando Fassino: ‘abbiamo un marchio’? E allora facciamoci un giornale.’
Prendete il numero di oggi. Se non ci fosse stato scritto ‘Unità’ avrei pensato a un foglio aziendale Fiat. In prima pagina, ma ancor di più nel paginone centrale c’è pubblicità gratuita Fiat (anzi FCA). L’immagine della nuova Giulia è accompagnata da questa didascalia: “Il muso aggressivo, ecco la nuova Giulia”. Sopra una foto notizia enorme che raffigura la squadra FCA al completo alla presentazione della nuova vettura. Titolo: “Il sorriso della Giulia, fanno festa gli operai”. In basso l’intervista all’operaio speranzoso: “Finalmente si torna a lavorare davvero: comprerò casa”. Nella colonna di destra l’ottimismo di tale Tommaso Nannicini in un articolo sui dati dell’occupazione, mentre a fianco c’è un pezzo dove ci si arrampica sugli specchi per spiegare che dopo la ‘crescita di febbraio e marzo e il calo di aprile, a maggio il tasso di disoccupazione resta invariato’. Una volta, siccome non lo facevano i padroni, si cercava di puntare il piccolo riflettore che si aveva sui problemi (che ci sono sempre); oggi, il riflettore resta piccolo (forse di più), ma si punta dove GIA’ lo ha puntato Marchionne: luce su luce insomma, mentre per l’‘Unità’ i problemi restano al buio.
In meno spazio, ‘il manifesto’ condensa più notizie e più dibattito di un’intera futura annata della nuova ‘Unità’, almeno a considerare le quote attuali. Non so se avete visto ’10 in amore’, il bel film di George Seaton. A un certo punto Clark Gable legge con la dovuta attenzione le vecchie copie di un giornale di provincia (The Eureka, mi pare) diretto dal padre di lei, un’insegnante di giornalismo impersonata dalla grande Doris Day. E conclude che si tratta del giornale più mal fatto che conosca. E poi spiega perché: non è neanche un giornale, ma un tizio che se ne sta seduto e che chiacchiera, chiacchiera, chiacchiera. In prima pagina, dice Gable sventolando una copia a una Doris Day inviperita, c’è una notizia il cui unico fine è scoprire se un tizio abbia acquistato fragole o lamponi. Tanto spazio sprecato, dice ancora Gable, perché occupato dalle chiacchiere, e mai una notizia che mostri l’aderenza del giornale alla realtà. E invece sono le notizie che conquistano i lettori, non le apologie del governo; sono i lettori che consentono di acquisire pubblicità, non gli ammiccamenti o peggio le marchette. È come se un medico aprisse lo studio perché tanto ne possiede uno e non sa come trascorrere le sue giornate, e non perché intenda occuparsi davvero e primariamente della salute dei pazienti. O è ricco di famiglia, e allora buon per lui; oppure molto presto quello studio chiuderà. 
Non si vive di sola propaganda. Non si vive solo per provare a costruire consenso mostrando il ‘bene’ (anche presunto) del mondo. Nuovo o non nuovo, a me pare, in fondo, sempre la stessa storia. Con una certa insipienza in più.

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