mercoledì 22 luglio 2015

La “forza” politica di Alfredo Morganti, nuovatlantide.org


 populismooooooooooooooo



Quando si dice ‘vuoto’ di politica non si ragiona per metafore. Di vuoto vero si tratta. Prendete lo spettacolo dell’Assemblea Nazionale del PD, che è stata sostanzialmente una tribuna per il discorso del Capo. Vi sembra la rappresentazione verace di un partito nazionale? Vi sembra la riunione di un organo di governo? A me è parsa una rappresentazione mediatica, una passerella come quella inscenata da Renzi con la Merkel due giorni prima del referendum greco. Un mero messaggio, un segmento linguistico, non un fatto reale, non un consesso che doveva ‘decidere’, consentire una dialettica, verificare una linea. Vuoto di politica, dunque, ridotta a figurine che si muovono dinanzi a scenari di cartapesta. Dominio della comunicazione (da avanspettacolo, purtroppo) e degli annunci stralunati a scapito della politica-politica.
Ma si tratta di un ‘vuoto’ anche rispetto al gran fiorire di ‘specialismi’ e di tecnicismi che oggi inondano il dibattito e le discussioni. Viene in mente il calcio, cha da sport sanguigno è diventato un mix astratto di finanza e spettacolarizzazione. In questo senso almeno la metafora altrimenti abusata ‘politica-calcio’ ha un senso effettivo. La politica ormai si è tolta di mezzo, si è scansata, mostrando dietro di sé il suo lato economicistico, tecnocratico, iperspecialistico. L’Unione Europea è il palco dove tutto ciò si mostra con nitida schiettezza. Ma anche i palcoscenici nazionali non sono da meno. Questo robusto salire al proscenio della tecnica con profonde ambizioni di comando, che cancella conflitti e conseguenti discussioni democratiche, implica per prima cosa una cessione di sovranità dal popolo alle élite tecniche o burocratiche, una ‘svuotamento’ di potere a vantaggio della sua compressione in stanze segrete (patto del nazareno) o consessi informali (eurogruppo) o uffici (funzionari, tecnici, specialisti) o seminari di altissimo profilo accademico dove il popolo non mette becco nonostante si decida della sua vita e della sua morte.
Il populismo, in fondo, nasce anche per questo ‘ritrarsi’ del potere democratico dalla base della società sino ai gradini intermedi, per mettersi poi al servizio di un Capo che, per comandare, deve anestetizzare le istituzioni rappresentative, neutralizzare la politica, prendere in pugno una élite tecnocratica che risponda solo a lui e perda di vista i cittadini e le categorie sociali. Questo ‘groviglio’ è l’Europa (questo groviglio stanno diventando anche gli Stati nazionali): estrema verticalizzazione del potere (sino a raggomitolarsi in stanzette cieche e insondabili ai più), tecnicizzazione dei linguaggi, riduzione delle fonti di comando a quelle più informali e oligarchiche, riduzione a ‘uno’ del pensiero, delle soluzioni, della sovranità, che viene sottratta al ‘molteplice’ dei cittadini e delle nazioni. L’organizzazione sostituisce la costituzione. Che fare? Be’, francamente se il quadro è questo la risposta è semplice: lavorare esattamente per l’obiettivo contrario. E dunque: riespandere la sovranità, diffondere democrazia, cambiare registri linguistici, tornare alla lingua della politica, ridistribuire partecipazione, consapevolezza, responsabilità. Non mimare nemmeno per scherzo le forme del potere tecnocratico, quelle che chiedono decisioni tecniche, secche, incontrovertibili, e poi computi, calcoli, bilanci, supremazia dei tecnici, e specialisti al posto dei politici.
La politica, appunto. È quella cosa che senza ‘masse’, cittadini, partecipazione, organizzazione, e senza percorsi curvilinei, labirintici, strane lungaggini, dubbi fondamentali, ipotesi, e anche senza guizzanti ripensamenti improvvisi non esiste. Non chiedete alla politica di eliminare il conflitto, la lotta e persino le conversioni a U, sarebbe già morta. Essa non ama le linearità accademiche. Né le coerenze da laboratorio o da seminario specialistico. Né i colpi di genio. Né le certezze dei tabulati. Il suo senso è tutto in quel mestare nel ‘torbido’ di un popolo o di un sociale che presentano infinite esigenze, disagi, interessi, per dargli una forma (a sinistra questa ‘forma’ si dà assumendo il punto di vista degli ultimi). Ci vuol tempo, certo, ma quando è in gioco la sovranità non è uno scherzo, non basta un algoritmo per quanto geniale. Attenzione al giochino delle élite, alle gazze ladre della tecnocrazia. Oggi serve una forza politica, serve come il pane, che non vuol dire solo ‘partito’, vuol dire proprio ‘forza’. Oggi non ne vedo affatto. Tante chiacchiere, tanti tecnicismi, tanta istruzione alta, ma poca politica. Pochissima.

Nessun commento: