Non è tanto una questione di numeri. Fosse solo per quello, non ci sarebbe niente di sconvolgente nelle manifestazioni (tre in una settimana, e già questo non è poco) che hanno attraversato il centro di Madrid. E’ proprio sui numeri – falsandoli, come è suo costume – che cerca di giocare il governo di Mariano Rajoy.
Prima per sminuire la rilevanza della protesta (“sono 4500″, ha detto
sabato la delegata dell’esecutivo nella capitale, mentre un osservatore
neutrale come la Bbc parlava di 60mila persone). Poi
per celebrare il comportamento “esemplare” di chi se n’è rimasto a casa,
tranquillo – ma chi può davvero pensare che ci sia in questo momento in
Spagna qualche cittadino “tranquillo”? – e senza disturbare il manovratore della Moncloa.
Il riferimento del premier alla “maggioranza silenziosa”, fatto da New
York mentre si dilettava di cose lontane anni luce dagli interessi della
gente (ha chiesto un seggio al Consiglio di sicurezza dell’Onu ed è
tornato alla carica su “Gibilterra spagnola“), ha fatto
gelare il sangue nelle vene a chi abbia un minimo di memoria. Glielo
hanno ricordato in tanti, politici, sindacalisti, intellettuali: la
“maggioranza silenziosa” era quella che permetteva a un tiranno feroce
come Francisco Franco di giustificare la propria quarantennale dittatura.
In un paese che non ha ancora rimarginato le ferite del passato – ed è proprio la destra del Partito Popolare,
con il suo ottuso rifiuto a condannare il franchismo, a impedire la
condanna morale dei crimini contro l’umanità e il risarcimento delle
vittime – la ricomparsa di atteggiamenti autoritari non può far altro
che generare enorme inquietudine. Hanno voluto far passare per “attacco
alle alte istituzioni dello Stato” una manifestazione maggioritariamente
pacifica (con pochissime, sparute eccezioni) di
cittadini stanchi e indignati per il vero, grave “attacco” che si sta
consumando in questi mesi: quello programmato e messo in atto dalla
destra di governo contro lo stato sociale, contro i diritti dei
lavoratori conquistati in trent’anni di lotte sindacali. La segretaria
generale del Pp, Dolores de Cospedal, ha persino
paragonato la manifestazione della “Coordinadora 25S” – convocata
martedì scorso quando il Parlamento era riunito in sessione plenaria –
al colpo di Stato del 23 febbraio 1981. Solo perché lo slogan coniato
dagli organizzatori, “Ocupa el Congreso“, è stato volutamente frainteso come se ci fosse davvero qualcuno che avesse intenzione di dare l’assalto all’edificio delle Cortes.
Niente di più falso, ovviamente. “Ocupa” voleva solo richiamare il termine “Occupy”
già impiegato a Wall Street e altrove nel mondo. Tanto che poi, a
scanso di equivoci, l’hanno modificato in un più appropriato “Rodea el Congreso“,
circonda il Parlamento. Dentro, nell’emiciclo delle Cortes, a
differenza del 23-F, non si è visto nessun tenente colonnello della
Guardia Civil sparare all’impazzata come fece Antonio Tejero Molina
tenendo in ostaggio i rappresentanti del popolo. Fuori, a debita
distanza, dietro la doppia protezione di alte transenne guardate a vista
da centinaia di agenti di polizia, c’erano solo comuni cittadini che
con le mani al cielo scandivano: “Queste sono le nostre armi”. Il
Parlamento, in effetti, l’hanno circondato, con una catena umana
pacifica e festosa, tenendosi per mano lungo un percorso di almeno tre,
quattro chilometri.
Ma il governo Rajoy, forte di una maggioranza
assoluta conquistata a base di menzogne (in nove mesi di amministrazione
ha contraddetto, punto per punto, tutto il programma elettorale
presentato nel 2011) soffre di un’allergia assoluta e irrazionale nei
confronti di chiunque osi esprimere il proprio dissenso.
Altrimenti non si spiega la trasformazione del centro della capitale in
una città fortificata. Non ha senso far convergere su Madrid il 60 per
cento delle “Unidades de intervención policial” (gli agenti “antisommossa“)
di tutta la Spagna. Non si possono schierare centinaia di furgoni, con
1300 poliziotti addestrati per le situazioni a più alto rischio, come se
davvero esistesse un pericolo concreto e imminente per la democrazia.
Le poche decine di scalmanati, che come sempre compaiono, ad un certo
punto, nelle manifestazioni di massa, potevano essere controllati e
isolati. A questo dovrebbe servire l’alta preparazione professionale
degli agenti. E invece no. Sabato è bastato un petardo,
solo un petardo, per scatenare la prima carica. E non è da scartare
l’ipotesi – esistono parecchi indizi – che a volte siano proprio alcuni
poliziotti infiltrati ad agire come provocatori, per scaldare gli animi e
giustificare l’azione repressiva. Uno è stato
immortalato dalle telecamere: bloccato a terra da alcuni agenti, che
stanno per ammanettarlo, urla a squarciagola: “Non picchiarmi, sono un collega“. I manifestanti si sono subito appropriati di questa frase, e ora la ripetono divertiti in piazza: “No me pegues, soy compañero“.
Preoccupano i metodi spicci impiegati dalla polizia in queste
giornate. Le minacce e le intimidazioni a giornalisti, fotografi,
cameraman. L’irruzione degli agenti nella stazione ferroviaria di Atocha,
seminando il panico tra i viaggiatori e sparando proiettili di gomma
(non era mai successo, in uno spazio pubblico chiuso). E poi la caccia
all’uomo, già dopo aver disperso con la forza i dimostranti: li seguono,
entrano nei bar e nei locali dove i giovani cercano
rifugio. Li trascinano fuori, ed è un pestaggio dopo l’altro. E’ chiaro
che non è solo il sadismo di poliziotti che in certi casi hanno simpatie
per la destra estrema e vogliono dare una lezione ai “rossi”. No, le
direttive vengono dall’alto, dal ministro dell’Interno che li elogia per
aver agito “magnificamente”. E dallo stesso premier, che forse si
illude che un po’ di manganello possa dissuadere gli scontenti. Un gioco
altamente pericoloso. Il leader socialista glielo ha detto chiaro,
giorni fa: “Il paese ti sta sfuggendo di mano”. Rajoy, messo alle
strette, non sa come tirarsi fuori dal pantano.
Ogni giorno di più, dimostra di non avere né la statura politica né la freddezza necessaria. Una vera tragedia, proprio nel momento in cui si tratta di prendere una decisione sul salvataggio finanziario e di affrontare la sfida indipendentista catalana.
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