Che il sottosegretario «alle chiacchiere» (copyright di Massimo Gramellini sulla Stampa) Gianfranco Polillo fosse una mina vagante lo avevamo sospettato. Ma, adesso che ne ha combinata una davvero grossa, ne abbiamo la certezza.
Il fatto è noto: martedì sera, durante la trasmissione Ballarò, Polillo ha annunciato una decisione del governo che non era ancora stata presa e cioè la riduzione di un punto per i primi due scaglioni dell’Irpef (quindi, i redditi più bassi). L’uscita del sottosegretario, a consiglio dei ministri ancora in corso, pare abbia mandato Monti su tutte le furie non tanto sul merito, quanto sul metodo e spinto alcuni ministri a chiedere la testa di Polillo (ovvero, a togliergli le deleghe). Palazzo Chigi si è affrettato a diffondere immediatamente una smentita, letta in diretta a Ballarò (con annessa figuraccia per Polillo).
Ma il bello (o il brutto, fate voi) è
che, smentita o no, la decisione poi è stata effettivamente presa e
provocherà l’aumento di un punto dell’Iva l’anno prossimo. Poco meno di
una partita di giro, perché l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto
colpisce tutti, è una tassa trasversale che andrà ad intaccare anche il
portafoglio degli italiani più poveri. Proprio quelli ai quali sono
state (un pochino) abbassate le tasse. Insomma, a ben vedere aria
fritta.
Resta il dubbio: chi dobbiamo ringraziare? Pare che, in effetti, il governo avesse in mente di ritoccare l’Irpef ma in modo più «leggero», e che l’uscita di Polillo durante una trasmissione televisiva molto seguita abbia in qualche modo indotto l’esecutivo a fare buon viso a cattivo gioco. Solo che per trovare le risorse è stato necessario confermare l’aumento Iva (benché di un punto solo anziché due), dopo che ci era stato detto e ripetuto che la legge di stabilità serviva soprattutto proprio ad evitarlo. Se è così, cioè se sono state le parole di Polillo a provocare la decisione finale, vuol dire che l’epiteto di “sottosegretario alle chiacchiere” ci sta tutto.
Anche perché questa “gaffe”, provocata da un eccesso di loquacità, è solo l’ultima di una lunga serie. Come dimenticare quando il nostro diede della «fontana che piange» al ministro Fornero cui era scappata la lacrima galeotta? La quale Fornero non prese affatto bene un’altra frase infelice del sottosegretario: quando Polillo, per nulla scherzando, consigliò ai cosiddetti esodati - coloro cioè che avevano firmato le proprie dimissioni un attimo prima dell’entrata in vigore della nuova legge sulle pensioni - di fare come se niente fosse e di tornare al lavoro, magari impugnando l’accordo con l’azienda davanti ad un giudice (sic!). E che dire dell’affermazione secondo la quale il referendum sull’acqua «è stato un mezzo imbroglio»?
Ma è con la proposta di abolire alcune festività e di lavorare una settimana in più (gratis) all’anno che il sottosegretario ha superato se stesso (si fa per dire, perché non aveva ancora parlato a Ballarò). Secondo lui, rinunciando ad una settimana di ferie a parità di salario «il Pil crescerebbe un punto in più», visto che noi (italiani) «lavoriamo nove mesi l’anno». Numeri in libertà, perché giornali (Stampa e Corriere della sera compresi), centri studi, istituti di statistica ci hanno spiegato che non è vero che lavoriamo poco e facciamo più ferie dei nostri colleghi europei; che lavorare di più è perfettamente inutile se le imprese non hanno commesse e ordinativi e se non c’è chi compra i beni prodotti; e che, semmai, il problema è che «lavoriamo male» (cioè troppe piccole aziende, scarsa innovazione, scarsissima informatizzazione).
Per fortuna (nostra), almeno in quel caso le parole di Polillo sono cadute nel vuoto: le festività sono rimaste al loro posto e di lavorare una settimana in più non se ne è più parlato. Ma il sottosegretario non ha fatto alcun passo indietro. Anzi: «E’ una ricetta di ispirazione marxista», perché «bisogna ricreare le condizioni di accumulazione del capitale». Beh, tanto valeva proporre di tagliare i salari tout court.
Resta il dubbio: chi dobbiamo ringraziare? Pare che, in effetti, il governo avesse in mente di ritoccare l’Irpef ma in modo più «leggero», e che l’uscita di Polillo durante una trasmissione televisiva molto seguita abbia in qualche modo indotto l’esecutivo a fare buon viso a cattivo gioco. Solo che per trovare le risorse è stato necessario confermare l’aumento Iva (benché di un punto solo anziché due), dopo che ci era stato detto e ripetuto che la legge di stabilità serviva soprattutto proprio ad evitarlo. Se è così, cioè se sono state le parole di Polillo a provocare la decisione finale, vuol dire che l’epiteto di “sottosegretario alle chiacchiere” ci sta tutto.
Anche perché questa “gaffe”, provocata da un eccesso di loquacità, è solo l’ultima di una lunga serie. Come dimenticare quando il nostro diede della «fontana che piange» al ministro Fornero cui era scappata la lacrima galeotta? La quale Fornero non prese affatto bene un’altra frase infelice del sottosegretario: quando Polillo, per nulla scherzando, consigliò ai cosiddetti esodati - coloro cioè che avevano firmato le proprie dimissioni un attimo prima dell’entrata in vigore della nuova legge sulle pensioni - di fare come se niente fosse e di tornare al lavoro, magari impugnando l’accordo con l’azienda davanti ad un giudice (sic!). E che dire dell’affermazione secondo la quale il referendum sull’acqua «è stato un mezzo imbroglio»?
Ma è con la proposta di abolire alcune festività e di lavorare una settimana in più (gratis) all’anno che il sottosegretario ha superato se stesso (si fa per dire, perché non aveva ancora parlato a Ballarò). Secondo lui, rinunciando ad una settimana di ferie a parità di salario «il Pil crescerebbe un punto in più», visto che noi (italiani) «lavoriamo nove mesi l’anno». Numeri in libertà, perché giornali (Stampa e Corriere della sera compresi), centri studi, istituti di statistica ci hanno spiegato che non è vero che lavoriamo poco e facciamo più ferie dei nostri colleghi europei; che lavorare di più è perfettamente inutile se le imprese non hanno commesse e ordinativi e se non c’è chi compra i beni prodotti; e che, semmai, il problema è che «lavoriamo male» (cioè troppe piccole aziende, scarsa innovazione, scarsissima informatizzazione).
Per fortuna (nostra), almeno in quel caso le parole di Polillo sono cadute nel vuoto: le festività sono rimaste al loro posto e di lavorare una settimana in più non se ne è più parlato. Ma il sottosegretario non ha fatto alcun passo indietro. Anzi: «E’ una ricetta di ispirazione marxista», perché «bisogna ricreare le condizioni di accumulazione del capitale». Beh, tanto valeva proporre di tagliare i salari tout court.
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