Pubblichiamo il testo dell'appello in cui si chiedono le dimissioni del ministro Profumo. In calce l'elenco dei promotori.
Quasi un anno di governo è sufficiente per giudicare l'operato del
ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, Francesco Profumo. Tutte
le sue scelte confermano che egli è l'esecutore testamentario della
legge Gelmini, vale a dire il prosecutore del più distruttivo attacco
alle strutture della scuola e dell'università pubbliche mai realizzato
nella storia della repubblica. Egli stesso ha dichiarato che tutte le
sue iniziative sarebbero state realizzate «con le risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza
nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Ma è andato
anche oltre. Egli continua a bloccare i concorsi universitari
(sottobanco diminuisce la dotazione finanziaria per la loro
applicazione), ha imposto nuovi tagli agli enti di ricerca, ha
accresciuto il finanziamento alle scuole private, deliberato la
possibilità di aumentare le tasse degli studenti universitari, ha
prorogato i rettori in carica, al potere da decenni. Ma fa di peggio,
perché sta fornendo all'opera di distruzione delle strutture della
formazione un'ideologia ingannevole, quella che ha trovato espressione
nel termine "merito": che ovviamente è, in sé, criterio serio,
rispondente alle aspettative di giustizia di tutti noi.
Tuttavia il merito, per il ministro, è quello che inizia a essere
valutabile a partire dall'anno del suo avvento. Così nel recente bando
di concorso per la scuola, le abilitazioni, i risultati di concorso, le
specializzazioni (conseguiti nel passato dagli insegnanti), non hanno
più alcun valore e i docenti devono essere di nuovo giudicati da chi
oggi ne stabilisce i criteri a proprio arbitrio. Gli stessi titoli dei
docenti universitari vengono valutati secondo parametri stabiliti
quest'anno dall'Anvur, un organismo di nomina oscura, che in base a
criteri privi di riscontro stabilisce che cosa è scientifico e cosa no,
imponendo una classificazione delle sedi di pubblicazione delle riviste e
case editrici, di 10 o 20 anni fa, sulla base di scelte arbitrarie e
inaccettabili.
Nel frattempo, come mostrano i recentissimi dati dell' Ocse, l'Italia
precipita agli ultimi posti fra i paesi industrializzati per spese
all'istruzione e per risultati. Il numero dei laureati/e cala ancora
rispetto alla media europea, le immatricolazioni continuano a diminuire
(meno 10% lo scorso anno). Le condizioni materiali della scuola pubblica
sono degradate da aule sovraffollate, organici insufficienti, servizi
inadeguati, edifici vecchi, quando non pericolanti. Come si risponde a
questo quadro drammatico sotto la guida di Profumo? Alla Camera si sta
tentando di trasformare in legge la cosiddetta "proposta Aprea", che
riduce gli organi collegiali e avvia una privatizzazione camuffata della
scuola pubblica. Nel frattempo, ad inizio di anno accademico, si
innalzano le tasse e aumentano gli sbarramenti all'ingresso
nell'università dei nostri ragazzi/e con quiz cervellotici indegni di un
Paese civile.
Occorre finalmente alzare lo sguardo e afferrare l'ampiezza e la
radicalità della distruzione oggi in atto. L'ideologia del merito serve
solo a disconoscere la formazione, la competenza già conseguita da
milioni di giovani a cui non si è in grado di offrire una prospettiva di
lavoro all'altezza degli studi compiuti. Essa serve a nascondere la
responsabilità di una classe dirigente che negli ultimi 20 anni ha messo
nell'angolo ben due generazioni di giovani studiosi. Tutti gli
sbarramenti posti davanti ai ragazzi/e che vogliono avanzare negli studi
e nella ricerca servono a camuffare una drammatica disoccupazione
intellettuale di massa e farla percepire, da chi ne è vittima, come
incapacità personale e mancanza di merito. Noi diciamo basta a questo
gigantesco inganno. E diciamo basta al declino programmato dell'Italia,
spinta verso la periferia del mondo.
Noi chiediamo le dimissioni di Profumo, uomo di copertura ideologica,
che continua e persegue con l'inganno pubblicitario delle sue trovate
la politica di demolizione dell'istruzione pubblica di massa intrapresa
dal governo Berlusconi. La violenza della polizia contro le
manifestazioni studentesche di questi giorni conferma una continuità
politica che occorre spezzare.
Chiediamo il superamento totale del numero chiuso all'università; la
chiusura dell'Anvur per manifesta incapacità di assolvere il suo
compito. Chiediamo invece il ruolo unico della docenza universitaria con
progressione di carriera basata sulla verifica scientifica dei
risultati. Le procedure per l'idoneità alla docenza devono svolgersi al
più presto secondo seri criteri di valutazione e senza automatismi.
Chiediamo la revoca immediata del bando di concorso per gli insegnanti
della scuola e il rispetto dei diritti acquisiti nel passato.
