venerdì 27 settembre 2013

Sinistra da tavola calda


pentole1Anna Lombroso per il Simplicissimus

Una volta era di moda ricordare che la specialità, per non dire la superiorità femminile era legata ad alcune cifre gentili: dedizione, sensibilità, capacità di accoglienza, indole alla comprensione e alla compassione, primato del sentimento sull’ambizione e così via. E mi piaceva perché confermava una mia diversità fatta di minestre calde, camicie ben stirate, una certa abilità nel rifare l’orlo dei calzoni, leggiadria nel preparare tavole ben imbandite intorno alle quali ragionare insieme con amicizia, e che non ostacolava certamente l’esprimersi tenace di competenza, professionalità, capacità, che anzi mi pareva le esalta serro e completassero.
Beh, non va più bene, in tempi nei quali uomini e donne sono ridotti in schiavitù da una aberrazione della mobilità e della moderna flessibilità che si chiama precarietà così che i loro corpi e i loro diritti sono diventati meno che merce, robaccia da scambiare e svendere a prezzi di liquidazione, c’è chi si preoccupa di Miss Italia. E quando ormai in tavola c’è sempre meno da imbandire, sono calati i consumi di carne e frutta, certi negozi ripristinano il libriccino e anche il cartello immarcescibile: oggi non si fa credito, domani si, c’è chi lancia improbabili invettive nei confronti di pubblicità che mostrano mogli e mamme umiliate dalla mansione servile di mescere, fare le porzioni, preparare la tavola per i familiari.
Devo essere stata corrotta da questi messaggi se continuo a considerare più avvilente non avere niente da mettere sul desco, se presto mamme italiane persuaderanno  i loro bambini a addormentarsi aspettando la cottura di quella zuppa che è sul fuoco, in una pentola dove stanno a bollire non legumi e nemmeno coscine di pollo, ma sassi, grigi e freddi, raccolti dalla strada.
Si devono proprio avermi contaminata se continuo a vedere altrove pericoli, ideologici, culturali e morali piuttosto che in un spot magari rigorosamente eterosessuale, ma fermamente ridicolo dove un cattivo attore in disarmo parla con le galline, che lo zapping è nato per quello in fondo, per saltarlo così come faccio coi videomessaggi del condannato. Perché il bello del contrasto ai persuasori occulti o espliciti è che sono tanti, spesso risibili, ci affollano, ma annegano nel mare della comunicazione dove gran parte di noi ha gli strumenti per orientarsi e per scegliere, spaghetti che scuociono inesorabilmente o candidati imbroglioni, messaggi  commerciali e consigli per gli acquisti.
È da un bel po’ che guru e sacerdotesse, satrapi e imperatrici delle dinastie Ming, ambosessi,   prestati generosamente alla mansione, quella sì servile, di tirare la tela su reati, soprusi e crimini, in modo che appaiano vizietti che sembrano innocenti, di additare alla riprovazione i delitti che galleggiano in superficie per distrarre da quelli saldamente affondati nel profondo che contaminano la società. Va a sapere, ma ormai non è più importante, se questo istinto a svelare per nascondere, a denunciare per favorire sia naturale, venga così, all’insaputa di chi lo manifesta o segua un disegno.
Certo è che gli effetti speciali della distrazione  producono disastri se inducono scandalo per gli istinti sessuali più che per quelli golpisti, per l’inclinazione all’esibizionismo più che per l’esibizione di un’indole al crimine, più per le affettuose amicizie che per le frequentazioni mafiose. Lo scandalo vero dovrebbe suscitarlo il reiterato tentativo di prenderci per i fondelli con la segnalazione  disgustata degli spot offensivi per le masse mentre sussiste il gusto di sentircisi al di sopra, con l’invettiva di costume mentre regna il malcostume della corruzione, con la denuncia dei corpi femminili avviliti dalla pubblicità, mentre le donne vengono umiliate dall’impoverimento dello stato sociale che le costringe e non per scelta a sostituirsi nei compiti di cura e assistenza, da lavori sempre più degradati, dalla lesione dei diritti loro e dei loro compagni, dalla perdita di futuro dei loro figli e dei figli di tutti, da quella zuppa di sassi che non si cuoce mai.

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