Lo
spostamento del centro a bassa soglia dalle vicinanze di Piazza Grimana
è per molti un atto obbligato soprattutto dopo che lo stesso è stato
abbandonato diventando, suo malgrado, un simbolo di degrado dell’area.
Credo, però, che sia da rifiutare il parallelismo che associa la
presenza di una struttura sanitaria che si occupa di dipendenze alla
crescita del degrado e della criminalità.
Un’esemplificazione che non trova riscontro in nessuna esperienza:
anzi, a guardare quello che avviene nel resto d’Europa, per non parlare
di molte esperienze avviate negli Stati Uniti, è proprio la presenza di
operatori sanitari, di centri di assistenza, oltre che di politiche
sociali mirate, non necessariamente antiproibizioniste in senso lato, a
determinare una diminuzione di crimini commessi nell’ambito dello
spaccio e del consumo, la diminuzione di malattie quali epatiti e HIV,
l’inizio di percorsi di reinserimento nella vita attiva dei
tossicodipendenti.
Con il proibizionismo che cosa si è ottenuto? Un aumento della
diffusione delle sostanze che costringe chi ha questo problema a
sofferenze fisiche e psichiche, per non parlare dei costi per la società
rispetto ai reati connessi e dell’arricchimento delle organizzazioni
mafiose che hanno fatto del traffico di stupefacenti il loro principale
affare: l’insistenza verso una causa sbagliata come quella del
proibizionismo accresce i dubbi su possibili connivenze e sul potere che
le mafie esercitano tutt’oggi sullo Stato.
Se una distinzione è necessaria tra droghe leggere e pesanti (il tema
è molto vivo negli Stati Uniti dove, oltre alla legalizzazione della
marijuana per scopi terapeutici, gli stati del Colorado e di Washington
ne permettono la coltivazione e l’uso per scopi ludici anche per
combattere l’uso e l’abuso della marijuana sintetica -legale e venduta
nei tabacchi- e di altre droghe chimiche legali che causano danni fisici
permanenti e in alcuni casi anche la morte), il tema della
distribuzione controllata di eroina (Germania, Danimarca, Francia e
naturalmente la Svizzera hanno delle sperimentazioni avviate e con dati
interessanti sia sul fronte della riduzione del danno causato dalla
dipendenza sia sul tema della legalità e sicurezza), l’implemento dei
centri a bassa soglia e la necessaria cancellazione della
Fini-Giovanardi sono tabù a oggi insormontabili che non permetteranno
mai all’Italia di combattere efficacemente lo spaccio e l’abuso di
sostanze. Per non parlare della modificazione che sta avvenendo in
Italia dei rapporti sociali, sempre più viziati dalla crisi economica e
da un senso di insicurezza oramai generalizzato in tutti gli ambiti del
quotidiano, nel quale lo sballo, sia esso prodotto da sostanze
psicoattive o da alcool, si inserisce come elemento di svago e di nuova
socialità.
Questi temi andrebbero offerti a una discussione più ampia e
collettiva, libera dai tradizionali schieramenti e gabbie ideologiche
(in Europa la discussione è trasversale): senza questa discussione,
un’assemblea convocata per discutere della sicurezza di un intero
quartiere e della criminalità legata allo spaccio e al consumo di droga
avrà come unica richiesta (con tanto di risposta positiva)
l’allontanamento del centro a bassa soglia messo lì in passato come
risposta allo stesso tema e poi abbandonato. Anzi, torna in auge nella
discussione il parallelismo “canne-coca-eroina” che, se mai esistito, è
oggi quanto mai falso dato che, per citare una canzone, ormai si passa
dalle marlboro all’eroina (o qualsiasi droga sintetica) alla faccia
delle droghe leggere.
Il centro di Perugia non sta morendo, ma è tutta la città che rischia
il declino. Il centro storico, caricato negli anni di aspettative e
promesse che evidentemente era difficile mantenere, non vive di vita
propria, ma risente inevitabilmente del destino delle periferie. La
città smarrisce un pezzo della propria identità ogni volta che viene
aperto un centro commerciale, ogni volta che una strada o una rotonda ti
obbligano a passarci accanto, ogni volta che il tema si scalda su droga
e prostituzione e si chiudono gli occhi sulle nostre ipocrisie, ogni
volta che chiude un attività commerciale non per colpa del mercato, ma
per un insano modo di interpretare il ruolo dell’imprenditore, fuori
luogo in un contesto che avrebbe invece bisogno di innovazione, nuovi
stimoli e una nuova classe dirigente politica ed economica. Di spazi se
ne liberano tutti i giorni, basta dare le occasioni giuste per
rioccuparli.
Enrico Flamini, Segretario Provinciale Prc Perugia
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