Chiediamo inoltre stanziamenti adeguati e immediati per borse di
studio nella scuola e nell'università, per i dottorati e per assegni
post-dottorato: un aiuto concreto e un segnale di incoraggiamento per
migliaia di giovani ora privati di ogni prospettiva dignitosa. Dalla
crisi si esce anche con lo slancio e la volontà della nostra gioventù.
Chiediamo un adeguamento delle risorse finanziarie destinate a scuola
e università almeno a livello della media dei Paesi dell'Ocse. A chi
dice che non ci sono i soldi rispondiamo che i soldi ci sono per le
scuole private e cattoliche – in spregio alla Costituzione – ci sono, in
abbondanza e senza valutazione, per l'Istituto Italiano di Tecnologia,
creato dal governo Berlusconi, ci sono per grandi opere dannose come il
sottopasso di Firenze, ci sono – oltre 60 milioni al mese – per la
guerra in Afghanistan, ci sono per gli sperperi di un ceto politico
predone che dissangua il Paese. Secondo il Sole 24ore del 21 settembre,
se i docenti che svolgono attività professionali venissero pagati in
regime di tempo definito, e non di tempo pieno come oggi, si
risparmierebbero almeno 500 miliardi.
"Non ci sono i soldi" è un ritornello per farci accettare la
privatizzazione strisciante del sistema formativo. In realtà, il
bilancio dello stato è oggi territorio di scorrerie di poteri e
clientele, fonte di disuguaglianze e iniquità. I soldi ci sono per chi
fa la voce grossa. Facciamo sentire la nostra.
Nell'approssimarsi di un momento cruciale della politica italiana,
chiederemo a chi si candida a governare l'Italia, a tutte le forze
democratiche, l'impegno ad abolire le legge Gelmini e ad avviare una
riforma dell'università ispirata alla Carta di Roma, al Quadrifoglio per
l'Università, del Documento per l'Università bene comune, dei Sette
punti fondamentali dei DP.
Tutte le associazioni e le realtà firmatarie di questo appello si
costituiscono come forza stabile organizzata con l'intento di
coinvolgere docenti, ricercatori, gli studenti e le loro famiglie. Esse
non avanzano rivendicazioni settoriali. Rimettere al centro della vita
nazionale il ruolo della ricerca e della formazione è la strada in
aggirabile per sfuggire al declino del Paese. La gioventù colta è la
nuova élite che deve risollevare le sorti dell'Italia.
Raccogliamo le firme in rete, (www.amigi.org
o altri siti) ma anche davanti alle scuole e alle università. Chiediamo
ospitalità al nostro appello presso i banchetti dove si raccolgono le
firme per i referendum contro la demolizione dello Statuto dei
lavoratori. Facciamo del nostro movimento un interlocutore nazionale che
dialoga permanentemente con i governi della repubblica.
"L'Università che vogliamo", "CoNPAss", "Università bene comune", "Alternativa", "Fuoriregistro", "Forum Insegnanti", "Il tetto"
Piero Bevilacqua, Angelo D'Orsi, Tonino Perna, Maurizio Matteuzzi, Giorgio Tassinari, Giuseppe Aragno, Francesco Aqueci, Laura Corradi, Francesco Coniglione, Alberto Lucarelli, Saverio Luzzi, Ugo Olivieri, Maria Rosaria Marella, Raul Mordenti, Giorgio Pagano, Valeria Pinto, Francesco Pitocco, Enzo Scandurra, Patrizia Ferri, Fabio Minazzi, Alessandra Ciattini, Fabio Bentivoglio, Michele Maggino, Roberto Renzetti, Andrea Bagni, Domenico Rizzuti.
Profumo conferma: "24 ore di insegnamento pagate 18"
di Claudio Cont, www.contropiano.org
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Nessuna smentita, anzi una piena conferma. Il
governo - con un codicillo inserito della "legge di stabilità" - vuol
portare l'orario di docenza da 18 a 24 ore. Con i salari bloccati per
altri due anni.
Il "ragionamento", diciamo così, è elementare; ma condito con le solite frasi vuote riperticate in qualche manuale di retorica per signorine di buona famiglia. "Chiediamo un atto di generosità", naturalmente "l'equità" (con le maestre elementari che già fanno 24 ore settimanali: 22 "frontali" e 2 di programmazione). Inutile spiegare a uno che è stato Rettore che le ore "frontali" sono solo una parte del lavoro docente (gravato strutturalmente di consigli, scrutini, correzione compiti, preparazione delle lezioni, ecc); lo sa benissimo. L'intenzione è perciò di "far male": alla scuola, ai docenti, agli studenti. Più ore frontali, infatti, significano meno cura dei dettagli, un rapporto con gli studenti meno personalizzato, sbrigatività anche nella correzione dei compiti, ecc.
Trasparente la logica complessiva in cui sono inseriti gli interventi di "riforma" degli ultimi venti anni: fare della scuola pubblica un impasto incoerente, alla fine incapace di "formare" soggetti portatori di "sapere critico" (semplicemente: non solo ritenere un certo numero di nozioni, ma anche capacità di interrogarsi sulla correttezza o meno - o del carattere storico ed evolutivo - delle nozioni apprese). Mentre il compito di formazione della classe dirigente passa integralmente a scuole e università private, dove la soglia del censo è la prima prova da affrontare.
Patetici, infine, i tentativi di motivare le "24 ore" con l'esigenza di ridurre gli "spezzoni orari", affidati in genere ai supplenti precari o ai docenti di ruolo per "completamento cattedra". Un orario più lungo comporterà un aumento del numero degli "spezzoni" (in molti casi, già oggi, è difficile assegnare cattdre di 18 ore nello stesso istituto). E la necessità di "completare le cattedre" - oltre al mancato rinnovo delle supplenze per molti precari - costringerà un numero enorme di insegnanti a correre tra due o tre scuole diverse. Un fenomeno già oggi esplosivo (specie per le materie con poche ore frontali nella stessa classe), ma che con l'aumento di orario coinvolgerà praticamente quasi tutto il corpo docente.
Non c'è solo un problema di orari e di costi (il tempo di spostamento tra un scuola e l'altra, benzina a usura dei mezzi privati, ecc), ma soprattutto di allentamento del rapporto tra docenti e istituto (con i colleghi, con gli studenti, con i genitori). In una parola: abbassamento della qualità.
Infine, l'elemento stipendiale non sembra davvero minimale: un aumento del 30% dell'orario "frontale" senza un corrispettivo monetario - rinviato a "quando la crisi sarà finita", probabilmente mai - è un insulto sanguinoso; specie dopo sei anni di blocco del rinnovo del contratto e di congelamento salariale che hanno già prodotto una perdita di potere d'acquisto nedia di 6.000 euro annuali a persona.
Il "ragionamento", diciamo così, è elementare; ma condito con le solite frasi vuote riperticate in qualche manuale di retorica per signorine di buona famiglia. "Chiediamo un atto di generosità", naturalmente "l'equità" (con le maestre elementari che già fanno 24 ore settimanali: 22 "frontali" e 2 di programmazione). Inutile spiegare a uno che è stato Rettore che le ore "frontali" sono solo una parte del lavoro docente (gravato strutturalmente di consigli, scrutini, correzione compiti, preparazione delle lezioni, ecc); lo sa benissimo. L'intenzione è perciò di "far male": alla scuola, ai docenti, agli studenti. Più ore frontali, infatti, significano meno cura dei dettagli, un rapporto con gli studenti meno personalizzato, sbrigatività anche nella correzione dei compiti, ecc.
Trasparente la logica complessiva in cui sono inseriti gli interventi di "riforma" degli ultimi venti anni: fare della scuola pubblica un impasto incoerente, alla fine incapace di "formare" soggetti portatori di "sapere critico" (semplicemente: non solo ritenere un certo numero di nozioni, ma anche capacità di interrogarsi sulla correttezza o meno - o del carattere storico ed evolutivo - delle nozioni apprese). Mentre il compito di formazione della classe dirigente passa integralmente a scuole e università private, dove la soglia del censo è la prima prova da affrontare.
Patetici, infine, i tentativi di motivare le "24 ore" con l'esigenza di ridurre gli "spezzoni orari", affidati in genere ai supplenti precari o ai docenti di ruolo per "completamento cattedra". Un orario più lungo comporterà un aumento del numero degli "spezzoni" (in molti casi, già oggi, è difficile assegnare cattdre di 18 ore nello stesso istituto). E la necessità di "completare le cattedre" - oltre al mancato rinnovo delle supplenze per molti precari - costringerà un numero enorme di insegnanti a correre tra due o tre scuole diverse. Un fenomeno già oggi esplosivo (specie per le materie con poche ore frontali nella stessa classe), ma che con l'aumento di orario coinvolgerà praticamente quasi tutto il corpo docente.
Non c'è solo un problema di orari e di costi (il tempo di spostamento tra un scuola e l'altra, benzina a usura dei mezzi privati, ecc), ma soprattutto di allentamento del rapporto tra docenti e istituto (con i colleghi, con gli studenti, con i genitori). In una parola: abbassamento della qualità.
Infine, l'elemento stipendiale non sembra davvero minimale: un aumento del 30% dell'orario "frontale" senza un corrispettivo monetario - rinviato a "quando la crisi sarà finita", probabilmente mai - è un insulto sanguinoso; specie dopo sei anni di blocco del rinnovo del contratto e di congelamento salariale che hanno già prodotto una perdita di potere d'acquisto nedia di 6.000 euro annuali a persona.
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